Nel suo ultimo romanzo, «Il libraio», le tragedie del XX secolo anticipano il materialismo odierno. Parla lo scrittore canadese
O’Brien: «L’uomo, senza più padri»
DI FABRIZIO ROSSI
Avvenire 16-7-2008 S i può amare senza afferrare?
Può un umile sacrificio cambiare un’esistenza? Siamo liberi di scegliere tra la vita e la morte, avvicinando il cielo o l’inferno? Sono solo alcune delle domande di cui è intessuto Il Libraio, il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, in uscita proprio in questi giorni nell’accurata traduzione di Edoardo Rialti per i tipi della San Paolo (pp. 492, euro 19,50). O’Brien, scrittore canadese paragonato all’«Andrej Tarkovskij della letteratura», è già noto ai lettori italiani per Il Nemico, in cui un frate carmelitano di nome Elia viene incaricato dal Papa in persona di affrontare l’Anticristo. Scritto con un’intensità che ricorda i grandi narratori cattolici del Novecento, da Mauriac a Bernanos, Il Libraio svela l’antefatto: padre Elia, infatti, è l’ebreo convertito David Schäfer, scappato dal ghetto da ragazzo e sopravvissuto grazie al libraio cattolico Pawel Tarnowski, che nel 1942 l’aveva nascosto nella sua soffitta a Varsavia. Abbiamo chiesto allo stesso autore di presentarci il suo romanzo.
‘Il Libraio’ è ambientato nella Polonia occupata dai nazisti.
Perché ha scelto un periodo storico così complesso?
«La seconda guerra mondiale non è stata solo una tragedia storica di proporzioni epiche: è stata un ‘salto quantico’ nella guerra spirituale tra bene e male, un nuovo fenomeno di male da cui l’umanità non si è ancora ripresa.
La Polonia in un certo senso è stata il ground zero in questa guerra spirituale, rappresentando tutti i popoli e i paesi così crocifissi.»
Nel suo romanzo scrive: «Forse la più grande tentazione del nostro secolo è la disperazione, il terrore che le proprie sofferenze non abbiano significato»…
«Ho esplorato diverse dimensioni dell’assenza di speranza, fino all’abisso della disperazione totale; tutti questi stati della mente e dell’anima sono causati da varie manifestazioni di male».
Dopo tutte le tragedie del XX secolo, qual è secondo lei la speranza di cui ha bisogno l’uomo oggi?
«Nel profondo del cuore l’uomo ha bisogno di sapere che è amato, amato in modo assoluto. Deve sapere che non può essere sostituito da nessun altro essere che è esistito prima di lui o che verrà dopo, non è un numero o un meccanismo: la sua identità e la sua missione nella vita sono uniche. C’è Uno che lo conosce e che gli ha dato un nome unico. È amato da Dio».
Il padre di Pawel Tarnowski viene da lui ricordato «come uno straniero», quello del giovane ebreo David è morto nell’Olocausto. Il cuore del suo romanzo è la ricerca di un padre?
«Come ha detto nel 2000 a Palermo l’allora cardinale Ratzinger, la mancanza di padri spirituali è la causa di gran parte della disperazione dell’uomo di oggi. Il dramma centrale nel mio romanzo è il fallimento dell’autentica mascolinità. La vera mascolinità è amorevole, forte e pronta al sacrificio; guida e protegge, diventando un modello vivente per essere autenticamente uomini.
Quando questa manca, il danno investe molti aspetti della vita».
Una vera e propria crisi della paternità…
«La crisi della paternità, nelle sue varie forme, è alla radice della confusione in questo stadio della civiltà occidentale: l’uomo ha perso coscienza della natura gerarchica del creato, l’immagine divina – nel suo cuore é danneggiata o totalmente assente"
Cos’ha portato a questa situazione?
«Peccati ed errori, così come le due guerre mondiali e la perdita di milioni di uomini buoni di ogni nazionalità, le rivoluzioni sociali e sessuali cominciate negli anni ’60, l’influsso crescente dei mass media sulla mentalità e sulla coscienza (la «dittatura del relativismo», secondo l’espressione di Papa Benedetto XVI)».
Nel dialogo con un colto maggiore nazista, Pawel afferma che nazismo e comunismo sono entrambi precursori dell’Anticristo. Cosa accomuna queste due menzogne?
«I regimi totalitari riducono il valore assoluto ed eterno della vita umana al livello di cose; nazismo e comunismo erano forme politiche dello stesso materialismo».
Quale faccia assume oggi questa menzogna?
«Come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno insegnato, ci sono altre forme di materialismo, con effetti sulla comunità umana peggiori nel lungo periodo (per esempio la trasformazione dell’uomo in un consumatore senza coscienza). È un nuovo totalitarismo, il cui sintomo eloquente è la sua riduzione della sacralità assoluta della persona; le nazioni considerate democratiche sono dominate da questo relativismo. Riducendo l’uomo a numeri, con la perdita conseguente di identità e nome, si arriva al risultato finale dell’Apocalisse.
Il 25 agosto interverrà al Meeting di Rimini, quest’anno dal tema «O protagonisti o nessuno». Agli occhi del mondo il protagonista del suo romanzo è un fallito; eppure, con la sua piccola scelta di nascondere il giovane ebreo David, cambia il corso della storia. Qual è secondo lei il vero protagonista nella storia della Chiesa?
«Sicuramente Gesù, che viene per soffrire e morire come uno di noi; noi siamo protagonisti nella misura in cui siamo uniti a Lui. Molti miei personaggi rappresentano innumerevoli persone reali che, abbracciando la Croce, partecipano alla salvezza di altre anime. Questa è la gente di cui parlo nei miei libri: uomini in gran parte sconosciuti, ma che di fatto spostano la bilancia del mondo».