Card. Ratzinger, Dio e il mondo

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Card. Joseph Ratzinger, "Dio e il Mondo" (il nuovo "Rapporto sulla fede"), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 432 pagine, 21,69 Euro.
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Esiste "un rischio fino ad ora assolutamente sottovalutato, cioe’ la possibilita’ dell’egemonia di un punto di vista sottilmente ostile al cristianesimo. Questo diktat accetterebbe solo un cristianesimo integrato ed uniformato ai modelli dominanti., un cristianesmo per cosi’ dire edulcorato, privo delle asprezze dettate dalla fedelta’ a Cristo, mentre i sostenitori della fede autentica sarebbero additati come hardliners o fondamentalisti […] Ad esempio, in Germania non si possono menzionare l’Opus Dei o il Movimento Scoutistico Europeo [Scout D’Europa, NdR], senza un femito d’indignazione, quasi che non si possa essere un buon cattolico tedesco senza prendere le distanze da questi gruppi" (pp. 414-416).
 
Il card. Joseph Ratzinger delinea un nuovo rapporto, questa volta incentrato sulle questioni interne della fede cristiana, spaziando tra i problemi più scottanti e centrali del credo cristiano: l’immagine di Dio, la crisi della fede, Dio e la ragione, Dio si – Chiesa no?; uomini e donne, il peccato originale, l’anima, la libertà; l’antica alleanza, il libro dei libri, le quattro leggi, i dieci comandamenti; Gesù Cristo, il più importante momento della storia; la croce, la risurrezione e il futuro dell’uomo.
 
Il libro, scritto in forma di intervista con linguaggio piano e comprensibile per tutti, offre un quadro completo e attualissimo sui contenuti della fede cristiana per l’uomo di oggi.

Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio
Prefazione di Joseph Ratzinger

Nel 1996 Peter Seewald mi aveva proposto un colloquio sulle questioni che l’uomo contemporaneo pone alla Chiesa e che spesso gli impediscono di avvicinarsi alla fede. Da quel colloquio ebbe origine Il sale della terra che da molti venne accolto con gratitudine come contributo per orientarsi nella società contemporanea.
L’eco notevole e sorprendentemente positiva suscitata da quel libro ha spinto Seewald a proporre un secondo scambio di idee, volto questa volta a chiarificare le questioni interne alla fede, che anche a molti cristiani appaiono come un terreno incolto difficilmente penetrabile e in cui ci si può a malapena orientare: molti suoi elementi, anche rilevanti, paiono al pensiero contemporaneo difficilmente comprensibili e altrettanto difficilmente accettabili.
A questo progetto si opponeva dapprima il sovraccarico di impegni cui dovevo far fronte.
Il poco tempo libero che mi rimaneva volevo dedicarlo alla lavorazione di un libro sullo spirito della liturgia che avevo programmato fin dall’inizio degli anni Ottanta, ma che non era mai giunto alla fase di composizione scritta.
Nell’arco di tre vacanze estive l’opera è stata alla fine ultimata ed è stata pubblicata all’inizio di quest’anno.
Il terreno era quindi finalmente sgombro per il secondo colloquio con Seewald che propose di tenerlo presso l’abbazia benedettina di Montecassino, per via del valore simbolico che questo monastero, cuore della cristianità, riveste.
Lì, confortati dall’accoglienza benedettina, abbiamo realizzato tra il 7 e l’11 febbraio di quest’anno il nuovo colloquio che Seewald aveva accuratamente preparato. Io dovetti invece affidarmi all’ispirazione del momento.
La quiete del monastero, il calore dimostrato dai monaci e dall’abate, l’atmosfera favorevole alla preghiera e la riverente solennità della liturgia ci furono di grande aiuto: venne poi predisposta la nostra partecipazione ai festeggiamenti in onore di Santa Scolastica , sorella di san Benedetto, celebrati là con lo splendore dovuto. Così ai monaci di Montecassino va il ringraziamento grato dei due autori, che hanno sentito questo luogo venerando come fonte di ispirazione.
Non c’è bisogno di dire che ognuno dei due autori risponde delle proprie affermazioni che rappresentano il proprio specifico contributo all’opera. Mi pare che anche qui, come ne Il sale della terra, proprio la diversità dei percorsi e dei modi di pensare abbiano permesso il dispiegarsi di un dialogo autentico, in cui la franca immediatezza di domande e risposte si è dimostrata feconda. Il signor Seewald, che ha registrato su nastro le mie risposte, si è occupato di trascriverle e sintetizzarle, ove necessario. Io stesso ho poi rivisto criticamente le mie affermazioni e, dove mi è parso necessario, le ho rifinite da un punto di vista linguistico o le ho prudentemente completate , ma nel complesso ho mantenuto il carattere orale della parola così come l’istante l’aveva fatta scaturire. Spero che questo secondo libro trovi l’accoglienza favorevole già riservata a Il sale della terra e che possa essere d’aiuto a tanti uomini incamminati su un percorso di ricerca e comprensione della fede cristiana.

Roma, 22 agosto 2000

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Prefazione di Peter Seewald

Montecassino, febbraio. La strada che conduce al monastero consacrato a san Benedetto è stretta, ripida e tortuosa, e man mano si sale, più fredda si fa l’aria. Nessuno parlava, nemmeno Alfredo, l’autista del Cardinale. Non so per quale ragione, l’inverno in fondo era definitivamente alle nostre spalle, ma in qualche modo temevamo le fredde notti che ci aspettavano.
Quando pubblicai con il cardinal Ratzinger il libro intervista Il sale della terra, molti videro in quest’opera la possibilità di misurarsi con una tematica a cui fino a quel momento non erano riusciti ad accostarsi. Certo il nome di Dio veniva menzionato con una frequenza che non aveva precedenti ma, in fondo, nessuno sapeva più bene di cosa parlava quando affrontava tematiche religiose.
L’ho sperimentato io stesso, quando ne parlavo con amici o nelle redazioni delle riviste per cui lavoravo. Era come se, in un arco di tempo brevissimo, si fosse verificata in larghi strati sociali qualcosa come un’esplosione nucleare spirituale, una specie di big bang della cultura cristiana, che aveva fino a quel momento costituito le fondamenta del nostro vivere. Pur senza negare l’esistenza di Dio, nessuno faceva più affidamento sulla sua potenza e sulla sua capacità di incidere effettivamente sul mondo.
A quell’epoca continuavo a frequentare la Chiesa.
Nonostante i dubbi e l diffidenza per i messaggi della Rivelazione, mi pareva incontrovertibile il fatto che il mondo non può essere il frutto del caso, il risultato di un’esplosione o di qualcos’altro del genere, come affermato da Marx e non solo da lui. E non può nemmeno essere una creazione umana, visto che gli esseri umani non sono nemmeno in grado di guarire un’influenza o di impedire il crollo di una diga. Mi resi conto del fatto che dietro l’intreccio di liturgia, preghiere e comandamenti doveva esserci un fondamento, una verità. “Non siamo partiti al seguito di una storia sapientemente inventata”, si dice in una lettera di Pietro. Ma mi pareva stupido fare il segno della croce o pronunciare la confessione di colpa come si fa abitualmente a Messa.
E ogniqualvolta mi guardavo attorno in una chiesa, non riuscivo più a leggerci tutto questo. Il nucleo autentico e originario, il senso di questo complesso di riti e dogmi, mi pareva celato dietro una cortina di nebbia.
Non è facile lasciare la Chiesa, che molti anni fa mi pareva svuotata di senso e reazionaria, ma tornare nel suo grembo è ancora più difficile. Non si vuole soltanto credere a ciò che si sa, ma anche essere consapevoli di ciò in cui si crede. Montagne di domande senza risposta ostruiscono il cammino. Cristo è davvero il Figlio di Dio che ci ha fatto dono della redenzione? E, in caso affermativo, che razza di Dio è questo? Un Dio buono che ci aiuta? Un Dio cinico che, annoiato, continua a scrivere, riga dopo riga, nel grande libro della vita? Quali piani ha in serbo per gli esseri umani che possono persino abbandonarsi alla seduzione della forza del male? Qual è il senso della nostra esistenza? Che ne è dei comandamenti? Sono validi ancora oggi? E che significato hanno i sette sacramenti? Davvero, come si dice, è celato in loro il piano dell’intera esistenza? Fede e vita nel XXI secolo possono ancora ricongiungersi così che il mondo moderno possa ricorrere a qualcosa della sapienza che l’umanità ha lasciato in eredità?
Certo, in così breve tempo, non molte domande possono trovare una risposta, non tutto si può sperimentare. Molte cose non possono nemmeno essere espresse in parole.
Ma, quando nel monastero mi trovavo seduto di fronte al cardinale Joseph Ratzinger, un uomo di Chiesa estremamente saggio che mi narrava con pazienza il Vangelo, la fede del Cristianesimo dal sorgere del mondo fino alla fine, allora cominciai ad avvertire di giorno in giorno con sempre maggiore nettezza qualcosa del mistero che nel più profondo tiene insieme il mondo.
E, a ben guardare, forse è molto semplice. “La creazione”, diceva quest’uomo sapiente, “ha un ordine intrinseco. Da quest’ordine possiamo dedurre il pensiero di Dio, e persino il modo in cui dovremmo vivere”.

Monaco, 15 agosto 2000
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Tratto dal libro Dio e il Mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio,
Edizioni San Paolo, 2001, pp. 379-381

 
"Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da sé stessi la liturgia domenicale".

C’è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse un oggetto della nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da sé stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente il frutto dell’inventiva di un pugno di persone abili e capaci.

Ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono; ciò in cui mi imbatto è solo l’abilità di un pugno di persone. E allora ci si accorge che non è quello che si sta cercando. È troppo poco, e insieme di qualcosa di diverso. La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste.

inunciare a cercare in essa al propria autorealizzazione, per vedervi invece un dono. Questa, credo, è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà dell’uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro. Il secondo passo consisterà nel valutare dove sono stati apportati tagli troppo drastici, per ripristinare in modo chiaro e organico le connessioni con la storia passata. Io stesso ho parlato in questo senso di "riforma della riforma". Ma, a mio avviso, tutto ciò deve essere preceduto da un processo educativo che argini la tendenza a mortificare la liturgia con invenzioni personali.

Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l’atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all’indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente di questo genere; così è l’intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, a essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all’interno della Chiesa.

Oggi il latino nella Messa ci pare quasi un peccato. Ma così ci si preclude anche la possibilità di comunicare tra parlanti di lingue diverse, che è così preziosa in territori misti. Ad Avignone, ad esempio, il parroco del Duomo mi ha raccontato che una domenica si sono improvvisamente presentati tre diversi gruppi, ognuno dei quali parlava una lingua diversa, e tutti e tre desiderosi di celebrare la Messa. Propose quindi di recitare il Canone tutti insieme in latino, così avrebbero potuto concelebrare tutti quanti. Ma tutti hanno respinto bruscamente questa proposta: no, ognuno doveva trovarci qualcosa di proprio. O pensiamo anche a località turistiche: dove sarebbe bello potersi riconoscere tutti in qualcosa di comune.

Dovremmo quindi tenere presente anche questo. Se nemmeno nelle grandi liturgie romane si può cantare il "Kyrie" o il "Sanctus", se nessuno sa più nemmeno cosa significhi il "Gloria", allora si è verificato un depauperamento culturale e il venire meno di elementi comuni. Da questo punto di vista direi che il servizio della parola dovrebbe essere tenuto in ogni caso nella lingua madre, ma ci dovrebbe anche essere una parte recitata in latino che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci unisce.

+ Joseph Ratzinger
da "Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio", Cinisello Balsamo (Mi), Edizioni San Paolo, 2001, pp. 379-381