Distinguere nettamente fra terapia (dovuta con le necessarie distinzioni) e cura della persona (idratazione e alimentazione)
Togliere cibo e acqua? C’è profilo di omicidio
Caffarra:omissione etica e, spero, anche giuridica
DA BOLOGNA STEFANO ANDRINI
S e una legislazione civile rinunciasse al principio che la vita umana un bene che non a disposizione di nessuno, legittimando il suicidio assistito o l’abbandono terapeutico, toglierebbe uno dei pilastri, anzi la colonna portante di tutto l’edificio spirituale costruito sulla base del riconoscimento della dignitdella persona. Sarebbe questione di tempo, ma la rovina sarebbe totale. Lo ha detto il cardinale Carlo Caffarra intervenendo al convegno ‘Dall’alba al tramonto della vita: decidere in medicina’, promosso dall’Associazione medici cattolici italiani, sezione di Bologna insieme a ‘Medicina e persona’ e alla ‘Confraternita della Misericordia.
Nella prima parte del suo intervento l’arcivescovo ha sintetizzato il concetto di dignitdella persona, ovveroil modo di essere proprio della persona in quanto dotato di una posizione eminente nei gradi dell’essere: essere qualcunopiche essere qualcosa.
Ma non solo.
Dignitindica anche esigenza di essere riconosciuta nella sua eccellenza e superiorit. L’etica e il diritto sono le scienze di questo riconoscimento: di ciche esso implica e comporta.
Caffarra ha poi affrontato la questione delladignitnel morireche diventata nella cultura post-moderna un nonsenso. Nel sentire comune – ha osservato – moriresemplicemente cessare di vivere:crepare. Si va facendo strada oggi l’idea che l’unica nobilitazione della morte di attribuirla pienamente all’autodeterminazione del singolo, sia attuale (suicidio puro e semplice) sia anticipata (suicidio assistito) . Una nobilitazione, ha aggiuntoinserita nel dibattito assai acceso circa un’eventuale legislazione – che oggidiventata necessaria – sulla fine della vita.
A questo proposito il cardinale ha sottolineato cheil prudente discernimento fra interventi terapeutici che hanno il profilo dell’accanimento terapeutico o di terapie proporzionate, rientra nel diritto di ogni persona di vivere una vita degna, che non esclude anzi comprende l’accettazione della morte. Ma anche chenecessario distinguere nettamente fra terapia (dovuta con le necessarie distinzioni) e cura del- la persona ( idratazione, alimentazione, pulizia). Quest’ultima sempre dovuta, e la sua omissione avrebbe eticamente, e spero anche giuridicamente, il profilo dell’omicidio. Nella parte conclusiva del suo intervento Caffarra ha ricordato le caratteristiche di una morte degna.Quella di chi ha assicurata la cura della propria persona e le terapie proporzionate. Di chi pugodere delle cosiddette ‘cure palliative’, destinate a rendere pisopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia. Anche mediante il ricorso a tipi di analgesici e sedativi che hanno collateralmente l’effetto di abbreviare la vita e perdita di coscienza. Quella di chiaccompagnato dall’attenzione amorosa e costante di altre persone . Al contrario una morte indegna quella di chi viene privato delle terapie proporzionate e della cura della sua persona o viene sottoposto ad accanimento terapeutico. O viene abbandonato nella sua solitudine di fronte alla morte.
Il nucleo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ha poi ricordato Luciano Eusebi, docente di diritto penale che ogni individuo conta non in funzione del giudizio sulle sue condizioni esistenziali ma in quanto esistente. Ecco perchl’inizio e la fine della vita chiamano in causa il principio di eguaglianza e hanno a che fare con la costruzione stessa della democrazia. Con la sentenza della Cassazione sul caso Englaro, ha aggiunto siaffermato che l’unico criterio che puguidare scelte delicate il riferimento formale al consenso. Addirittura giungendo alla legittimazione di una sottrazione che attiene a qualcosa che non ha nulla di terapeutico ma che rappresenta qualcosa di cui ogni individuo necessita per vivere: l’alimentazione e l’idratazione .Su questa materia – ha proseguito il docente – il diritto aveva fissato un punto di equilibrio: non riconoscendo ammissibili da una parte relazioni per la morte e dall’altra un oltranzismo terapeutico. Questo equilibrio, ha concluso Eusebi, sirotto.Ora un giudice puapplicare direttamente una lettura forzata di un principio costituzionale (l’articolo 32 non prevede in alcun modo che la relazione tra medico e paziente posa essere per la morte) trascurando il diritto vigente e bypassando il legislatore.
Avvenire 16-11-2008