(Avvenire) Il nuovo santuario di Fatima

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PORTOGALLO
A dicembre verrà posta la prima pietra dell’edificio che conterrà 10mila persone. Parla l’architetto greco Tombazis


Fatima, ecco il nuovo santuario



Di Leonardo Servadio

Lo spiazzo è amplissimo, contornato dagli alberi su tre lati e, sul quarto lato, da un lungo porticato. Questo alle estremità avanza e così diventa un poco come un abbraccio materno. In mezzo al porticato si erge la basilica, col suo svettante campanile che reca incastonata in alto la statua della Madonna. Sono milioni i pellegrini che ogni anno vengono a raccogliersi sulla vasta spianata e dentro questa chiesa, ormai troppo piccola per contenerli tutti. Soprattutto il 13 maggio il numero di pellegrini diventa enorme. Perché è qui, a Fatima in Portogallo, e in quella data, che 86 anni fa la Madonna apparve la prima volta a Francisca, Jacinto e Lucia e parlò degli eventi che avrebbero caratterizzato il secolo XX. Dato il numero crescente di pellegrini, da tempo si è posto il problema di un luogo di accoglienza grande a sufficienza. Quattro anni fa è stato convocato un concorso internazionale di architettura per la costruzione di un nuovo santuario, capace di ospitare una decina di migliaia di persone, proteggendole dal battente sole estivo e dalle frequenti piogge invernali. Ha vinto il progetto presentato dall’architetto greco Alexandros Tombazis, di fede ortodossa: un grande cilindro di 105 metri di diametro che occuperà la parte dello spiazzo opposta a quella ove sorge la basilica. Il cilindro sarà attraversato da due travoni che si prolungheranno, come un molo che s’inoltra nel mare, sulla piazza: verso la basilica. La posa della prima pietra è prevista per dicembre, l’inaugurazione è prevista per il 13 maggio 2007, a 90 anni dalle apparizioni.
Architetto Tombazis, è stato un problema per lei, che proviene dalla cultura ortodossa, progettare un santuario cattolico?
«Non direi. Perché il concetto dell’edificio e la carica simbolica che lo informa sono ben comprensibili, a prescindere dalla confessione di appartenenza. Io non ho avuto l’esperienza di progettare chiese ortodosse, a parte una piccola cappella. Però ho costruito una moschea in Dubai. Un architetto deve saper rispondere a esigenze diverse. In ogni caso credo che la chiesa in quanto tale sia il migliore tra gli edifici che si possono progettare; perché è il più astratto. Quello più svincolato da necessità funzionali. Forse solo il museo è un altro edificio che si approssima alla libertà espressiva della chiesa. Beninteso, è evidente che anche nella chiesa vi sono aspetti funzionali da tenere in conto: per esempio le necessità di climatizzazione, o di favorire i movimenti che vi si svolgono».
Parlando di simboli, in che modo li ritroviamo nel suo progetto?
«Naturalmente si può pregare in qualsiasi luogo. Ma l’ambiente fisico ha la sua importanza: può favorire o ostacolare il raccoglimento. Può indurre alla meditazione o distogliere da essa. Può aiutare a prendere le distanze dalla consuetudine di ogni giorno e suggerire di guardare, metaforicamente, verso l’alto. In questo si manifesta la carica simbolica dell’architettura».
Ha avuto qualche modello di riferimento?
«No. Mi ha influenzato la vastità dello spazio della spianata sulla quale si raccolgono 400.000 persone. Osservare questa massa di persone è un’esperienza unica. La forma della piazza, che verso il centro si abbassa un poco per risalire poi verso la basilica, ricorda quella di un’onda lunga che s’alzi a indicare l’infinito. Nel progetto ho cercato di rispettare questo ambiente e il profondo senso di pace che promana. Per questo ho collocato le cappelle e le penitenzierie sotto il livello del suolo, illuminate dall’alto, davanti al nuovo santuario. Penso che l’illuminazione diurna sia l’elemento fondamentale. L’architettura rielabora la luce e la può rendere calma o drammatica. Entro il santuario la luce spioverà dall’alto, dalla copertura, attraverso aperture schermate da paretine orientabili con un sistema computerizzato che consente di graduare l’illuminazione nei diversi luoghi e con diversa intensità. Per esempio si può scegliere di illuminare in particolare il presbiterio e la parte perimetr ale, lasciando più in ombra l’assemblea. Questo sistema di “shed” resterà nascosto da una serie di tende traslucide, disposte orizzontalmente per schermare e filtrare la luce. Sopra il corridoio centrale, definito sopra la copertura dalle due travi che sovrastano il volume del santuario, si apre una serie di lucernari orientati verso nord, in modo tale da guardare simbolicamente verso il santuario oggi esistente. Così il camminamento tra ingresso e altare resterà evidenziato da una luce particolarmente intensa. In questo progetto ho voluto introdurre anche uno specchio d’acqua, che comunichi calma, e riflettendo i colori del cielo riprenda la serenità che ispira questo luogo: una grande piazza in cui vibra il suono delle campane come un’eco di pace infinita».


Avvenire 13-11-2003