“Avvenire”, 6 ottobre 2002
** In scena la rivoluzione del quotidiano
Francesco Ognibene
** Santa quotidianità
Mimmo Muolo intervista l’arcivescovo Julián Herranz che fu amico e collaboratore del santo Josemaría Escrivá
Ordinario, quotidiano, comune. Insomma, niente di speciale. Ma nel
dizionario cristiano è proprio frugando dentro l’aggettivazione
dell’apparente grigiore che spunta il segreto della riuscita esistenziale di
quanti sono chiamati a “stare” nel mondo: senza clamori ed eroismi
ostentati, inanellando giornate tra loro pressoché identiche, alla scrivania
o nei lavori domestici, in cattedra, sui campi, crescendo i figli,
indossando un camice o una divisa. È esattamente lì che si scopre la
grandezza della vocazione all’umanesimo cristiano: tutti possono riuscirci,
ciascuno seguendo la propria strada, per quanto “normale” essa sia.
È il rincuorante messaggio della dottrina conciliare: un’esistenza davvero
riuscita, illuminata in ogni frazione del suo svolgimento, non è appannaggio
di categorie specifiche o elette, non è riservata ai titani della fede, ma è
una chance alla portata di tutti perché fa leva su una «chi amata»
trasversale che raggiunge ciascuno e interpreta al meglio l’istinto vitale
deposto in ogni cuore. Una meta impegnativa, certo: ma ce la si può fare.
Per davvero.
Eppure la tentazione è al sorrisino scettico. Santi? Non mi interessa, non è
il mio primo pensiero. Io voglio vivere e riuscire. Già. Forse che la
santità, sfrondata di orpelli, non è questo essere felici “in situazione”?
Oppure, si pensa, è al di fuori delle mie possibilità, un affare per
specialisti del settore. Già: com’è possibile conciliare l’ordinarietà con
la perfezione? Stridono al solo citarle. Ma è questo ossimoro esistenziale,
quest’unione degli apparenti opposti l’asse da cui si diparte una vita
umanamente ricca, professionalmente esuberante. E dunque non deve stupire se
oggi piazza San Pietro si colmerà di «fedeli» laici – a decine di migliaia,
da tutto il mondo – per assistere alla canonizzazione di Josemarìa Escrivà,
apostolo – diciamola la parola – della “santità” laicale. Uomini e donne
qualsiasi, attratti dall’ideale che questo sacerdote aragonese dalla
dirompente personalità che a Madrid, un bel mattino del 1928 – quarant’anni
prima del Concilio -, “vide” madri di famiglia e professionisti, studenti e
anziani, di tutte le condizioni economiche e i livelli culturali, che dentro
l’apparente anonimato di una vita simile a tutte le altre s’impegnavano per
ricondurre a Cristo ogni realtà umana, assumendosi in proprio responsabilità
e scelte. Laicamente, appunto. E tutto questo, secondo una celebre
espressione di Escrivà, «amando il mondo appassionatamente», e dunque non
ritenendolo una distrazione o un ostacolo rispetto al «siate perfetti»
evangelico. Cos’è dunque la santità se non l’instancabile sforzo di
accendere una luce dentro a quella quoti dianità che per troppi
contemporanei è logorante banalità, gioco narcisistico, corsa verso
l’assurdo?
Escrivà fondò l’Opus Dei perché diventasse strumento e percorso di santità
«nel bel mezzo della strada», una «grande scuola» per formare le anime una a
una, una «organizzazione disorganizzata» che muovesse all’apostolato e a
iniziative sociali infinite come infinita è la creatività dei laici. Niente
di più.
«Le vere biografie degli eroi della fede – disse – sono come la nostra
storia personale: lottavano e vincevano, lottavano e perdevano; in tal caso,
contriti, tornavano alla lotta». Cosa di più incoraggiante di questo
“segreto”?
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Santa quotidianità
Oggi il Papa canonizza il fondatore dell’Opus Dei, Josemaría
Escrivá Parla l’arcivescovo Julián Herranz che fu suo amico e collaboratore
Da Roma Mimmo Muolo
Alla parete dell’anticamera c’è un quadro che raffigura Gesù da
ragazzo, mentre aiuta san Giuseppe a tagliare alcune travi. L’arcivescovo
Julián Herranz lo indica e dice: «Quando lo guardo, penso che anche così il
Signore redimeva». Il presidente del Pontificio Consiglio per i testi
legislativi ha appena finito di parlare del beato Escrivá de Balaguer, che
oggi il Papa proclamerà santo. Un’intervista sul filo dei ricordi – lui che
lo ha conosciuto personalmente e che proprio per rispondere a un «invito» di
Balaguer venne a lavorare al Concilio come giovane canonista, rimanendo da
allora al servizio della Santa Sede – senza però perdere di vista
l’insegnamento e l’attualità del fondatore dell’Opus Dei. E quel quadro
sembra riepilogarli perfettamente. Santificarsi attraverso il lavoro e la
vita di tutti i giorni. «Proprio il cuore del messaggio di monsignor Escr
ivá», ricorda l’arcivescovo spagnolo, che ha 72 anni e dal 1994 è a capo del
dicastero che si può considerare come una sorta di Corte Costituzionale
della Chiesa. «Egli amava dire che questo suo insegnamento “è vecchio come
il Vangelo e, come il Vangelo, nuovo”».
In che senso?
Vecchio come il Vangelo, perché a tutti i cristiani, senza
eccezione, il Signore ha detto: “Siate perfetti come è perfetto il Padre mio
che è nei cieli”. Nuovo come il Vangelo, perché per svariati motivi si erano
col passare del tempo affievolite nella vita dei fedeli, le esigenze
ascetiche e apostoliche insite nel Battesimo. “Josemaría Escrivá – disse nel
1992 il cardinale Ratzinger – ha scosso la coscienza dei cristiani per
liberarli da questa apatia spirituale”. Per lo stesso motivo il Concilio
Vaticano II sentì il bisogno di richiamare con chiarez za la vocazione
universale alla santità nella Chiesa. Ricordo benissimo – io abitavo con
lui – con quale profonda gioia e ringraziamento al Signore monsignor Escrivá
accolse la promulgazione della Costituzione Lumen gentium. Ed è una felice
coincidenza che la sua canonizzazione avvenga a 40 anni dall’inizio del
Concilio.
Lei che ha avuto modo di conoscerlo personalmente, come lo
descriverebbe?
Mi è stata fatta la stessa domanda quando sono andato a deporre
per il suo processo di canonizzazione. Il presidente del tribunale mi chiese
di farne una biografia “in tre parole”. Dopo un attimo di stupore, io
risposi: “Me ne basta una sola: innamorato!”. Innamorato di Cristo, e
innamorato del mondo.
Escrivá ricorda che tutti i luoghi della quotidianità possono
“trasformarsi in altrettanti luoghi di incontro con il Signore”. Qual è il
segreto per una simile trasformazione?
Egli diceva che “c’è ; un qualcosa di santo nascosto nelle
situazioni più comuni”, qualcosa che tocca a ognuno di noi scoprire.
Infatti, oltre alle speciali chiamate alla vita sacerdotale e religiosa, Dio
chiama la generalità dei cristiani a santificarsi e a fare apostolato nelle
quotidiane realtà della vita ordinaria degli uomini: il lavoro, la famiglia,
le relazioni sociali. Dio è li, in queste realtà, che sono state create da
Lui e da Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, vissute e santificate: basta
pensare agli anni della sua vita a Nazaret. Tutte queste realtà non è che si
debbano “trasformare”, nel senso di creare una specie di “ecosistema
cristiano”, al margine del resto della società: si debbono piuttosto
“scoprire” nella loro dimensione divina, come luoghi cioè dell’incontro
personale con Dio, con la sua volontà, con il suo amore. Cristo non può
essere confinato tra l e mura delle chiese, dei conventi o nelle sagrestie.
E Josemaría Escrivá previene i fedeli contro la tentazione di condurre una
“specie di doppia vita”. Appunto perché Dio ha voluto che lavoro, famiglia,
impegni sociali, artistici, politici, sportivi siano occasione e mezzo di
santità e di apostolato.
Eppure proprio il mondo del lavoro è attraversato oggi da mille
tensioni. Che cosa direbbe oggi Escrivá, di fronte a questi fenomeni?
Forse direbbe: queste “crisi mondiali” sono “crisi di santi”.
Non proporrebbe soluzioni concrete, che spettano alla libertà dei cittadini.
Ma spingerebbe fortemente a diffondere l’ideale della santità tra
imprenditori, sindacalisti, studiosi del mondo del lavoro. E lo farebbe in
modo molto concreto, con quel suo “materialismo cristiano” del quale parlava
ogni tanto: incoraggiando tutti a cercare giuste soluzioni concrete ai
problemi reali, non solo belle parole. Il mondo del lavoro s ta diventando
sempre più centrale nella società, con grandi ripercussioni nella vita
familiare e nella cultura. Ci vogliono molti cristiani che si diano da fare
per umanizzare ed evangelizzare questo mondo, dal di dentro, rispettando la
giustizia – che esige porre la dignità della persona umana al centro di ogni
ordinamento giuridico o sistema economico – e lavorando bene, con competenza
professionale e spirito di servizio.
A chi non lo conosce, come consiglia di avvicinarsi a questa
figura di santo dei nostri giorni?
Ci sono tanti mezzi per conoscerlo bene: i suoi libri,
innanzitutto, a cominciare da Cammino, il più conosciuto. Esistono anche
varie biografie, e segnalo in particolare Il fondatore dell’Opus Dei, di
Andrés Vázquez de Prada. Ci sono dei filmati che lo mostrano dal vivo. Io
consiglio anche di rivolgersi a lui nella preghiera: la mia espe rienza è
che non è di quelli che si nascondono, anzi è sempre ben contento di poter
dare una mano a chi sollecita la sua intercessione.