A proposito della nuova Costituzione
Europa e radici cristiane Binomio inscindibile
Silvio Berlusconi
La richiesta – avanzata da più parti – di indicare esplicitamente nel preambolo della Carta costituzionale europea le radici ebraico-cristiane quale fondamento spirituale dell’identità europea, è vista da molti come un eccesso confessionale, da alcuni come una pretesa clericale, da altri ancora come una richiesta resa superflua dalla stesura stessa del testo costituzionale. Tra questi ultimi si colloca – per esempio – il presidente della Convenzione, Valéry Giscard d’Estaing, che considera il riferimento al cristianesimo già incluso in quello alla religione genericamente evocata quale ambito dei valori etico-spirituali dell’Europa. Ma l’ormai reiterata richiesta, sulla quale è tornato – con pazienza e determinazione – per l’ennesima volta anche il Santo Padre, non è una pretesa retorica, né la difesa di un particolare credo religioso, quanto l’espressione di un preciso sostanziale senso di responsabilità storica.
L’idea d’Europa, dopo le prime fondamenta elleniche e romane, nasce dall’incontro fra la dimensione religioso-ecclesiastica e i popoli franchi e germanici. Il Sacro Romano Impero fonde, sul piano politico, il cristianesimo con la nuova linfa culturale dei popoli dell’Europa centro-settentrionale, e si presenta come il nucleo genetico dell’identità europea. Se, pur a grandissime linee, di questo si è trattato, allora il nesso fra Europa e cristianesimo è ben più che una pretesa vaticana: è un dato storico incontrovertibile. Perché dunque non ricordarlo, con fierezza, nella Carta fondamentale dell’Europa unita? Il destino storico del nostro continente non si compirà mai pienamente se saranno recisi i filtri della memoria e del recupero dei nostri valori positivi più antichi e più solidi. Le radici dell’Europa sono, più di ogni altro Paese o continente al mondo, segnate dall’incontro positivo con la religione (è stato infatti il cristianesimo, nell’evoluzione storica della sua dottrina, non solo a permettere la progressiva affermazione del principio della li bertà ma anche a consentire la separazione fra politica e religione).
Se accettiamo queste considerazioni e se assumiamo fino in fondo questa responsabilità, dobbiamo unire con forza la nostra voce a quella di coloro che, papa Giovanni Paolo II in primo luogo, reclamano una menzione esplicita delle nostre radici religiose nella Costituzione europea.
L’Italia deve riprendere e rilanciare tale istanza perché condivide le analisi storiche sopra esposte, ma anche perché ritiene che sul futuro politico dell’Europa peserà in modo drammatico la presenza o meno di quella che Vaclav Havel ha chiamato “una forte anima”. La quale certamente si manifesterà con le decisioni e le azioni dell’Europa politica, ma che deve assolutamente trovare spazio già nella formulazione e nella dichiarazione dei principi fondamentali, sui quali per altro tali decisioni e azioni si baseranno. Poiché siamo tra gli irremovibili sostenitori del sistema liberaldemocratico, e poiché la creazione di tale sistema e l’affermazione della centralità della persona e delle sue libertà individuali sono dovute in buona misura alla lunga e persistente azione della religione cristiana (e, senza alcun dubbio, anche di quella ebraica), crediamo che la sopravvivenza di detto sistema vada di pari passo con la presenza della tradizione ebraico-cristiana e che, pertanto, l’Europa politica debba, in questa occasione storica decisiva, dichiarare esplicitamente il ruolo fondativo di tale tradizione.
Ritengo inoltre che, dinanzi alle crescenti tensioni internazionali e alla sempre più minacciosa ondata di terrorismo anti-occidentale, l’Unione Europea debba riconoscere la religione cristiana come presenza ispiratrice della propria azione politico-istituzionale, una presenza che non interferisce – ovvio – con l’autonomia propria della politica ma ne accompagna eticamente le scelte. Ed è dinanzi agli impegnativi compiti posti in particolare dall’ampliamento del numero degli Stati membri, e soprattutto in considerazione d el fatto che tale allargamento avviene in direzione dell’Est, che l’Europa deve ancorarsi con tutte le energie alla propria tradizione religiosa. Infatti, nella maggioranza dei Paesi che stanno per entrare o entreranno fra qualche anno nell’Unione Europea, il cristianesimo è vissuto in modo particolarmente intenso, per cui sarebbe un segnale di grande intelligenza da parte delle istituzioni comunitarie valorizzare e intensificare quell’esperienza religiosa, anche nei molti aspetti positivi che la collegano all’esperienza sociale (in questo senso l’esempio della Polonia è assai istruttivo). Il nostro ruolo in Europa ci impone perciò di chiedere che l’Unione Europea non vari una Costituzione senza l’esplicita dichiarazione di ciò che noi europei siamo stati e di ciò che vogliamo essere.
Avvenire 6-6-2003