I sì della Chiesa alle persone ferite del nostro tempo
NON SI HA IL CORAGGIO DI METTERE IN DISCUSSIONE SE STESSI
QUELLA CONGIURA DEL SILENZIO SULLE SOFFERENZE PIÙ INTIME
FRANCESCO D’AGOSTINO
Ci sono dolori che vengono esibiti, dolori che vengono negati, dolori che vengono nascosti, dolori che vengono rimossi. Per chi osservi la vicenda dall’esterno, la rimozione del dolore possiede sempre un carattere inquietante: rimuovere implica un ottuso ostinarsi a voltare il capo e a guardare da un’altra parte, per non vedere ciò che avremmo invece il dovere di vedere, per non voler vedere ciò che è comunque sotto gli occhi di tutti. Quando la rimozione non dipende esclusivamente dall’intenzionalità di un singolo ma viene ad acquistare una dimensione, per dir così, collettiva, il suo carattere inquietante diviene ancora più evidente. Perché la società contemporanea si ostina a non prendere atto del dolore che alcune sue pratiche, ancorché consolidate anche legalmente, attivano e propagano? Perché il tema del divorzio è rimosso dal discorso pubblico e quello dell’aborto così platealmente manipolato, da essere, nei fatti, rimosso anche esso?
Ricevendo i partecipanti ad un Convegno internazionale dedicato alle ‘piaghe’ dell’aborto e del divorzio, e rivolgendo loro una densa allocuzione, Benedetto XVI ha sottolineato come nel dibattito su questi temi sia da tempo attiva una sorta di ‘congiura del silenzio’ sulle sofferenze che le scelte abortive e le scelte divorziste portano inevitabilmente con sé. Queste sofferenze le conosciamo tutti benissimo: sono le sofferenze dei figli che vedono divorziare i genitori, sono le sofferenze del coniuge che crede nel matrimonio, ma è comunque costretto a subire il divorzio, sono le sofferenze che colpiscono inevitabilmente la famiglia e gli amici, perché è inevitabile che il dolore, quanto più è autentico e profondo, tanto più si allarghi e coinvolga persone apparentemente, ma solo apparentemente, estranee alla vicenda che lo ha prodotto. Accanto a queste sofferenze che potremmo qualificare ‘innocenti’, vanno altresì annoverate le sofferenze, per dir così, ‘colpevoli’, inevitabilmente presenti anche in coloro che ne sono direttamente la causa: le sofferenze delle donne che scegliendo l’aborto rinunciano alla maternità, dei padri, che non aiutando la propria compagna a vincere la tentazione abortista (ed anzi talora favorendola) perdono, a volte per sempre, la possibilità di avere un figlio; le sofferenze dei coniugi che, rinunciando a battersi per salvare il loro matrimonio, invece di ritrovare l’agognata ‘libertà’ scoprono nuove, inaspettate e tristi dimensioni di banalità nella vita quotidiana così ‘liberata’.
Tutte queste dimensioni di sofferenza si accumulano e si compattano nel mondo di oggi, in un mondo che si rifiuta di vederle, perché non ha il coraggio di mettere in discussione se stesso e di portare sul banco degli accusati quella sintesi di individualismo e di edonismo, che unita alla carenza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale alla libertà umana, rende la libertà umana sempre più fragile e sempre meno adatta a fronteggiare le difficoltà della vita.
Non è naturalmente compito primario della Chiesa analizzare scientificamente le ragioni, in particolare quelle politiche, sociologiche e ideologiche, che attivano questa ‘congiura del silenzio’, questa rimozione nei confronti del dolore che divorzio ed aborto producono e diffondono: suo compito è però rilevarlo, soprattutto nella dimensione per la quale tale dolore nasce da una ingiustizia. Ma il vero compito della Chiesa è un altro: ricordare che per quanto grandi siano le sofferenze umane e per quanto gravi siano le colpe che in persone innocenti attivano dolori che a volte nemmeno dopo anni ed anni si riesce a consolare, ancora più grande è però la misericordia di Dio.
Ricordando e rinnovando una splendida esortazione di Giovanni Paolo II nell’enciclica
Evangelium Vitae rivolta alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto, Benedetto XVI insiste nell’annunciare che a nessun essere umano è negata la possibilità di ritrovare attraverso il pentimento la pace, il perdono, il sollievo dalla sofferenza. Semplicemente, non si deve mai camuffare la colpa per un diritto; non si deve mai voltare la faccia da un’altra parte; bisogna avere il coraggio di guardare con fermezza le ferite che la vita ci ha inflitto e soprattutto quelle che noi stessi abbiamo inflitto ad altri. La speranza si nutre anche, e forse soprattutto, di questi sguardi.