(Avvenire) Buddha per lo zar e contro Lenin

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            INTERVISTA

            Buddha per lo zar e contro Lenin

            La Russia è sempre stata indecisa tra Europa e Asia La
fascinazione per l’Oriente cominciò a metà Ottocento, coi contatti tra il
Dalai Lama e Mosca E dopo la rivoluzione una divisione mongola si batté
contro i bolscevichi Parla il ricercatore Aldo Ferrari

            Di Maurizio Blondet

“Avvenire”, 29.6.2003              Nel 1880, Dostojesvkij additava ai russi l’Oriente come loro
manifesto destino: «In Europa siamo schiavi e parassiti, in Asia saremo
europei. La nostra missione civilizzatrice in Asia ci rinfrancherà». La
citazione è in La Foresta e la Steppa (Editore Scheiwiller, 338 pagine, 20
euro), la vasta opera che il russologo Aldo Ferrari, ricercatore all’Ispi e
all’Istituto Orientale di Napoli, ha dedicato al problema dell’identità
russa, sempre divisa fra un’Europa identificata con la civiltà, però
spiritualmente decrepita, e un’Asia assimilata alla barbarie, ma energica e
vitale. «La Russia non si è mai sentita a casa in Europa – dice Ferrari -. E
specie dopo la guerra di Crimea (1853-55), sferrata contro l’impero zarista
dalle potenze europee alleate agli ottomani, se ne è sentita rifiutata».
            La «moda dell’Oriente» comincia dunque in Russia prima che in Occidente?
            «In realtà, la fascinazione russa per l’Asia nasce come
imitazione dell’orientalismo romantico europeo. La differenza è che, mentre
per l’Europa l’Oriente è l’esotico “Altro”, i russi sanno di avere l’Oriente
entro le loro frontiere: mongoli, kirghisi, musulmani, buddhisti…E dopo la
sconftitta subita in Crimea, la Russia si volge ad Oriente. In senso
politico, in senso letterario, ed anche esoterico».
            Esoterico?
            «Vale la pena di ricordare che Madame Blavatski, la fondatrice
della Società Teosofica col suo miscuglio New Age di “induismo”, spiritismo,
socialismo umanitario e ciarlataneria, era russa: Elena Blavackaja. Che si
sentì tanto russa, da offrirsi alla polizia zarista come spia anti-inglese
durante i suoi lunghi soggiorni in India».
            Però.
            «Era l’epoca del Grande Gioco, come lo chiamò Kipling: la lotta
fra russi e britannici per l’egemonia sull’Asia. L’epoca in cui un mongolo
buriato cittadino russo e buddhista, Agvan Dorziev, cercò di convincere il
13° Dalai Lama ad accettare il protettorato dello Zar in funzione
antibritannica. Nel 1911, Dorziev costruisce a Pietroburgo un tempio
buddhista, che sarà il centro d’incontro di orientalisti ed esoteristi:
personalità spesso misteriose e di eccezionale levatura».
            Per esempio?
            «Per esempio Nikolaj Roerich (1874-1947). Noto alla storia
dell’arte russa come pittore, buon poeta, viaggiatore ed etnologo, Roerich
sembra al centro di una enigmatica “rete” di relazioni gnostiche. Uscito
dalla Russia ormai bolscevica nel 1920, gli viene risparmiato il destino
disperato degli emigrati: è accolto nell’alta società a Londra e in Usa. A
New York, nel 1923, viene fondato un museo dedicato solo alle sue opere.
Diventa amico del vicepresidente Usa Henry Wallace: e pare sia stato Roerich
a suggerire di inserire sulla banconota da un dollaro il segno del Grande
Sigillo massonico. C’è di più: Roerich ottiene da Washington i fondi per due
costose spedizioni etnologiche in India, Tibet, Mongolia, Siberia
meridionale…»
            Territori del buddhismo tibetano.
            «..e, alcuni, territori sovietici. E stranamente i sovietici,
negli anni Venti, concedono il permesso di esplorazione a spedizioni
americane guidate da un emigrato».
            Evidentemente, Roerich godeva di protezioni molto trasversali: come accade a certi «iniziati».
            «Fatto anche più strano, l’esoterismo di Roerich, un
neo-teosofismo con venature “progressiste”, viene diffuso e accettato in
Unione Sovietica, senza trovare ostacoli nel regime».
            Nel suo libro, lei conferma la storicità di un personaggio
fantastico, che viene citato solo in certa letteratura esoterica: Ungern Von Sternberg.
            «Già: barone baltico, generale zarista discendente di Cavalieri
Teutonici e crociati, ma convertito al buddhismo, che si battè in Mongolia
contro l’Armata Rossa a capo di una Divisione Asiatica formata di tibetani,
mongoli, coreani. Credeva di essere la reincarnazione di Gengis Khan, e
ricevette un’investitura dal Bogdo-Khan, Buddha Vivente, la massima autorità religiosa del buddhismo mongolo. Sconfitto e fucilato dai bolscevichi nel 1921, sognò di salvare l’Europa da Oriente, dal fondo dell’Asia».
            È vero che Ungern-Khan attendeva un misterioso liberatore, detto il Re del Mondo, sovrano di una enigmatica città sotterranea?
            «Certo: si tratta del mito tibetano di Shambala, una “città
perduta”, sotterreanea o invisibile, che riemergerà negli ultimi giorni, per
guidare la lotta del bene contro il male. Fatto singolare: un’eco di tale
mito percorre la Russia contadina e popolare. Per tutto l’800 semplici
mugiki, per lo più “vecchi credenti”, abbandonano le terre ed emigrano ad
Oriente: alla ricerca di Belovod (Acqua Bianca), una terra o isola felice».