I NUOVI BEATI
Il vicepostulatore della causa di beatificazione mette in luce l’intensa spiritualità del religioso
Il frate che salvò l’Europa
Domani sugli altari anche il cappuccino Marco d’Aviano, «eroe» nell’assedio di Vienna del 1683.
Non impugnò armi, pregò solo per la pace
Da Aviano (Pn) Francesco Dal Mas
All’età di 68 anni, quando molti pensano alla pensione, padre Venanzio Renier lascia la presidenza del tribunale ecclesiastico del Triveneto e scopre che la causa di canonizzazione del suo “protettore”, padre Marco d’Aviano, avanza a rilento. «Venne iniziata nel 1891, quindi già in ritardo. E soltanto nel 1966 venne proposta la “positio” ai Consultori storici. Scrissi allora – ricorda – al provinciale dei Cappuccini del Veneto, padre Flavio Roberto Carraro, oggi vescovo di Verona. Era il 1977. Padre Flavio propose che me ne occupassi. L’anno successivo, un mese prima di diventare Papa, il Patriarca di Venezia, Albino Lucani, scriveva a Paolo VI che la glorificazione di padre Marco d’Aviano poteva contribuire a ridestare il senso del peccato in tante coscienze offuscato e a dare stimolo ed incoraggiamento ai banditori del Vangelo. Per questo – prosegue padre Venanzio – decisi di occuparmene; e non certo per la considerazione che alcuni hanno del frate avianese, come crociato contro l’is lam». Padre Marco d’Aviano domani sarà beato.
Padre Venanzio è il vicepostulatore della causa. L’11 maggio compirà 94 anni. Nato a Chioggia nel 1909, entrò in convento a Rovigo a 9 anni, due in anticipo sull’età che era consentita. «Non riuscivo a metter freno a questa vocazione», sorride. L’anzianità la porta molto bene, tanto che continua a disseminare le contrade del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto del messaggio del cappuccino nato ad Aviano nel 1631 e morto a Vienna il 13 agosto 1699. «Mi sono formato sugli stessi testi di mistica di padre Marco, ne ho seguito anche le regole, come quelle di tenere gli occhi bassi e di parlare con i compagni solo mezz’ora alla settimana, il giovedì, durante l’anno di noviziato. Quindi il confratello mi è stato un punto di riferimento per tutta la vita. Ma l’onore degli altari, se lo merita perché fu l’apostolo dell’atto di dolore perfetto». Padre Marco d’Aviano lo faceva recitare anche alle folle di 50, 100mila pellegrini che incontrava nell e sue predicazioni in giro per l’Europa. Padre Venanzio non perde occasione di ripeterlo oggi, dalle celebrazioni ai convegni. «Pentiamoci e recitiamo l’atto di dolore» dice, anzi ammonisce, anche se ha in platea le massime autorità politiche e religiose. «Padre Marco voleva che l’atto di dolore fosse perfetto, cioè fondato sulla fede, e soprattutto sull’amore all’infinita misericordia di Dio, alla passione del Cristo Redentore e alla bellezza della vita di grazia. L’atto di dolore perfetto ridona subito la grazia all’anima, anche se resta l’obbligo di riconciliarsi con la Chiesa attraverso la confessione».
Domani, in San Pietro, sarà presente anche il padovano Antonino Geremia, miracolato all’età di 6 anni, nel 1941, da padre Marco. Aveva una meningite cerebro spinale. Padre Venanzio non ha dubbi: prima che un pacificatore sociale e politico, se così si può dire, padre Marco è stato un pacificatore delle anime. Nel suo paese natale, Aviano, sono passati in questi giorni numerosi pel legrini provenienti da Vienna. Della capitale austriaca, infatti, è ritenuto “il salvatore”. «Ma lui non partecipò alle battaglie, non brandì il crocifisso come una spada. È vero, invece, che in quei giorni pregò molto, oltre che prodigarsi nella distribuzione di consigli. Il 12 settembre 1683, il giorno della fine dell’assedio turco a Vienna, salì sul Kahlenberg e si rivolse a Dio chiedendo il dono della liberazione, ma aggiungendo pure: allontana le genti che vogliono la guerra; da parte nostra lo sai, non amiamo altra cosa che la pace, pace con te, con noi, con il nostro prossimo. E la verità dei fatti sta a testimoniarlo. A Belgrado salvò 800 turchi, a Padova numerosi ebrei, con i protestanti ebbe una proficua collaborazione, soprattutto spirituale ma anche diplomatica. Incoraggiò, infatti, l’imperatore Leopoldo I d’Austria a stringere con loro un’alleanza». Padre Venanzio ricorda che già nel 1983 l’allora arcivescovo di Vienna, cardinale Franz Koenig additava padre Marco come uno de i principali costruttori dell’Europa «unita e formata dalla fede di Cristo».
«Oggi noi viviamo ed operiamo gomito a gomito con uomini che a volte portano avanti validamente il discorso dell’Europa al di fuori dell’ottica cristiana. Eppure anche con questi – scriveva Koenig e rilancia padre Venanzio – ha senso ed è fecondo di nuovi sviluppi il discorso europeo del cappuccino. V’è, infatti, un chiaro presagio di pluralismo culturale nella sua azione a favore dell’Europa».
26-04-2003