(Avvenire) Islam: serve un altro rinascimento

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CIVILTÀ A CONFRONTO

Islam: serve un altro rinascimento

È sbagliato credere che il mondo arabo abbia sempre odiato l’Occidente In realtà, sotto un apparente contrasto, si scolano attrazione e rifiuto Parla l’esperto padre Khalil Samir«Proprio a Baghdad, nel IX secolo, i califfi crearono un grande laboratorio aperto alla cultura cristiana Lo stesso fece Napoleone in Egitto Oggi invece le società musulmane si sono atrofizzate»

Avvenire 27-3-2003

Di Giorgio Paolucci
«Sbaglia chi dipinge il mondo arabo-islamico come un’entità che ha sempre odiato l’Occidente. Bisogna studiare la storia: se pensiamo ad esempio a quanto accadeva a Baghdad nel IX secolo, capiremo quanto sia infondato questo pregiudizio. E anche oggi quello che viene rappresentato come un insanabile contrasto è piuttosto un rapporto polivalente, dove si mescolano attrazione e repulsione».
Lo dice con cognizione di causa Samir Khalil Samir, docente di islamologia all’università Saint Joseph di Beirut, che da quarant’anni studia le contaminazioni tra i due universi culturali, e che sull’argomento ha pubblicato una ventina di volumi, l’ultimo dei quali è «Cento domande sull’islam», edito da Marietti.
Professore, lei parla di contaminazione virtuosa tra due mondi solitamente rappresentati come ostili.
Qual è il momento storico più significativo in cui questo si realizza?
«Intorno all’anno 820 i sovrani abbasidi hanno creato a Baghdad, la capitale del califfato islami co, la Casa della Sapienza, e hanno incaricato decine di scienziati siriaci e persiani, tutti cristiani, di tradurre in arabo il meglio della produzione di allora in campo matematico, astronomico, medico, botanico, farmacologico, filosofico, elaborata nei secoli precedenti dal mondo ellenistico, l’Occidente di quell’epoca. Gli studenti e gli intellettuali musulmani hanno così potuto venire in contatto con un grande patrimonio culturale che era fondato sul primato della ragione, e capire che fede e ragione potevano essere conciliate e diventare strumenti di conoscenza e di indagine anche per lo studio della teologia e dei testi sacri. Questo comportò una stagione di grande fecondità per il mondo islamico, che per secoli diventerà faro di cultura anche per l’Europa, finché si arriva al XII secolo quando, con Al-Ghazali, scrivendo la sua bellissima sintesi religiosa, involontariamente “chiude la porta dell’ijtihâd”, cioè dell’interpretazione personale: il testo sacro non è più ripensato c riticame nte ma solo applicato meccanicamente alla realtà, essendo diretta espressione della volontà di Dio. È l’inizio di una lunga stagione di immobilismo culturale che ha atrofizzato le società musulmane».
Anche l’arrivo di Napoleone in Egitto, alla fine del Settecento, viene ricordato come un esempio di contaminazione tra islam e Occidente…
«Gli egiziani scoprono i segni della modernità e della civiltà europea attraverso il lavoro di scienziati e tecnici che avevano seguito Bonaparte. Nel breve periodo della campagna napoleonica (1798-1801) vede la luce il primo libro stampato in Egitto, realizzato grazie ai caratteri arabi portati dalla tipografia di Propaganda Fide di Roma, vengono condotti studi per riformare il sistema fiscale, per una razionale utilizzazione delle acque del Nilo e per la costruzione di un collegamento tra il Mar Rosso e il Mediterraneo, premessa di quello che sarà il Canale di Suez. Dopo la partenza delle truppe francesi, il governatore Muhammad Ali, considerato il fondatore dell’Egitto moderno, invia giovani e uomini di cultura in Europa per farli specializzare nelle diverse discipline e al loro ritorno li ospita nella cittadella del Cairo perché traducano in arabo ciò che avevano imparato e contribuiscano così alla modernizzazione dell’amministrazione e della società. La Nahda, il rinascimento arabo-musulmano, che si prolunga fino alla prima guerra mondiale e ha come fulcro l’Egitto, si basa sull’incontro fecondo con l’Occidente e genera molti frutti: dalla riforma delle legislazioni di vari Paesi arabi, che si ispirano al codice napoleonico o a quello svizzero, alla fioritura di generi prima sconosciuti come il romanzo, la poesia in verso libero, il teatro, eccetera. In quel periodo il pensiero musulmano vive la modernità come qualcosa di compatibile con il Corano e con il rispetto della tradizione e guarda all’Occidente come punto di riferimento in questa dinamica».
Perché oggi prevalgono invece le posizioni negative n ei confr onti dell’Occidente?
«Questo atteggiamento deriva sia dalla critica al colonialismo e ai suoi guasti, sia dal tentativo delle correnti più ortodosse di rilanciare il Corano e la sharia come riferimenti unici o comunque prevalenti per l’organizzazione della società e dello Stato, che trovano nella tendenza wahhabita (egemone in Arabia Saudita e altrove) l’espressione più significativa. La critica dei costumi decadenti dell’Occidente (corruzione, la libertà che scade nel libertinaggio, emancipazione femminile che degenera nella mercificazione della donna, omosessualità, caduta dei valori) porta alla condanna dell’Occidente nella sua globalità, compreso ad esempio il valore della democrazia che invece farebbe tanto bene al mondo arabo».
Quanto contano le correnti riformiste, che propongono la conciliazione tra islam e modernità?
«Bisogna riconoscere che non hanno grande seguito tra le masse arabe, potremmo dire che sono voce che grida nel deserto… Eppure son o di grande importanza perché testimoniano che non c’è inconciliabilità tra mondo musulmano e progresso, uso della ragion critica e fede religiosa. Per questo la loro opera andrebbe sostenuta maggiormente da parte degli occidentali, che invece spesso preferiscono tenersi buone le tendenze più conservatrici e chiuse, come quella wahhabita. Che però condiziona un Paese importante sotto il profilo finanziario e petrolifero come l’Arabia Saudita. Forse per molti occidentali i petrodollari sono più importanti della modernizzazione del mondo islamico…».