(Avvenire) Tettamanzi: il prete, testimone della gioia

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Il prete, testimone della gioia

Il cardinale Tettamanzi a Brescia rilegge con i sacerdoti lombardi l’esortazione apostolica di Paolo VI «Gaudete in Domino»: «Un aspetto fondamentale del nostro ministero»


Di Matteo Liut


L’uomo aspira alla felicità. E in questo assunto indiscutibile dell’umana esistenza, che spesso si scontra con l’asperità del vivere quotidiano, c’è tutta la verità della pedagogia divina, realizzata in Cristo. È un grande invito a ritrovare nella gioia uno degli assi portanti del proprio ministero quello che il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ha rivolto ieri ai sacerdoti delle diocesi lombarde riuniti a Brescia nel segno di Paolo VI. Sono arrivati in quasi 650 al teatro Sociale di Brescia da tutta la regione. Insieme per ascoltare, in questo 2003 in cui si celebrano i 40 anni dall’elezione e i 25 dalla morte, una delle pagine più significative del magistero di Montini: la lettera apostolica Gaudete in Domino, pubblicata il 9 maggio 1975.


Paolo VI è stato il primo e finora l’unico Papa a pubblicare un documento sul tema della gioia, ha ricordato Tettamanzi. Che ha invitato i presenti a «cogliere l’intimo rapporto che ci deve essere tra il ministero sacerdotale e la gioia cristiana». Una dimensione che trova il suo culmine nella contemplazione della vittora sulla morte del Cristo Risorto. Il documento del ’75 propone nelle prime pagine una valutazione della gioia «in una prospettiva umana, antropologica». Ma ciò su cui Tettamanzi ha voluto attirare l’attenzione che unisce «”gioia cristiana” e “gioia nella Spirito Santo, lo Spirito del Risorto”». Il cardinale ha guidato i sacerdoti lungo un percorso teologico e spirituale partendo dalla contemplazione del volto di Cristo quale «principio sorgivo di tutta la nostra azione spirituale e pastorale», secondo ciò che Giovanni Paolo II ha scritto nella Novo millennio ineunte. La vicenda di Gesù di Nazareth è infatti un esempio umano anche di gioia vissuta: «La sua felicità – ha sottolineato Tettamanzi – è soprattutto vedere la Parola accolta, gli indemoniati liberati, una peccatrice o un pubblicano convertirsi, una vedova sottrarre alla sua povertà per donare». Ma in Cristo la gioia si arricchisce dell a sua stessa singolarità, costituita dal «”mistero” di “una persona in due nature”». Ed è proprio nell’identità particolare di Cristo, vero Dio e vero uomo che «svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» – ha spiegato il cardinale citando la Gaudium et spes -, che la gioia si trasforma, assieme a tutta l’esistenza di chi si pone in contemplazione del suo volto.
Queste parole valgono, ovviamente, per tutti i cristiani. Ma per i presbiteri, ha continuato il porporato, hanno un significato particolare: «In virtù del triplex munus derivante dal sacramento dell’Ordine possiamo dire di essere abilitati e impegnati, come sacerdoti, ad “annunciare”, “celebrare” e “testimoniare” la gioia cristiana». Annunciare la gioia, secondo l’arcivescovo di Milano, significa «annunciare la persona di Gesù Cristo come la fonte, il contenuto, il senso e la meta della gioia».
Questa prospettiva arricchisce e dà senso anche alla celebrazione dei sacramenti, ma soprattutto alla testimonianza che i preti, nonostante le difficoltà del loro ministero, sanno dare con la loro vita di una gioia vissuta nel quotidiano, alimentata dal «fervore sacerdotale». In questo senso il cardinale ha invitato i presenti a chiedere al Signore «la grazia e la forza di vivere con animo sereno e gioioso le difficoltà, le fatiche, le prove, le sofferenze di vario genere legate al nostro stesso ministero sacerdotale». Citando ancora Montini, Tettamanzi ha concluso con una nota di speranza, quasi un appello, per i presbiteri presenti: «La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Sarà un violino vecchio questo nostro cuore; ma saprà tirar fuori ancora un accento di gioia, di sentimento, di commozione davanti a qualche mistero!».


Avvenire 5-9-2003