Benedetto XVI. La scelta di Dio

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\"\"George Weigel, Benedetto XVI. La scelta di Dio, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2006, pp. XXII-365, € 18,00

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Benedetto XVI. La scelta di Dio, è una biografia dell’attuale pontefice uscita dalla penna del teologo cattolico statunitense, già autore di una monumentale biografia di Giovanni Paolo II intitolata Testimone della speranza, e del recente La cattedrale e il cubo, sull’allontanamento dell’Europa dalle proprie radici.
Dopo la Nota del curatore Flavio Felice – La carità come dimensione integrale dell’agire cristiano (pp. V-XXII) -, l’Autore chiarisce già nel Prologo (pp. 3-5) l’apparente paradosso costituito dal fatto che circa metà del libro – a dispetto del titolo – sia incentrata sulla figura dell’amato predecessore, poiché «La storia di papa Benedetto XVI e l’impatto che potrebbe avere sulla Chiesa cattolica e sul mondo all’inizio del XXI secolo comincia […] dal capitolo finale della storia di papa Giovanni Paolo II: due personalità diverse, due sensibilità intellettuali differenti, due diversi stili, ma entrambi profondamente cristiani, fermamente convinti della verità del Vangelo di Gesù Cristo, desiderosi di portare in luce la verità e determinati ad esortare la Chiesa e il mondo ad una comprensione superiore e più forte dell’avventura umana» (pp. 4-5). Nel primo capitolo, La morte di un sacerdote (pp. 7-30), Weigel ripercorre il calvario e la morte di papa Giovanni Paolo II, come momento di rivelazione di ciò che egli è stato davvero. «Per ventisei anni e mezzo, da quando aveva fatto irruzione sulla scena mondiale […] “loro” – cioè il mondo e, a dire il vero, molti cattolici – avevano compreso Giovanni Paolo II solo esteriormente […]» (p. 7), di volta in volta come leader mondiale o difensore dei diritti umani, e altri aspetti della sua azione, tutti veri ma tutti insufficienti, inevitabilmente meno in risalto con l’aggravarsi della malattia. «In quel momento, il punto centrale della vita di Karol Wojtyla, la qualità che lo contraddistinse, si stava facendo più chiara: Giovanni Paolo II aveva vissuto le ultime nove settimane del suo pellegrinaggio terreno così come aveva vissuto i 58 anni dalla sua ordinazione, cioè da sacerdote cattolico, introducendo gli altri sempre più profondamente nel mistero di Gesù Cristo, crocifisso e risorto» (p. 7).
Inevitabile chiedersi quale sia La Chiesa che Giovanni Paolo II ha lasciato dietro di sé – secondo capitolo (pp. 31-101) – soprattutto considerando che il pontificato wojtyliano è stato uno dei più lunghi; basti pensare che «[…] del miliardo e più di cattolici presenti sul pianeta sostanzialmente la metà non aveva conosciuto altro papa che lui» (p. 31). Uomo del Novecento, un secolo largamente dominato da totalitarismi e distruzione, «Secondo Wojtyla tutto era legato ad una crisi sul piano delle idee: l’idea dell’essere umano, della persona umana, aveva perso la rotta» (p. 35). La risposta a questa crisi è un rilancio del messaggio cristiano: «[…] l’intento del Concilio, come Giovanni Paolo II lo intese, era quello di dare alla Chiesa un nuovo impulso di energia evangelica e missionaria sulla cuspide del terzo millennio di storia della Chiesa. La missione non è una delle tante funzioni della Chiesa: la Chiesa non ha una missione, è una missione […]» (p. 37).
Giovanni Paolo II ha lasciato un notevole corpus di insegnamenti magisteriali, concepiti anche come «[…] una serie di chiavi per aprire e comprendere la dottrina del Vaticano II» (p. 46); ha conferito al papato un ruolo di riferimento mondiale, ha «inventato» le Giornate Mondiali della Gioventù, ha proclamato che la santità è un dovere per ciascuno e in qualsiasi stato di vita, mediante le numerosissime canonizzazioni, ha offerto nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno strumento per rendere ragione della speranza cristiana (cfr. 1 Pt 1,3), ha considerato l’ecumenismo una necessità affinché la testimonianza del Vangelo risultasse più credibile, ed è stato persino – dopo il drammatico calo post-conciliare – un grande “reclutatore di vocazioni”: «[…] al più tardi a metà degli anni Novanta la maggior parte dei seminaristi in quasi tutti i seminari degli Stati Uniti e del Canada avrebbero detto senza difficoltà ai visitatori che una delle ragioni principali che li aveva portati alla vocazione sacerdotale era papa Giovanni Paolo II» (p. 74).
Bisogna annoverare tuttavia alcuni insuccessi, come l’apostasia dell’Europa nonostante l’appassionato richiamo alle radici cristiane, il sogno ecumenico ancora lontano, l’ipertrofia delle burocrazie diocesane e un meccanismo delle nomine episcopali da rivedere, o la mancata riforma dei religiosi, come dimostrano le frequenti incursioni al di fuori dell’ortodossia da parte di esponenti della prestigiosa Compagnia di Gesù.
Gli Stati Uniti offrono un compendio esemplare della grandezza e degli insuccessi di questo pontificato. Alla morte del papa le previsioni pessimiste sul ruolo del cattolicesimo, formulate nel 1978, erano state clamorosamente smentite, sia in termini numerici, sia quanto a vitalità. Tuttavia «Ad ogni livello della vita della Chiesa, dalla parrocchia alla conferenza dei vescovi, i cattolici si trovarono irretiti nella burocrazia, costretti a dedicare un numero sconsiderato di ore in riunioni (e questo non corrispondeva esattamente a ciò che Giovanni Paolo II intendeva con “nuova evangelizzazione”)» (p. 100).
Il terzo capitolo, Le lacrime di Roma (pp. 103-143), rievoca la sera del 2 aprile 2005, quando «[…] coloro che avevano condiviso la fede di papa Giovanni Paolo II videro quel momento non già come una fine, ma come un inizio. […] Lui, che aveva dedicato la sua esistenza a difendere la dignità dell’uomo, era, secondo le parole del teologo patrista Ignazio [di Antiochia], “finalmente un uomo vero”» (p. 103). L’eccezionalità di quelle ore si rivela nel ritorno al confessionale, dopo decenni, di alcune persone a Greenville: «Dopo averli accolti, padre Newman chiese ad ogni penitente perché avesse scelto proprio quel momento per ritornare, e ognuno rispose che il motivo era la morte del papa. Come disse padre Newman, “sono passate solo quattro ore dalla sua morte e la grazia si sta già diffondendo”» (p. 113).
L’amico e collaboratore Joseph Ratzinger, che presiedeva la messa funebre in qualità di decano del collegio cardinalizio affermò che: «La sofferenza di Giovanni Paolo II aveva confermato la sua fede nel mistero della Croce e della resurrezione di Cristo “come mistero della divina misericordia”, il “riflesso più puro” di ciò che egli trovò nella Madre di Dio, Maria, a cui aveva proclamato il suo Totus Tuus. Come l’apostolo Giovanni, rifletté Ratzinger, Karol Wojtyla aveva accolto Maria nella sua casa: “E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo» (p. 138). Al termine delle esequie sembrava che Roma, sotto la pioggia, stesse piangendo «[…] per la morte di un padre che era diventato, letteralmente, il papa; e forse anche per il timore di quello che sarebbe venuto dopo di lui» (p. 143).
Arriviamo così al quarto capitolo che dà il titolo al libro, La scelta di Dio – il conclave del 2005 (pp. 145-212), in cui Weigel prende le mosse dalla significativa data del 22 febbraio, festa della Cattedra di san Pietro. Giovanni Paolo II non avrebbe potuto scegliere ricorrenza più adatta per la promulgazione della costituzione apostolica Universi Dominici Gregis in cui regolava l’elezione del successore, tutta ispirata dalla convinzione dello Spirito Santo come principale protagonista del conclave – convinzione ribadita nell’opera poetica Trittico Romano. «In quel momento, ad alcuni anni dalla sua morte, Giovanni Paolo stava ovviamente pensando a che cosa sarebbe accaduto nella Cappella Sistina dopo il suo trapasso. I cardinali non sarebbero stati soli, affermò il papa-poeta: “I colori della Cappella Sistina riporteranno le parole del Signore: Tu es Petrus [Tu sei Pietro] – un tempo udite da Simone, figlio di Giovanni […] Tu che vedi tutto, indicaglielo! Anch’egli lo indicherà!» (p. 146).
Fino a due anni prima, Joseph Ratzinger non figurava nelle liste giornalistiche dei papabili. Tuttavia nell’ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II questa impressione fu smentita da significativi segnali, a cominciare dall’omelia tenuta ai funerali del fondatore di Comunione e Liberazione, monsignor Luigi Giussani, di cui ricordò la passione per la bellezza come via verso Cristo: «[…] cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia» (p. 164). Colpì inoltre il contrasto tra la standing ovation tributata all’omelia di Ratzinger e il silenzio seguito al commiato del molto più papabile – secondo i giornalisti – arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. «Joseph Ratzinger, in apparenza severo e poco pastorale, li aveva invece toccati nel profondo, con una solida catechesi, attraente e provocante allo stesso tempo. Per chi aveva occhi per vedere, fu un segnale, rivolto agli uomini e ai loro possibili futuri» (p. 165).
La giornata del 18 aprile si apriva con la messa Pro Eligendo Romano Pontifice, in cui Ratzinger, in veste di decano del Sacro Collegio, pronunciò un’altra omelia famosa. A partire dalla seconda lettura (Ef 4, 11-16) il cardinale decano denunciava senza mezzi termini la «[…] dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (p. 191), opponendo ad esso «[…] una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità» (ibid.). Dopo alcune ore i cardinali entravano nella Sistina per uscirne nel pomeriggio del giorno successivo, memoria liturgica del papa tedesco san Leone IX, quasi un pronostico.
«Ciò che forse colpì maggiormente della prima apparizione pubblica di papa Benedetto fu la sua radiosità: era, in una parola, raggiante. […] Egli non aveva timori, ed era disposto a sfidare gli altri ad un simile, gioioso coraggio, radicato in una profonda fede cristiana» (p. 198).
Tra gli elementi umani che hanno determinato la rapida elezione di Joseph Ratzinger – facendo sì che i cardinali riconoscessero in lui la «scelta di Dio», secondo la felice espressione del cardinale Ennio Antonelli – occorre ricordare in primis dalla naturale leadership del cardinale decano, a cominciare dalle esequie del predecessore e per tutta la delicata fase di interregno. «Come disse in seguito uno dei cardinali elettori, Ratzinger era il fratello maggiore, colui che rappresentava chiaramente una posizione al di sopra di tutti, conosceva tutti e tutti lo conoscevano; inoltre era l’ultima grande figura vivente del Concilio Vaticano II» (p. 203). Infine, in una congiuntura storica dominata dal terrorismo e dalla dittatura del relativismo, analoga alla difficile epoca di san Benedetto da Norcia, «[…] i suoi fratelli-cardinali videro in Joseph Ratzinger un nuovo Benedetto, un altro uomo a cui era stata data la grazia di incarnare il vero principio della solidarietà umana, che è Gesù Cristo» (p. 206).
Nel capitolo quinto, La creazione di un nuovo Benedetto (p. 213-281), l’Autore ripecorre la biografia di Joseph Ratzinger, dalla nascita nel Sabato Santo del 1927 fino alla decisiva chiamata a Roma, da parte di papa Giovanni Paolo II, che lo volle accanto come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; la scelta di «[…] un uomo che tutti, inclusi i suoi detrattori, consideravano uno studioso di primo livello, una delle menti teologiche cattoliche più fini del XX secolo» (p. 246) indicava l’alta considerazione di Giovanni Paolo II per la teologia; il papa inoltre si assicurò un regolare coinvolgimento di Ratzinger nei compiti più importanti relativi alla gestione della Chiesa, nominandolo membro di cinque congregazioni, due commissioni e altri uffici della Curia romana. «In tutto il suo operato, la Congregazione supportò gli sforzi di Giovanni Paolo II per promuovere un’autentica interpretazione del Concilio Vaticano II – il Concilio senza chiavi» (p. 268). «Le preoccupazioni di Ratzinger circa le incomprensioni del Concilio e i loro effetti sulla teologia e sulla pratica cattolica furono portati ad un punto sottile di concisione in un lungo colloquio con il giornalista italiano Vittorio Messori […]» (p. 268), pubblicato nel 1984 col titolo Rapporto sulla fede. «Come aveva indicato Paolo VI, l’autocritica cattolica aveva virato verso l’autodistruzione cattolica. Dove era finita la gioia che si supponeva dovesse essere la caratteristica dei cristiani?» (p. 269).
Weigel identifica come filo conduttore della teologia di Ratzinger – e che unisce il suo lavoro di teologo a quella di prefetto – l’insistenza per l’unicità della missione salvifica di Gesù Cristo, poiché «[…] senza l’incontro con il Signore, gli uomini e le donne non possono penetrare la profondità della loro umanità, dove si trova l’impronta di Dio. L’insistenza di Ratzinger affinché la Chiesa tornasse a focalizzarsi su Cristo nascondeva dunque un profondo interesse profondamente umanistico» (p. 275). Questa attenzione per l’uomo si riscontra anche nella risposta fornita a Peter Seewald – nel libro-intervista Il sale della terra, del 1998 – sul legame tra il cristianesimo e la gioia: «Oggi è facile vedere come un mondo senza Dio […] sia diventato un mondo completamente privo di gioia. La grande gioia giunge dal fatto che c’è un grande amore, e questo è il messaggio essenziale della fede. Tu sei costantemente amato» (p. 276).
Proprio queste ultime considerazioni possono permetterci di intravedere l’essenza di questo pontificato – siamo all’ultimo capitolo, Verso il futuro (p. 283-365) – al di là degli isterismi di chi temeva che il nuovo papa «[…] avrebbe ordinato una serie di strumenti di tortura da portare dalle cantine della Congregazione per la Dottrina della Fede […]» (p. 290) o degli entusiasmi ideologici di chi auspicava una sconfessione del Concilio Vaticano II. Weigel ripercorre in questo capitolo alcune questioni chiave dell’agenda di Benedetto XVI, come l’apostasia e la noia spirituale dell’Europa, il dialogo interreligioso, un ripensamento della diplomazia vaticana, della Curia romana e delle procedure per la nomina dei vescovi, gli effetti ancora visibili della teologia della liberazione nella Chiesa latino-americana, il ruolo dei movimenti ecclesiali e degli ordini religiosi, una liturgia che invece di scadere nell’autocelebrazione si apra sempre di più alla dimensione celeste…
In ultima analisi, il compito del papa è quello – indicato da Benedetto XVI nella presa di possesso della sua cattedra a San Giovanni in Laterano – «[…] di assicurare che la Parola di Dio “continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza”» (p. 364) affinché la dottrina possa guidare gli uomini nel viaggio lungo la strada dell’amore.

Stefano Chiappalone