Sharia: «Noi cristiani due volte in minoranza»
Imposta nel 1983 dal governo di Khartum, la sharia, la
legge coranica, è stata l’elemento scatenante della
rivolta del Sud Sudan, guidata dall’Spla di John Garang.
La guerra civile, tuttora in corso, si è accanita
particolarmente contro le popolazioni del Sud, cristiane
o aderenti alle religioni tradizionali. Che continuano a pagare le conseguenze funeste di quella
che il presidente sudanese, Omar el-Bashir, continua a
definire “jihad”, ovvero guerra santa islamica contro le
comunità nere e non-musulmane: due milioni e mezzo di
morti in vent’anni e 4 milioni di profughi.
La nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1999, prevede,
almeno sulla carta, la libertà di religione, ma il governo
continua a considerare l’islam come religione di Stato e
vi si ispira sia a livello legislativo che politico.
Per questo, anche i vescovi, oltre alla società civile
sud sudanese, hanno chiesto che la nuova Costituzione,
prevista dagli accordi di Machakos, garantisca
un’autentica libertà religiosa e dia finalmente dignità
alla Chiesa cattolica, che nel Nord viene messa sullo
stesso piano di un’organizzazione non governativa.
«Il governo non può dire che esista libertà religiosa –
ha dichiarato a “Misna”, l’arcivescovo di Khartum,
Garbriel Zubeir Wako -. Dopo che dicemmo “no” alla
richiesta di registrarci come ong e presentammo le
nostre proposte come piattaforma di dialogo con il
governo, nel 1995, stiamo ancora aspettando una risposta
e un progetto di legge sul quale dovremmo pure poterci
esprimere».
Intanto, la situazione dei cristiani e dei non-musulmani,
sia al Nord che al Sud, resta critica.
Nelle regioni meridionali, non si sono mai arrestati –
almeno sino al recente cessate il fuoco, spesso violato –
i bombardamenti, le incursioni nei villaggi, i rapimenti
e gli stupri.
Specialmente nelle regioni in cui si estrae il petrolio,
da cui sarebbero state cacciate, nel corso del 2000,
circa 700mila persone, per la maggior parte cristiani.
Nel Nord, le autorità governative continuano a ostacolare
le attività dei cristiani, vietando loro qualsiasi opera
di evangelizzazione.
Il governo limita le riunioni e talvolta i visti ai
missionari cattolici e rifiuta i permessi per costruire
nuove scuole o chiese.
Particolarmente drammatica la situazione dei profughi sud
sudanesi che si ammassano nei campi alla periferia della
capitale.
La Chiesa cerca di portare un sostegno materiale e morale,
ma anche qui le difficoltà non mancano.
Molti profughi subiscono pressioni e sono costretti a
cambiare il proprio nome e a convertirsi all’islam se
vogliono ricevere qualche aiuto dal governo.
Al contrario, per un musulmano diventare cristiano è quasi
impossibile, significa tradire la propria famiglia e
tradire Dio.
Un gesto blasfemo punibile con la morte.
Nonostante questo, nell’arcidiocesi di Khartum la presenza
dei cristiani continua a crescere; circa 4500 giovani, per
la maggior parte provenienti dal Sud, vengono battezzati
ogni anno.
Anna Pozzi
(C) Avvenire, 6-5-2003