Mentre l’Unione Europea tace (pensando di farla franca?)
… pellegrinaggio Comece per riscoprire le radici
cristiane del continente.
Van Luyn, vescovo di Rotterdam: serve una Chiesa più accogliente
Dal Nostro Inviato A Burgos
Umberto Folena
(C) Avvenire, 20-4-2004
Il bassorilievo raffigura un Cristo nei panni del
pellegrino, con la bisaccia e la conchiglia di san
Giacomo nella sua raffigurazione più antica.
È il Cristo dell’abbazia di Santo Domingo de Silos, una
delle più belle e famose d’Europa.
Qui, davanti al Cristo di Emmaus-Compostela, sabato
pomeriggio il vescovo di Rotterdam e vicepresidente della
Comece (Commissione episcopati della Comunità europea),
Adrianus Van Luyn, ha salutato i trecento pellegrini di
25 paesi: esattamente quanti apparterranno alla Comunità
tra una decina di giorni.Parlando ai partecipanti al pellegrinaggio promosso dalla
Comece, lei ha detto che Emmaus è l’icona interpretativa
dell’odierna esperienza europea. Perché proprio Emmaus?L’immagine non è una novità, risale almeno al Sinodo
sull’Europa del ’99.
E funziona bene anche oggi.
L’esperienza dei due discepoli che, frustrati e
scoraggiati, abbandonano la città di Gerusalemme dopo la
morte in croce del loro amico e maestro, è l’esperienza
di tanti uomini e donne del nostro continente.In che senso?
Hanno perso il ricordo della sorgente della speranza, che
è il Cristo.
La loro immagine di uomo si allontana sempre più dalla
consapevolezza che Dio è origine e destino dell’esistenza
umana.
Si trovano in crisi riguardo il senso profondo della vita.
Le relazioni interpersonali di solidarietà e di coesione
tendono ad affievolirsi.
Proprio come sulla via di Emmaus.
Come i discepoli di Emmaus, sono abbattuti, confusi,
preferiscono fuggire lontani dalle minacce e dalle
tensioni che attraversano il continente e il mondo intero.
Le aspettative euforiche nate alla fine della guerra fredda
sono in gran parte scomparse, per i conflitti armati sempre
più estesi.
Il crescente divario tra continenti ricchi e poveri.
E le esplosioni di un terrorismo che non ha riguardi per
niente e nessuno.Sembrerebbe un quadro privo di speranza.
No.
In realtà l’Europa non è abbandonata al suo destino.
Mantiene tuttora le sue radici cristiane.
E soprattutto è sempre aperta la porta del ritorno a
Cristo, sorgente d’ogni speranza.
La sfida dell’Europa è questa: scegliere nuovamente Dio
e Cristo, lasciandosi guidare dalla pedagogia del Signore
risorto.Monsignor Van Luyn, per molti europei Cristo è ormai un
estraneo.Eppure resta sempre il compagno per eccellenza del loro
viaggio, disposto ad ascoltare ciò che più affanna il
loro cuore, le paure e le speranze.
Possono ritrovarlo nella parola delle Scritture e
incontrarlo nello straniero che chiede ospitalità,
riconoscendolo nel gesto dello spezzare il pane.
Cristo rispetta la loro libertà, ma una volta toccati da
Lui nel loro cuore, possono scegliere consapevolmente il
suo Vangelo e la comunità dei credenti.Non le sembra che proprio l’ospitalità sia un nervo
scoperto del nostro continente?In effetti non pare sia molto popolare.
L’Europa sulla via dell’unificazione sembra davvero che
stenti ad accogliere tutti i gruppi etnici dei nuovi
paesi che accedono all’Unione.
Inoltre sta ergendo le barricate per bloccare il flusso
di rifugiati politici ed economici provenienti da altri
continenti, spesso molto poveri e quasi del tutto
dimenticati, penso in particolare all’Africa.Le Chiesa europee che cosa possono fare?
Anche noi siamo chiamati a «servizi d’accoglienza» e alla
«cura pastorale» degli immigranti, pensando sempre a ciò
che siamo: una Chiesa peregrinante.
In quanto discepoli del Signore, ci impegniamo nelle
«opere di misericordia» nell’ambito del privato.
Spetta poi alle autorità politiche creare «strutture di
giustizia» nell’ambito pubblico, a livello nazionale e
internazionale.
L’«Ecclesia in Europa» parla di «forme d’intelligente
accoglienza e ospitalità».E che cosa rappresenta per voi questo pellegrinaggio a
Santiago?È l’occasione per un serio esame di coscienza circa la
Chiesa del continente.
Il Sinodo del ’99 segnalava il rischio d’un indebolimento
nella forza con cui la Chiesa assolve alla propria
missione.
Vorremmo poter tornare alla Gerusalemme delle nostre
diocesi pieni di coraggio.
Come i discepoli di Emmaus.