In arrivo nelle sale «Il Codice Da Vinci»
Facciamoci un regalo boicottiamo il film
Alessandro Zaccuri
Ormai ci siamo. Tutto perfettamente predisposto. Anteprima al festival di Cannes, poi Il Codice Da Vinci tenterà di invadere le sale di mezzo mondo. Sarà la versione cinematografica del più improbabile e incontenibile best seller del nuovo millennio e potrebbe produrre sfracelli non meno clamorosi. In termini di box office, certo, ma anche di produzione di equivoci per mezzo di equivoci, di sgangherata approssimazione culturale, di abborracciata enfatizzazione del pregiudizio, non importa quanto infame. Con una prevedibile aggravante: diretto da Ron Howard e interpretato da Tom Hanks, il film ha tutte le premesse per risultare di gran lunga più suadente – per fattura e suggestione – rispetto al romanzo da cui è tratto. Perché un conto è leggere Dan Brown, che descrive il Louvre e Temple Church adoperando una prosa da guida turistica, un altro è vedere la piramide di Pei che emerge dal buio sul grande schermo. E un conto è cercare di mettere ordine nelle improbabili invenzioni dello scrittore americano, un altro è trovarsi il “codice” già bello e confezionato sotto gli occhi, con tanto di effetti speciali, musica ad effetto e conseguenti effetti collaterali. Quali? La denigrazione della Chiesa cattolica, tanto per cominciare. La fantasmagorica ricostruzione delle origini del cristianesimo, la riduzione dell’opera di Leonardo a contorta caccia al tesoro enigmistica, la confusione programmatica di dati e date, la fantastoria spacciata come storia. Al punto che, com’è noto, nelle scorse settimane Dan Brown ha dovuto affrontare un processo per plagio intentatogli dagli autori del Sacro Graal, il fantasioso saggio dal quale il romanziere ha attinto a man bassa. La giustizia inglese lo ha prosciolto dall’accusa, d’accordo, ma resta la bizzarria di un preteso copyright sul “segreto” che si nasconderebbe nell’affresco milanese del Cenacolo.
Già da tempo – e finora senza successo – l’Opus Dei ha chiesto che la pellicola tuteli in qualche modo la loro istituzione, che nel ro manzo – atttraverso un gioco di nomi – viene impietosamente caricaturata come una sorta di Spectre cattolica, centrale di ogni possibile intrigo e nefandezza. Ma Il Codice Da Vinci solleva un problema che, al cinema come in libreria, riguarda la Chiesa nella sua interezza. Non a caso ieri monsignor Angelo Amato, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, ha invitato i cattolici a un sostanziale boicottaggio della pellicola, sollevando nel contempo una questione che merita di essere considerata con attenzione. Lo “strano successo” del Codice, infatti, sarebbe in qualche modo spiegabile anche attraverso una perdurante incapacità dei cattolici a “dare le ragioni della propria speranza”. Al netto della fede (e in alcuni casi perfino della buona fede), ne sappiamo insomma poco, abbiamo una conoscenza troppo confusa e incerta della nostra tradizione religiosa. E ci si lascia infinocchiare.
«In questi casi – avverte monsignor Amato – i cristiani dovrebbero essere più sensibili al rifiuto della menzogna e della diffamazione gratuita». Di qui appunto l’idea di un illuminato boicotaggio, azione civilmente decorosa, che in altri paesi viene usata per dar forza alla cittadinanza e farla pesare nelle operazioni commerciali. Tutto sta a volerlo questo pacifico sabotaggio, sensibilizzando amici e parenti, e promuovendo un passa-parola ironico quanto fatale. Almeno ci riscatteremmo, rispetto all’indolenza scioccamente regalata al libro.
Avvenire 29-4-2006