Conferenza Episcopale Italiana
CONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 19-22 settembre 2005
PROLUSIONE
DEL CARDINALE PRESIDENTE
Venerati e cari Confratelli,
il nostro Consiglio Permanente, rinnovato in larga misura con l’elezione dei nuovi Presidenti delle Commissioni Episcopali, oltre che di due Vicepresidenti della C.E.I., nell’Assemblea Generale di fine maggio, si riunisce in spirito di preghiera e di comunione fraterna, in particolare per procedere ad alcuni importanti adempimenti statutari e per preparare l’Assemblea Generale di novembre. Chiediamo al Signore di illuminarci e guidarci con il suo Santo Spirito perché le nostre riflessioni e deliberazioni contribuiscano al bene delle nostre Chiese e di tutta l’amata nazione italiana.
1. Il nostro primo pensiero va al Santo Padre Benedetto XVI che in questi mesi iniziali del suo Pontificato ha felicemente raccolto l’eredità del suo grande Predecessore, insegnandoci a gustare l’intimità dell’unione con Dio e la gioia della vita e della testimonianza cristiana.
Tutto ciò è avvenuto in maniera particolarmente intensa nell’incontro con i giovani e la sua patria, la Germania, a Colonia nella XX Giornata Mondiale della Gioventù, dove anche l’Italia è stata grandemente presente, con oltre 120.000 giovani accompagnati da moltissimi sacerdoti e religiose e da quasi cento Vescovi. Il nuovo Papa ha sottolineato la fecondità dell’intuizione, anzi della “ispirazione” con cui Giovanni Paolo II ha dato vita alle Giornate Mondiali della Gioventù, mostrando di saper capire i giovani, di aver fiducia in loro, e incitandoli ad essere “coraggiosi annunciatori del Vangelo e intrepidi costruttori della civiltà della verità, dell’amore e della pace”. Nello stesso tempo Benedetto XVI ha impresso il proprio stile alla XX Giornata della Gioventù, facendo emergere Gesù stesso, il Cristo eucaristico, come suo centro e protagonista. Lo ha impresso anche essendo pienamente se stesso, nella semplicità e gentilezza dei suoi atteggiamenti, nella gioia cristiana che traspare dal suo volto. Questo i giovani hanno immediatamente percepito e così quel medesimo legame di amore che li ha uniti a Giovanni Paolo II ha abbracciato Benedetto XVI, con una spontaneità e naturalezza che sono la testimonianza evidente della capacità dei giovani di vedere nella persona del Papa il Successore di Pietro e Vicario di Cristo, oltre che dell’autenticità del rapporto che Benedetto XVI ha subito saputo stabilire con loro.
Già nel discorso dal battello sul Reno egli ha indicato lo scopo essenziale di questa Giornata della Gioventù: giungere a contemplare, insieme con i Magi le cui reliquie sono venerate nella Cattedrale di Colonia, il volto di Dio svelato nel bambino del presepe. Perciò il Papa ha rivolto a tutti i giovani venuti alla Giornata Mondiale, anche ai non battezzati e non credenti, l’invito “insistente”: “spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Consentitegli il ‘diritto di parlarvi’ …! Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso! … fate l’esperienza liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini”.
Nella veglia del sabato sera a Marienfeld, culminata nell’adorazione del Santissimo Sacramento, e poi nell’omelia della Messa la mattina seguente Benedetto XVI ha sviluppato e approfondito questo pensiero, in chiave eucaristica: il Dio che si è rivelato nel bambino di Betlemme è molto diverso dal Dio che noi potevamo immaginarci, il suo modo di agire è ben diverso da quello degli uomini, e in specie dei potenti del mondo. Infatti, con le parole pronunciate sul pane e sul vino nel cenacolo Gesù anticipa la propria morte, “l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore”. La crocifissione, che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa così un atto di amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale, l’unica in grado di suscitare un processo il cui termine è la trasfigurazione del mondo, fino a che Dio sia tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28): questo decisivo atto di amore trasforma infatti in amore anche la morte e così la supera dal di dentro, rendendo presente in lei la risurrezione.
Il Papa ricorre qui a un’immagine forte e attuale, quella della “fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere”, per indicare questa intima esplosione del bene che vince il male e può davvero suscitare la catena di trasformazioni che cambiano e rinnovano il mondo. È questa la vera rivoluzione di cui l’umanità ha, da sempre, profondo bisogno e desiderio: al contrario, le rivoluzioni del secolo XX, il cui programma comune era di non attendere più l’intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo, dovevano per forza assolutizzare ciò che è relativo, prendere un punto di vista umano e parziale come misura assoluta di orientamento. Ma l’assolutizzazione del relativo è l’essenza del totalitarismo: invece di liberare l’uomo gli toglie la sua dignità e lo schiavizza.
In concreto, la trasformazione fondamentale che avviene nell’Eucaristia esige e produce anzitutto la trasformazione nostra: veniamo cioè uniti a Cristo e al Padre e diventiamo così realmente capaci di sottometterci a Dio, di fare di Lui la misura del nostro vivere, con un atto che non ci estranea da noi stessi, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere. È questo il senso pieno dell’adorazione, che ha costituito il centro di gravità della XX Giornata Mondiale della Gioventù. Perciò il Papa ha detto ai giovani che l’Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita e dare senso e significato alla nostra domenica, giorno di Cristo, giorno dell’inizio della creazione e insieme giorno della redenzione, giorno della festa che Dio stesso prepara per noi. Con l’amore all’Eucaristia possiamo riscoprire anche il sacramento della riconciliazione, “nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita”.
Tutto ciò tocca e coinvolge quanto vi è di più intimo e personale in ciascuno di noi, ma al contempo ci unifica e ci mette in gioco tutti insieme, come corpo di Cristo che è la Chiesa, non collettività anonima ma comunione di persone. Benedetto XVI ha insistito sul legame intrinseco della Chiesa con il Cristo eucaristico, sulla sua apertura universale quale “grande famiglia di Dio”, che abbraccia tutti i continenti, le culture e le nazioni, il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro, i santi ma anche – per nostra consolazione e speranza – i peccatori. Proprio i santi sono i veri riformatori che tante volte hanno risollevato la storia dalle valli oscure nelle quali essa è sempre in pericolo di sprofondare: attraverso di loro il Signore ha aperto e continua a sfogliare davanti a noi le pagine del Vangelo.
Su queste basi il Papa ha formulato, nella parte finale dell’omelia della domenica mattina a Marienfeld, un grande appello alla missione: “Colui che ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una vera gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla”. Questo appello diventa ancora più forte e urgente in presenza di “una strana dimenticanza di Dio” che esiste oggi in vaste parti del mondo e genera insoddisfazioni e frustrazioni, come anche di una religione “fai da te”, di un Dio privato e un Gesù privato, che possono essere comodi ma alla fine ci lasciano soli. Perciò il Papa ha chiesto ai giovani di conoscere sempre meglio Cristo e il Padre, come ci vengono mostrati nelle Sacre Scritture e si rivelano viventi ad opera dello Spirito Santo nella Chiesa, per poter condurre in modo convincente gli altri verso di Loro.
La nostra comunione nell’unico corpo di Cristo deve manifestarsi inoltre in tutta la concretezza della vita: quindi nell’impegno per il prossimo, fino a quello “estremamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino”. La comunione con Cristo ci apre infatti gli occhi, ci porta a scoprire che è molto più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. “Io so – ha concluso Papa Benedetto – che voi giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo”.
Un aspetto nuovo e particolarmente significativo della XX Giornata Mondiale della Gioventù è stato l’incontro con i seminaristi, voluto dal Papa “perché emergesse … in tutta la sua importanza la dimensione vocazionale”, che gioca un ruolo sempre più grande in queste Giornate. Il seminarista, infatti, “vive la bellezza della chiamata nel momento che potremmo definire di ‘innamoramento’”, si trova cioè in un momento forte di ricerca di un rapporto personale con Cristo e solo facendo esperienza personale di Cristo può comprendere la sua volontà e quindi la propria vocazione: è questo il compito e lo scopo essenziale del seminario, tempo destinato alla formazione e al discernimento, in cui è decisivo il ruolo dei formatori. Specialmente parlando ai seminaristi Benedetto XVI ha messo in luce la figura di Maria e il suo compito di farci vedere, toccare, prendere tra le braccia Gesù suo figlio: attraverso l’esperienza del seminario, infatti, il seminarista non vede più la Chiesa “dall’esterno”, ma la sente per così dire “dall’interno”, come la propria casa, “perché casa di Cristo, dove abita Maria sua madre”. Preso nel suo testo integrale, questo discorso di Benedetto XVI ai seminaristi offre stimoli e orientamenti quanto mai importanti anche per la nostra prossima Assemblea Generale di Assisi e per il documento sulla formazione al ministero presbiterale nella Chiesa italiana, che dovrà esservi discusso e approvato.
La Giornata della Gioventù di Colonia è stata dunque, come quelle che l’hanno preceduta, una grande esperienza di fede e di cristianesimo vissuto, grande non solo per il numero e l’entusiasmo dei partecipanti, ma più profondamente per l’autenticità della preghiera, il senso della comune appartenenza a Cristo e alla Chiesa, la generosità dell’impegno anche nel sopportare le immancabili fatiche e disagi: alla fine per la gioia e la maturità cristiana di tanti giovani. Essa è un segno e un’ulteriore conferma che i giovani, prima e più di altri, percepiscono che un mondo senza Dio non è capace di offrire un senso alla nostra esistenza.
Questa XX Giornata, forse più delle precedenti, con la sua intensa e palpabile atmosfera di preghiera, come con quella straordinaria disponibilità all’ascolto e al dialogo che noi Vescovi abbiamo potuto cogliere nelle catechesi, si connette in modo facile e spontaneo al lavoro quotidiano della pastorale giovanile, quale può essere svolto nelle nostre parrocchie, gruppi e movimenti. Diventa più agevole così superare la temuta ma scarsamente fondata divaricazione tra pastorale “feriale” e grandi eventi. Al contrario, tra loro vi è sostegno reciproco: senza l’opera e la fatica costante di un gran numero di sacerdoti, di educatori e di giovani ben difficilmente avremmo avuto una presenza italiana tanto numerosa a Colonia, mentre da Colonia stessa partono indicazioni davvero preziose per i modi e le priorità con cui la pastorale giovanile va curata nelle nostre Diocesi.
Nell’Angelus di domenica 28 agosto Papa Benedetto ha ripetuto quello che aveva già detto a Colonia ai Vescovi tedeschi: “i giovani hanno lanciato ai loro Pastori, e in certo modo a tutti i credenti, un messaggio che è al tempo stesso una richiesta: ‘Aiutateci ad essere discepoli e testimoni di Cristo. Come i Magi, siamo venuti per incontrarlo e adorarlo’”. Come Vescovi italiani ci sentiamo profondamente interpellati da questa richiesta e, con l’aiuto del Signore, cercheremo di corrispondervi con rinnovata fiducia, slancio e concretezza, affinché sia data ad ogni giovane e ragazza disponibile la possibilità di una genuina esperienza di Cristo e la nostra pastorale abbia chiaro davanti a sé questo obiettivo centrale e insostituibile.
Si può inoltre affermare che gli interventi del Papa alla XX Giornata Mondiale della Gioventù costituiscono la migliore preparazione immediata al Sinodo dei Vescovi ormai imminente, che sarà dedicato all’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, dal quale attendiamo che sia posta in piena luce la bellezza e grandezza del Mistero eucaristico, sacrificio, memoriale e convito di Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del mondo.
A Colonia Benedetto XVI ha compiuto una visita altamente significativa alla Sinagoga ed ha incontrato i rappresentanti sia delle altre Chiese e Comunità cristiane sia delle Comunità musulmane. L’incontro ecumenico gli ha offerto l’opportunità di ribadire, sulla scia del Concilio, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, che il ricupero della piena e visibile unità dei cristiani costituisce una priorità del suo Pontificato. Ha insistito pertanto sul dialogo ecumenico e sulla nostra fraternità, che “non è semplicemente un vago sentimento e nemmeno nasce da una forma di indifferenza verso la verità” ma si fonda sulla realtà soprannaturale dell’unico Battesimo, ed ha messo in luce la centralità dell’ecumenismo spirituale. Particolarmente significativa la sottolineatura di due priorità nel dialogo ecumenico: da una parte quella di approfondire il rapporto tra la Parola di Dio, i testimoni di questa Parola nella successione apostolica e la “regula fidei” come sua chiave interpretativa; dall’altra parte le grandi questioni etiche di oggi, sulle quali siamo chiamati a dare una testimonianza comune e non vaga, per non venir meno al nostro dovere di credenti in Cristo di fronte agli uomini del nostro tempo.
Anche negli incontri con gli ebrei e con i musulmani il Papa si è richiamato agli insegnamenti del Vaticano II, sottolineando la necessità di andare avanti sulle linee indicate dalla Dichiarazione conciliare Nostra aetate, con l’esclusione di qualsiasi discriminazione tra gli uomini – in particolare dell’antisemitismo – e con la più ferma condanna del terrorismo, “scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. È questo il dovere soprattutto di coloro che hanno responsabilità di guida e di insegnamento, particolarmente nei confronti delle nuove generazioni: esse vanno educate ad ascoltare il messaggio scandito “dalla voce sommessa ma chiara della coscienza” sulla dignità e sui diritti della persona, scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo per attuarlo.
Già nel saluto iniziale all’aeroporto di Colonia-Bonn Papa Benedetto aveva messo in evidenza come nella Giornata Mondiale della Gioventù veniamo richiamati a uno spirito e a un atteggiamento di sincera e universale accoglienza, alla “virtù quasi scomparsa dell’ospitalità, che appartiene alle virtù originarie dell’uomo”. A Colonia è emerso con grande nettezza il suo peculiare carisma di tenere insieme apertura universale e identità cattolica, testimonianza limpida e integrale della verità di Cristo e dolcezza dell’amore fraterno, secondo le parole della prima Lettera di Pietro (3,15): “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. … con dolcezza e rispetto”.
I giorni trascorsi a Colonia sono stati anche l’occasione per un incontro, intenso, commosso e gioioso, del nuovo Papa con la Germania sua patria: da questo incontro è uscita rafforzata la convinzione che Benedetto XVI sarà una grande benedizione in particolare per la Germania credente.
2. Il 28 giugno il Papa ha promulgato e presentato, nel corso di una breve celebrazione di preghiera, il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel Motu proprio per l’approvazione e la pubblicazione e nell’omelia pronunciata nella circostanza ha sottolineato anzitutto come questo Compendio non sia un’opera a sé stante e non miri in alcun modo a sostituire il Catechismo, ma piuttosto rinvii continuamente ad esso, ne ricalchi fedelmente il contenuto e la struttura e intenda risvegliare l’interesse nei suoi riguardi. Il Compendio “è un rinnovato annuncio del Vangelo oggi”: nella sua brevità, mediante la forma dialogica ripropone un dialogo ideale tra il maestro e il discepolo, attraverso una sequenza incalzante di interrogativi che coinvolgono il lettore e lo invitano a proseguire nella scoperta dei sempre nuovi aspetti della verità della fede. Le immagini che scandiscono l’articolazione del Compendio, provenendo dal grande patrimonio dell’iconografia cristiana, sono a loro volta autentica predicazione evangelica: l’immagine sacra infatti, sempre e particolarmente nell’attuale civiltà dell’immagine, è altamente efficace nel suo dinamismo di comunicazione e trasmissione del messaggio di Cristo.
Il grande successo di vendita che il Compendio sta avendo è un segnale assai confortante di quella sete della verità salvifica che è presente anche dove forse non l’attenderemmo. Come ha detto a Colonia Papa Benedetto, proprio in riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica e al suo Compendio, ovviamente i libri da soli non bastano, occorrono delle comunità formate sulla base della fede, che oggi per grazia del Signore vanno crescendo: seguendo l’esempio offertoci dal Papa parlando ai giovani a Colonia, siamo chiamati a proporre la verità di Cristo con persuasiva chiarezza e dolcezza e così a introdurre noi stessi e i nostri fratelli nell’intimità di Dio, attraverso un cammino che è di catechesi, ed anche di catechesi mistagogica, ma è al contempo di evangelizzazione, essendo in grado di suscitare autentica attenzione a Cristo. Su questa strada noi Vescovi italiani, insieme alle nostre Chiese, ci muoviamo da molto tempo e proprio in questi ultimi anni abbiamo rinnovato l’impegno e la ricerca: il nuovo Compendio, e soprattutto l’insegnamento e la testimonianza di Papa Benedetto, sono un dono prezioso e una forte indicazione per progredire ulteriormente.
La sera dello stesso 28 giugno ho presieduto, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la sessione di apertura dell’Inchiesta diocesana in vista della beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II. È stato un momento di intensa commozione e di prorompente entusiasmo, nel quale abbiamo tutti avvertito la presenza viva e benefica di questo grande Pastore e testimone di Cristo e abbiamo sentito con rinnovata profondità la misura straordinaria del debito che abbiamo nei suoi confronti. Questa medesima presenza continua ad accompagnare e sostenere il cammino della Chiesa e del nuovo Pontefice, come si è potuto avvertire con speciale evidenza a Colonia nella Giornata Mondiale della Gioventù.
Un evento che ha provocato dolore e costernazione è stata l’uccisione di Frère Roger Schutz, fondatore della Comunità di Taizé, la sera del 16 agosto durante la preghiera dei vespri. Si è conclusa così, in modo inopinato e drammatico, l’esistenza terrena di questo grande apostolo dell’unione tra i cristiani e dell’incontro dei giovani con Cristo. La sua esperienza spirituale e la Comunità a cui egli ha dato vita hanno rappresentato e continuano a rappresentare per un numero straordinariamente grande di persone e di gruppi, anche in Italia, un eccezionale stimolo alla sequela di Cristo. Lo accompagniamo con la preghiera e la gratitudine, chiedendo per la Comunità da lui nata il dono di continuare in fedeltà e pienezza la missione per la quale egli ha speso tutto se stesso.
3. Cari Confratelli, abbiamo assistito con dolore alle ripetute catastrofi naturali che hanno funestato i mesi estivi, in diverse regioni del mondo. È stato pesante, in particolare, il bilancio delle vittime delle alluvioni di fine luglio nell’India settentrionale. Molti morti, specialmente in Romania, hanno causato anche le inondazioni di fine agosto nell’Europa centro-orientale; in seguito il tifone “Nabi” ha ucciso non poche persone e causato gravissimi danni in Giappone. Ma soprattutto hanno destato enorme impressione gli effetti devastanti dell’uragano “Katrina”, che si è abbattuto sulla Louisiana e ha provocato l’inondazione di New Orleans, con un altissimo e non ancora precisato numero di vittime. Si è avuta così una tragica conferma che anche in un Paese economicamente e tecnologicamente molto avanzato simili effetti rimangono possibili e ciò induce a una duplice considerazione: la prima riguarda la necessità di aumentare decisamente sia l’attenzione e le risorse per la prevenzione e la protezione rispetto alle singole catastrofi sia – soprattutto – l’impegno comune e universale per la tutela dell’ambiente in cui viviamo e in cui dovranno vivere le future generazioni. La seconda ci rimanda all’intrinseca fragilità che appartiene alla condizione umana, di creature – cioè – che aspirano a una pienezza di vita e di felicità e incrementano di continuo il proprio potere, ma restano pur sempre sottoposte ai pericoli, come ai benefici, che provengono dalla soverchiante potenza della natura, oltre a quelli che derivano dall’uso della propria libertà. Chi porta nel cuore la certezza che veglia su di noi quel Dio ricco di misericordia che ha dato per noi il proprio Figlio sulla croce sa che di fronte a tutte le vicende della vita è giusto affidarsi anzitutto alla preghiera e ricevere attraverso di essa le energie interiori per non considerare mai la morte fisica come l’ultima parola e per essere in concreto fratelli e solidali verso chi è nel dolore e nel bisogno.
In questi ultimi mesi sono state particolarmente numerose anche le sciagure dovute a incidenti e ad errori umani, con molte vittime tra le quali anche vari nostri connazionali, specialmente nell’ammaraggio forzato di un aereo il 6 agosto nei pressi di Palermo.
La minaccia peggiore, perché moralmente devastante rispetto ai vincoli della convivenza umana, rimane purtroppo quella del terrorismo. Il 7 luglio esso ha proditoriamente colpito Londra, con tecniche in certa misura analoghe a quelle che erano state impiegate a Madrid, provocando molte vittime – tra cui una italiana – e numerosissimi feriti. Il 21 luglio l’attacco a Londra si è ripetuto su scala minore, aumentando però fortemente il timore e l’allarme tra la popolazione. Subito dopo, nella notte tra il 22 e il 23 luglio, una serie di esplosioni a Sharm el Sheikh causava una strage tra i turisti, compresi sei italiani, e tra la popolazione locale. A questa minaccia, che non può avere giustificazioni, occorre continuare a reagire nella maniera più efficace e solidale, senza però commettere l’errore di riconoscere ai terroristi il titolo, infondato, di rappresentanti del mondo islamico. È giusto invece porre in essere le misure necessarie per prevenire – per quanto possibile – gli attentati e per mettere a tacere coloro che incitano a commetterli, e al contempo favorire quelle posizioni che perseguano sinceramente un’integrazione degli immigrati islamici pacifica e rispettosa delle regole della nostra convivenza.
Le possibilità di superare la minaccia del terrorismo sono chiaramente collegate all’evolversi della situazione nel Medio Oriente. Al riguardo le notizie che giungono dall’Iraq diventano per un aspetto sempre più preoccupanti: si susseguono infatti senza sosta le stragi, che colpiscono soprattutto la popolazione civile, oltre alle forze armate irachene che si vanno costituendo, arrivando a massacrare bambini e uomini in preghiera. Sarà d’altronde sottoposto a referendum il testo della nuova Costituzione, frutto di un lungo e faticoso negoziato che non ha però ottenuto il consenso di una delle principali componenti di quella nazione. Appare indispensabile pertanto insistere nel coinvolgimento democratico della popolazione, che nonostante tutto continua a dare segni di una grande volontà di riscatto e di ripresa, e fare ogni sforzo per raggiungere accordi condivisi tra tutte le componenti, salvaguardando al contempo il criterio fondamentale della libertà religiosa. I nostri militari hanno pagato un ulteriore prezzo di sangue per il servizio che stanno compiendo in Iraq, con la morte di quattro di loro – Giuseppe Lima, Marco Briganti, Massimiliano Biondini e Marco Cirillo – a fine maggio per la caduta di un elicottero e poi con l’incidente d’auto in cui è perito il sergente Davide Casagrande: la nostra preghiera accompagna ciascuno di essi e le loro famiglie. Una notizia desiderata e positiva è stata invece la liberazione in Afghanistan di Clementina Cantoni, dopo un sequestro durato 24 giorni.
In Terra Santa lo sgombero degli insediamenti israeliani dalla striscia di Gaza e il successivo totale ritiro delle truppe sono un fatto di grande significato, che può rappresentare un passo importante verso la pace. Purtroppo le prime reazioni in campo palestinese, con il triste spettacolo dell’incendio delle sinagoghe, e più in generale con le difficoltà a far valere le regole minime di una convivenza ordinata, confermano che il percorso verso questa meta rimane molto arduo e accidentato. Proprio la memoria dei troppi anni di sofferenze e di contrasti senza uscita dovrebbe spingere però entrambi i popoli e le loro guide, con il sostegno sincero della comunità internazionale, a non lasciar cadere l’occasione favorevole che ora si è presentata.
La situazione di gran parte del continente africano continua a interpellare la coscienza dell’umanità e si è fatta quest’anno ancora più grave, con la tremenda carestia che ha colpito il Niger e la maggior parte delle nazioni della cintura sub-sahariana. La nostra Conferenza Episcopale ha stanziato a fine luglio una cifra consistente per gli aiuti urgenti, volti ad impedire la morte per fame, che colpisce specialmente i bambini: si tratta però di ben piccola cosa di fronte alle dimensioni delle tragedia. Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e quello dell’ONU sullo sviluppo umano confermano che sono milioni i bambini uccisi ogni anno nel mondo dalla miseria e che gli obiettivi di sviluppo prefissati sono lontani dall’essere raggiunti, sebbene anche in Africa vi siano vari segnali di una crescita sociale e civile, oltre che economica, che si sta avviando. La riunione del G 8 svoltasi in luglio ad Edimburgo ha approvato un piano di azione e collaborazione per l’Africa, con un aumento degli aiuti e con l’azzeramento del debito a un buon numero dei Paesi più poveri, mentre i Capi di Stato africani presenti si sono a loro volta impegnati a promuovere la democrazia e a combattere la corruzione. Occorre sperare che queste decisioni, da entrambe le parti, siano onorate con i fatti, più e meglio che nel passato. In questo panorama una nota certamente lieta è rappresentata dall’incontro svoltosi a Roma, presso la Comunità di S.Egidio, tra il Presidente della Repubblica e il capo dell’opposizione del Togo, con il reciproco impegno di fermare le violenze che da troppo tempo estenuano questo poverissimo Paese.
4. Il cammino dell’Unione Europea ha subito una pesante battuta d’arresto con l’esito negativo dei referendum sul Trattato costituzionale in Francia e in Olanda, a cui ha fatto seguito il mancato accordo sul finanziamento del bilancio comunitario al vertice dei Capi di Stato e di Governo tenutosi in giugno a Bruxelles. Il medesimo vertice ha deciso di avviare una “pausa di riflessione”, con la proroga dei termini entro i quali ratificare il Trattato. Non è il caso di minimizzare la serietà dei problemi e le implicazioni delle scelte che l’Unione Europea ha davanti a sé: si tratta infatti quasi di ridefinire i propri obiettivi e di proporzionare ad essi le strutture dell’Unione ed i suoi eventuali ulteriori allargamenti. A tal fine servono soprattutto una sincera assunzione di responsabilità da parte dei Governi nei confronti dell’Unione ed una più coerente applicazione del principio di sussidiarietà, cosicché nel sentimento dei popoli l’appartenenza all’Europa unita non sia percepita come confliggente con le singole appartenenze nazionali, ma piuttosto come la condizione perché le nazioni stesse, insieme, possano avere un futuro adeguato.
Un evento fortemente significativo per la causa non solo della Polonia ma dell’Europa, della sua libertà e della sua stessa unità, è stata la celebrazione, a Danzica il 31 agosto, del XXV anniversario della nascita di Solidarnosc. Il Messaggio del Santo Padre al suo Inviato Speciale, il nuovo Arcivescovo di Cracovia Mons. Stanislao Dziwisz, a tutti noi caro come Segretario di Giovanni Paolo II, e l’omelia dello stesso Mons. Dziwisz ci hanno fatto rivivere la novità di quell’esperienza e ne hanno riproposto la grande eredità.
Il 28 luglio l’IRA ha annunciato che rinuncia definitivamente alla lotta armata: è una svolta storica per l’Irlanda e un forte segno di speranza per l’Europa e per l’umanità, di cui ringraziamo anzitutto il Signore. A Lui chiediamo che anche gli “Unionisti” scelgano presto e risolutamente la medesima strada.
5. La situazione italiana si presenta di non facile lettura. Crescono infatti, con l’approssimarsi della scadenza elettorale, le tensioni sul versante politico, con i nodi delle ipotesi di modifica della legge elettorale e del possibile intreccio con l’approvazione della riforma della seconda parte della Costituzione. Da parte nostra continuiamo ad attenerci senza incertezze alla linea di non coinvolgerci con scelte di schieramento politico o di partito e di richiamare invece all’attenzione di tutti, e in particolare dei credenti, i principi e criteri dell’insegnamento sociale della Chiesa, che non riguardano “interessi cattolici” ma il bene dell’uomo.
È stata definitivamente approvata la riforma dell’ordinamento giudiziario ed ora si attendono i decreti delegati che il Governo dovrà promulgare per rendere la riforma operativa. È vivamente auspicabile che almeno in quest’ultimo passaggio possa essere raggiunto un qualche livello di intesa, che valga a raffreddare i contrasti tra le Istituzioni.
Il quadro economico presenta segnali contraddittori, tra difficoltà che persistono e sembrano aggravarsi e dati in controtendenza che mostrano invece come siano reali e significative le possibilità di ripresa. L’incessante rincaro del petrolio pone purtroppo una pesante ipoteca sullo sviluppo, specialmente in un Paese come il nostro, che dipende da questa fonte di energia in misura sproporzionata e assolutamente eccessiva: il problema riguarda ad ogni modo l’intera economia mondiale e richiede di essere concretamente e responsabilmente affrontato, impegnandosi a sviluppare le tecnologie che ne consentano la soluzione.
Molto importante per aiutare l’economia italiana a camminare con passo meno incerto e per dare maggior respiro alla stessa vita sociale sarà senza dubbio la prossima legge finanziaria, attualmente in via di presentazione. Rinnoviamo con forza l’auspicio che essa prenda sul serio quelle esigenze fondamentali e di lungo periodo della società e della famiglia sulle quali abbiamo tante volte richiamato l’attenzione.
Il panorama politico, economico e mediatico è stato molto agitato in questi mesi dalle vicende che fanno riferimento al controllo di alcuni istituti di credito e al ruolo esercitato in proposito dalla Banca d’Italia e dal suo Governatore. Senza esprimerci nel merito di queste specifiche questioni, che di per sé non rientrano certo nelle competenze di noi Pastori, sembra doveroso sottolineare la necessità di porre fine, per quanto possibile, a quell’abuso della pubblicazione sugli organi di stampa delle intercettazioni disposte dall’Autorità giudiziaria che da troppi anni condiziona la vita della nostra Repubblica ed ha prodotto gravi danni alle persone e guasti difficilmente riparabili alla dialettica politica e al funzionamento delle Istituzioni.
Venerdì 24 giugno il Santo Padre si è recato in visita ufficiale al Quirinale, ricambiando la visita che il Presidente della Repubblica gli aveva fatto già nei primi giorni del Pontificato. Nel suo discorso Benedetto XVI, oltre a sottolineare i legami tanto antichi e fecondi tra la Chiesa e l’Italia, ha precisato come sia legittima “una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione”. Infatti “l’autonomia della sfera temporale non esclude un’intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell’uomo e del suo eterno destino”. Il Papa si è pertanto augurato che il popolo italiano “non solo non rinneghi l’eredità cristiana che fa parte della sua storia, ma la custodisca gelosamente e la porti a produrre ancora frutti degni del passato”.
Il Santo Padre ha poi segnalato alcune preoccupazioni “che, per il loro carattere universalmente umano, non possono non interessare anche chi ha la responsabilità della cosa pubblica”. Tra queste la tutela della famiglia fondata sul matrimonio, quale è riconosciuta anche nella Costituzione italiana (art. 29), che deve essere difesa “da ogni attacco mirante a minarne la solidità e a metterne in questione la stessa esistenza”. Parimenti la salvaguardia della vita umana dal suo concepimento fino al sua termine naturale. Inoltre l’educazione e la scuola, la cui funzione “si connette alla famiglia come naturale espansione del compito formativo di quest’ultima”: in proposito, ferma restando la competenza dello Stato a dettare le norme generali dell’istruzione, il Papa ha espresso l’auspicio “che venga rispettato concretamente il diritto dei genitori ad una libera scelta educativa, senza dovere sopportare per questo l’onere aggiuntivo di ulteriori gravami”.
Il discorso di Benedetto XVI offre dunque indicazioni preziose per la vita della nostra nazione ed anche per il nostro specifico ruolo di Pastori. In particolare riguardo alla scuola desideriamo far giungere, all’inizio dell’anno scolastico, l’augurio più cordiale ai docenti, agli alunni e alle loro famiglie e a tutto il personale, ben sapendo come la riuscita dei processi formativi dipenda in primo luogo dallo spirito e dall’impegno di quanti vi operano in concreto.
La scuola italiana oggi è chiamata ad affrontare un compito abbastanza recente e che però cresce rapidamente nelle sue dimensioni: quello di accogliere ed educare i figli degli immigrati. Confidiamo che in questa materia, tanto delicata quanto importante per il nostro futuro, possa consolidarsi un clima di sincera e operosa collaborazione.
A proposito della partecipazione all’insegnamento della religione sono stati divulgati ad agosto dei dati completamente inattendibili, sui quali sono state costruite artificiose interpretazioni circa un presunto massiccio allontanarsi dei giovani dalla fede e dalla Chiesa. In realtà i dati forniti a settembre dal competente Ministero, e corrispondenti a quelli da molto tempo monitorati ogni anno dalla nostra Conferenza Episcopale, attestano che la percentuale degli alunni avvalentisi di tale insegnamento rimane straordinariamente elevata, sfiorando il 96% nella scuola materna ed elementare e superando il 94% nelle medie inferiori e l’87% nelle superiori. La diminuzione che si è registrata è invece lievissima e non realmente significativa. Deve essere comunque grande e crescente il nostro comune impegno perché ai bambini, ai ragazzi e ai giovani siano offerti un insegnamento e una testimonianza di vita che rispecchino la verità e la bellezza del messaggio cristiano.
6. L’esito dei referendum sulla legge della procreazione assistita ha confermato, in una misura più ampia del previsto, che l’indicazione di non partecipare al voto era non solo efficace praticamente ma anche in sintonia con il sentire della grande maggioranza della nostra gente. Il dato alla fine più rilevante emerso da questa consultazione è proprio la saggezza del popolo italiano e la sua attenzione ai valori portanti della convivenza. Ma sono stati anche estremamente importanti il grande impegno unitario dei cattolici e la sincera e concreta convergenza con numerosi e assai significativi rappresentanti della cultura laica. Un ruolo essenziale hanno avuto in particolare quegli uomini di scienza che hanno saputo mostrare pubblicamente come la ricerca possa svilupparsi senza contraddire i fondamentali criteri etici e antropologici.
Sotto tutti questi profili è stata determinante l’opera del Comitato “Scienza & Vita”, che si è rapidamente e capillarmente ramificato sull’intero territorio nazionale: le energie e le esperienze che in esso si sono raccolte costituiscono un patrimonio grande e prezioso, che non deve essere disperso ma al contrario valorizzato e incrementato, in ordine a tutta una serie di problematiche rispetto alle quali i referendum sulla procreazione assistita hanno rappresentato solo un momento iniziale, sebbene importante e illuminante, e che riguardano non solo il nostro Paese ma, sempre più, l’intera comunità internazionale.
Occorre aver chiaro, in concreto, che gli sviluppi delle biotecnologie possono indirizzarsi, come già avviene in larga misura, su una strada che prescinde dall’indole specifica del soggetto umano, o anzi espressamente la nega e la contesta, considerando l’uomo soltanto un essere della natura e giungendo anche a teorizzare il superamento del livello attuale dell’umanità proprio attraverso il ricorso alle biotecnologie (rivelatore in proposito un articolo pubblicato già nel 2001 sul settimanale Die Zeit dal giovane filosofo tedesco Marc Jongen, con il titolo “L’uomo è il suo proprio esperimento”). Perché una simile linea non prevalga non sono sufficienti i pur fondamentali richiami etici e nemmeno le affermazioni di principio che non vi è contrasto tra scienza ed etica: è necessario incrementare e sostenere concretamente le ricerche e le tecnologie che si muovono, a differenza dalle altre, nel rispetto e nella valorizzazione della specificità e dignità irriducibile del soggetto umano. È questo un obiettivo decisivo nel medio e lungo periodo, sul quale occorre un impegno forte e convergente che superi i confini degli Stati come delle appartenenze confessionali e raccolga tutte le capacità e le risorse disponibili: a un tale obiettivo non potranno mancare la nostra collaborazione e il nostro appoggio.
Un’altra tematica che ha evidenti implicazioni etiche, sociali e antropologiche e che nelle ultime settimane ha avuto in Italia grande rilievo mediatico è quella che riguarda le ipotesi e proposte di riconoscimento giuridico pubblico delle unioni di fatto. In questa materia l’insegnamento della Chiesa è chiaro ed è offerto a tutti, perché riguarda la realtà stessa dell’uomo e della donna. Benedetto XVI lo ha riproposto in maniera particolarmente pregnante nel discorso del 6 giugno scorso al Convegno della Diocesi di Roma dedicato alla famiglia. Il punto di partenza fondamentale è che “Matrimonio e famiglia non sono … una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui”. E il Papa ha aggiunto: “Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori nella realtà più privata della vita; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale e della profondità della persona umana”. Su queste basi ha poi affrontato la questione delle unioni di fatto, dicendo: “Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il ‘matrimonio di prova’, fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo”.
La Congregazione per la Dottrina della Fede, nella sua “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica”, datata 24 novembre 2002, annovera le unioni di fatto tra i “punti nodali nell’attuale dibattito culturale e politico”, affermando che alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso “non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale” (n. 4). Ad un’ampia trattazione di tutte queste problematiche è dedicato il Documento “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’” pubblicato nel 2000 dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Specificamente “circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” è intervenuta il 3 giugno 2003 la Congregazione per la Dottrina della Fede, fornendo anche precise argomentazioni razionali in contrario e indicazioni circa i comportamenti dei politici cattolici.
Nella concreta realtà italiana non vanno mai persi di vista, in primo luogo, il grandissimo ruolo sociale svolto dalla famiglia, qui assai più che in altri Paesi a noi vicini, e il contributo determinante che una famiglia autentica dà all’educazione dei figli. Il paradosso della nostra situazione è che il sostegno pubblico alla famiglia in Italia è invece molto minore, meno moderno e organico, pur in presenza di una gravissima e persistente crisi della natalità che sta già provocando, e causerà assai di più in futuro, ingenti danni sociali. Il sostegno alla famiglia legittima dovrebbe essere dunque la prima e vera preoccupazione dei legislatori.
Vi è poi da considerare che le convivenze o unioni di fatto sono sì in aumento, specialmente tra i giovani – pur restando a livelli decisamente inferiori che in altri Paesi –, ma esse, oltre ad essere almeno in parte provocate da difficoltà oggettive a dar vita a una famiglia che potrebbero essere rimosse con pubblici interventi adeguati, non sottintendono automaticamente alcuna richiesta di riconoscimento legale. Al contrario, la grande maggioranza delle unioni tra persone di sesso diverso si colloca nella previsione di un futuro possibile matrimonio, oppure vuole restare in una posizione di anonimato e assenza di vincoli. Anche le, assai meno numerose, unioni omosessuali non sempre sono alla ricerca di riconoscimenti legali: anzi, molte di loro ne rifuggono per principio e desiderano rimanere un fatto esclusivamente privato. Confermano tutto ciò i numeri davvero minimi delle iscrizioni ai “registri delle unioni civili” in quei comuni italiani che hanno voluto istituirli.
Per quelle unioni che abbiano desiderio o bisogno di dare una protezione giuridica ai rapporti reciproci esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni. Qualora emergessero alcune ulteriori esigenze, specifiche e realmente fondate, eventuali norme a loro tutela non dovrebbero comunque dar luogo a un modello legislativamente precostituito e tendere a configurare qualcosa di simile al matrimonio, ma rimanere invece nell’ambito dei diritti e doveri delle persone. Esse pertanto dovrebbero valere anche per convivenze non di indole affettivo-sessuale.
La nostra stessa Costituzione del resto, come ben sappiamo, nell’art. 29 intende con univoca precisione la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” e ne riconosce i diritti. Per conseguenza la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che la convivenza more uxorio non può essere assimilata alla famiglia, così da desumerne l’esigenza di una parificazione di trattamento.
Ben diversa è la direzione in cui procedono i “Pacs” istituiti in Francia, ai quali spesso ci si richiama, e, in maniera purtroppo ancora più marcata, varie proposte di legge presentate nel nostro Parlamento, una delle quali sottoscritta da 161 Deputati e poi da 49 Senatori. Al di là del nome diverso e di altre cautele verbali, esse sono infatti modellate in buona parte sull’istituto matrimoniale e prefigurano quello che si potrebbe chiamare un “piccolo matrimonio”: qualcosa cioè di cui non vi è alcun reale bisogno e che produrrebbe al contrario un oscuramento della natura e del valore della famiglia e un gravissimo danno al popolo italiano.
Cari Confratelli, anche negli ultimi mesi alcuni sacerdoti italiani sono stati uccisi in terra di missione: ricordiamo con commossa gratitudine il Vescovo Luigi Locati, che aveva speso la sua vita per il Kenya, Don Giuseppe Bessone, assassinato in Brasile, e il francescano Angelo Redaelli, ucciso nella Repubblica del Congo.
Vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre. Affidiamo queste giornate di lavoro comune all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante Patroni delle nostre Chiese.
Camillo Card. Ruini
Presidente