Icona del Figlio, devozione antica
Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone di Torino e vicedirettoredel Centro internazionale di sindonologia
Figura nodale della storia della Sindone è Geoffroy de Charny, prode cavaliere che nel basso Medioevo, alla metà del XIV secolo, consegnò alla chiesa da lui stesso fondata a Lirey, vicino a Troyes, il lungo lenzuolo sul quale era impressa la doppia immagine del corpo di un uomo torturato e crocifisso, da subito accolta dalla pietà popolare come la vera immagine del Crocefisso. Geoffroy e la sua famiglia tuttavia non ci hanno lasciato – o almeno non ci sono stati tramandati – documenti che ne chiariscono la provenienza, per cui, prima di quell’epoca, tutte le ipotesi sono possibili, e nessuna si rivela definitiva.
Alcune sono meno fantasiose di altre, ma purtroppo spesso sono proprio queste ultime a occupare con maggior insistenza gli spazi mediatici. Tuttavia questo silenzio delle fonti non si può interpretare quale inappellabile sentenza circa l’impossibilità di far risalire la Sindone ad epoca anteriore a quella medievale, anche perché alcune piste di indagine sono aperte ed invitano a ricercare ulteriori elementi.
Dal punto di vista dell’approccio alla Sindone quale «provocazione all’intelligenza», secondo la definizione di Giovanni Paolo II, è fondamentale il confronto diretto con il Lenzuolo, dal quale dobbiamo attendere delle risposte agli interrogativi di carattere scientifico. Per questo periodo credo dunque ci si debba limitare a prendere atto che non si può e non si deve escludere la possibilità storica dell’esistenza di un oggetto con le caratteristiche della Sindone oggi a Torino.
Credo importante ribadire quanto ho cercato di dimostrare in un mio recente libro: la storia della Sindone deve essere letta come una storia di profonda devozione, un importante passaggio della ricerca che ha coinvolto l’umanità credente fin dall’antichità nella ricerca del Volto del Figlio, vero Dio e vero uomo, attraverso un percorso che fruisce nel tempo di immagini di grande impatto, come il Mandylion di Edessa, la Veronica e la Sindone, che quindi sono legate da una forte e fondante continuità spirituale, per molti versi più significativa ed importante di un ipotetico legame materiale.
Dalla metà del Trecento in poi conosciamo invece con sufficiente precisione le vicende che hanno coinvolto la Sindone, ad iniziare dall’immediato interesse suscitato dalla sua comparsa, ma anche dal disagio che l’insolito oggetto suscita presso la gerarchia ecclesiastica timorosa di deviazioni dottrinali. In questo autunno del Medioevo constatiamo dunque che il culto della Sindone a livello ufficiale fu poco più che «tollerato».
Un’evoluzione del ruolo della sua presenza nella storia si registra dopo la cessione ai Savoia, avvenuta nel 1453. Con la regolamentazione attraverso la concessione dell’ufficio liturgico da parte di papa Giulio II finalmente il culto diviene «accettato» a tutti gli effetti, e le Ostensioni a Chambéry si fanno solenni e ricorrenti. Con lo spostamento a Torino nel 1578 inizia il vero periodo d’oro, dove il culto è «promosso» quale reliquia dinastica di Casa Savoia in ascesa, ma anche strumento privilegiato di pastorale e catechesi della Chiesa uscita dal Concilio di Trento, e ineguagliabile, struggente riferimento per la pietà popolare.
Un culto compatto e robusto, che tra fine Sette e Ottocento inizia a segnare un qualche cedimento per il ripensamento che anche in alcuni settori ecclesiastici viene elaborato al riguardo di forme di pietà e devozione. Rinnovato vigore al ruolo della sua presenza darà la fotografia fatta da Secondo Pia nel 1898, svelando il singolare comportamento di negativo fotografico dell’impronta e consentendo una capillare diffusione della sua riproduzione. Da tale evento ha origine il dibattito scientifico, che incontrastato presidia l’approccio con la Sindone nel XX secolo. Un approccio che alimentò discussioni e polemiche – ancora oggi non sopite –, e rischiò seriamente di compromettere il sereno e fecondo rapporto spirituale con la Sindone, subordinandolo alla questione scientifica.
Gli anni Settanta del secolo scorso furono quelli che più risentirono di questo conflitto, risolto tuttavia dalla profonda riflessione di Paolo VI in occasione dell’Ostensione televisiva del 1973, che chiarì, riequilibrandolo, il rapporto tra significato spirituale e curiosità scientifica. Su tale strada il cardinale Anastasio Ballestrero, appena giunto a Torino, animato dalla propria profonda spiritualità carmelitana, volle tornare all’Ostensione tradizionale, accompagnata da una attenta riflessione pastorale, che conobbe un’incredibile partecipazione di fedeli. Le Ostensioni del 1998 e del 2000, come anche quella che si sta per aprire, e soprattutto la riflessione che scaturisce dal profondo e basilare intervento che Giovanni Paolo II, pellegrino a Torino, tenne sulla Sindone, ne hanno compiutamente recuperato il significato pastorale, per altro mai realmente negletto. Il felice risultato di questa elaborazione del significato e ruolo ecclesiale della Sindone consente oggi ai fedeli di accostarsi con maggior responsabilità alla Sindone e a tutti di trarne i profondi spunti di riflessione di cui è ricca quell’immagine.