Giacomo Biffi, “Liber Pastoralis Bononiensis. Omaggio al card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita”, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2002, pagine 874, euro 40,00.
In un solo volume, i testi più acuminati del più controverso dei cardinali italiani.
Come predicare il Vangelo “sine glossa”. Senza cedimenti allo spirito del tempo
Nel 2003 il cardinale Giacomo Biffi, milanese e arcivescovo di Bologna, compirà 75 anni e rimetterà il suo mandato.
Per segnare questo passaggio di testimone ha raccolto in un solido volume ben rilegato i suoi dodici testi più importanti e più controversi, prodotti in diciassette anni di episcopato.
E a chi ha dedicato il volume? Al terzultimo arcivescovo di Milano, cardinale Giovanni Colombo. Dedica ben studiata. Perché dopo Colombo, a Milano, è venuto Carlo Maria Martini, e dopo quest’ultimo è arrivato Dionigi Tettamanzi. Ma con entrambi Biffi ha sempre avuto poco da spartire, quanto a orientamento e stile. Di Colombo, infatti, Biffi scrive che
«con lui è arrivata alla sua conclusione, dopo quasi novant’anni, l’epoca che nella Chiesa ambrosiana era iniziata nel 1891 con la venuta del beato cardinale Andrea Carlo Ferrari. Un’epoca tra le più luminose e feconde per il calore e la certezza della fede, per la concretezza della iniziative e delle opere, per la capacità di rispondere alle interpellanze dei tempi non con cedimenti e mimetismi ma attingendo al patrimonio inalienabile della verità… Sempre con l’ispirazione e lo slancio attinti alla grande tradizione di san Carlo Borromeo e al ricchissimo, sereno e rasserenante magistero di sant’Ambrogio». Come dire che la grande tradizione dei pastori ambrosiani s’è interrotta a Milano nel 1979. Ma da lì è trasmigrata a Bologna. Con Biffi. Indomito nel predicare «la certezza della fede» e insieme nello smascherare e contrastare «i cedimenti e i mimetismi» della Chiesa allo spirito del tempo.
Sfogliando questo volume, in effetti, si ritrova in ogni pagina la freschezza e il vigore d’una predicazione controcorrente. Costantemente ripagata sui media come “reazionaria”. Ma che in realtà è stata una delle pochissime voci forti – pensanti e capaci di far pensare – udibili ai vertici della Chiesa italiana, in questi anni recenti.
Eccone, qui di seguito, alcune rapide citazioni.
Pagina 299. Biffi ripete san Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”. E invece «ecco la dilagante retorica del dialogo» a diluire e cancellare questo comandamento, e l’idea secondo cui a musulmani ed ebrei non si debba annunciare Gesù Cristo, «per il timore d’essere accusati di proselitismo». La realtà è che «è in atto una violenta e sistematica aggressione al fatto cristiano, eppure la cristianità – almeno quella che parla e fa parlare di sé – non mostra di rendersene conto».
Pagina 436. «Come stanchi di testimoniare il Crocifisso, i discepoli di Gesù si riducono a parlare di pace, di solidarietà, di amore per gli animali, di difesa della natura, eccetera. Così il dialogo con i lontani si fa meno irto; e la nostra possibilità di essere accolti nei salotti mondani diventa facile e senza problemi. Come se Gesù non avesse mai dichiarato: “Io non sono venuto a portare pace, ma una spada”…».
Pagina 444. Chiedere perdono per gli errori ecclesiastici passati «può servire anche a renderci meno antipatici e a migliorare i nostri rapporti con i rappresentanti della cultura così detta laica, i quali si compiaceranno della nostra larghezza di spirito, anche se non ne ricaveranno di solito nessun incoraggiamento a superare la loro condizione di incredulità… Senza dire che, dei veri enormi delitti storici contro il genere umano – oggi avvolti da un misericordioso silenzio culturale – pare siano tutti d’accordo nel ritenere che non ci siano più i responsabili. Per esempio. a chi l’umanità manderà il conto per gli innumerevoli ghigliottinati francesi del 1793, uccisi senza colpe diverse da quella dell’appartenenza sociale? A chi l’umanità manderà il conto delle decine di mlioni di contadini russi trucidati dai bolscevichi? Ma allora, per i peccati della storia, non sarebbe forse meglio che aspettiamo tutti il giudizio universale?».
Pagina 591. «Persino all’interno del nostro mondo l’ortodossia appare da più parti insidiata. È sintomatico che la Congregazione per la dottrina della fede abbia ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa. Il fatto è di una gravità senza precedenti: in duemila anni mai si era sentito il bisogno di richiamare e difendere verità così elementari».
Pagina 627. «Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa cultura del niente (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».
Pagina 676. «Il dialogo interreligioso dovrà sempre fare i conti con una certezza fondamentale e irrinunciabile; e cioè che l’evento salvifico – nei due fatti costitutivi dell’incarnazione del Verbo e della risurrezione di Gesù – non solo sta all’origine del cristianesimo, ma ne rappresenta in modo perenne e definitivo il senso e il cuore. Essendo dei fatti e non delle dottrine, essi non sono trattabili: o si accolgono o si rifiutano. Sono culturalmente laceranti: il credente non può, restando intellettualmente onesto, né attenuarli né metterli tra parentesi».
E così via. Si leggono con gusto anche le digressioni colte del predicare di Biffi.
Come lo studio (p. 725-767) che egli dedica alla formula “casta meretrix” applicata alla Chiesa. Formula oggi abusata per avvalorare le chiacchiere sulla Chiesa peccatrice e invece escogitata da sant’Ambrogio (e sua esclusiva) proprio per dire il contrario: che la Chiesa «è santa tanto nell’adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (“casta") quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza (“meretrix”)».
Oppure la nota a piè di pagina 668 in cui egli mostra il senso originario – platonico e antimondano invece che aristotelico – di un’altra citazione patristica abusata dagli innamorati del dialogo, quella della “Lettera a Diogneto”.
Le parole di Biffi che hanno subito le più rumorose contestazioni, negli anni scorsi, sono state quelle da lui dedicate alla questione dell’immigrazione musulmana in Italia e in Europa. Nel libro egli riporta per intero i testi controversi. E così li commenta (pagina 590): «Pagine benedette, se sono servite a far uscire almeno per qualche momento la cristianità su questo pungente argomento da una inqualificabile spensieratezza travestita da altruismo».
Un’ultima notazione. Rispetto al diluvio di testi ecclesiastici, Biffi si distingue per sobrietà. Per densità teologica. Per totale assenza di retorica. E per ironia. Una virtù introvabile dentro la Chiesa. Ma assente anche fuori, tra i noiosi detrattori di questo vescovo così raro.
Sandro Magister