VITTORIA VALENTINO, Il conte Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865). Un’introduzione alla vita e alle opere, Saviolo, Vercelli 2001, pp. 166.
(Il volume, non in commercio, si può richiedere al dottor Maurizio Cassetti, direttore dell’Archivio di Stato di Asti allo 0141-531229).
Sembra che il suggerimento di catalogare e condannare pubblicamente gli errori moderni sia stato rivolto a Pio IX per la prima volta, già nel 1849, dal card. Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII: un collegamento significativo, che annulla sul nascere troppo precipitose contrapposizioni dei due Pontefici.
Nel 1851 toccò ad un laico di Torino Emiliano Avogadro della Motta, a sollecitare dal Papa la pubblica condanna dei numerosi e perniciosi errori moderni. E nel maggio di quel medesimo anno, Pio IX ordinò un primo sondaggio su vasta scala in ordine ad una tale prospettiva.
La ricerca sull’Ottocento filosofico, politico e teologico è stata recentemente arricchita dalla pubblicazione del primo studio critico su Emiliano Avogadro della Motta (Vercelli, 1798-Torino, 1865), filosofo e uomo politico cattolico, per lo più noto per il suo Saggio intorno al socialismo, uscito anonimo a Torino nel 1851.
Nonostante gli svariati motivi d’interesse suscitati dalla sua figura — basterà citare qui il suo coinvolgimento nei lavori filosofico-teologici che portarono alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria (1854) e alla pubblicazione del Sillabo (1864) o la sua lunga attività alla Camera del Parlamento subalpino tra le fila della Destra cattolica (1853-1860) —, non sembra infatti che Emiliano Avogadro della Motta abbia ancora ricevuto da parte degli storici la stessa attenzione con la quale, invece, sono stati studiati altri importanti personaggi appartenenti alla cultura cattolica contro-rivoluzionaria italiana ed europea, che Avogadro sentiva di rappresentare degnamente: il conte savoiardo Joseph De Maistre (1753-1821), il visconte francese Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1754-1810), lo svizzero Karl Ludwig von Haller (1768-1854), il pensatore spagnolo Juan Donoso Cortès (1809-1853) e il conte Clemente Solaro della Margarita (1792-1869). Quest’ultimo fu anche amico e collega politico del vercellese — guidava infatti la corrente cattolica della Destra alla Camera del parlamento di Torino —, nonché lettore e grande estimatore delle sue opere.
Il volume della Valentino colma quindi una vistosa lacuna storiografica, della quale non ha difficoltà ad accorersi chiunque si accosti allo studio del periodo compreso fra la Restaurazione e il compimento del Risorgimento italiano.
Condotto con precisione di metodo, lo studio si avvale sia, in parte, dei contributi critici di quegli autori che hanno dedicato alcune sezioni dei loro studi al pensiero del vercellese, sia delle circostanziate ricerche storiche di fonte secondaria sulla sua biografia apparse nell’arco di un secolo — grosso modo fra il 1861 e il 1962 —, a soprattutto della documentazione di prima mano contenuta nell’archivio della Curia arcivescovile di Vercelli, nell’archivio di Stato di Torino e nell’archivio della Fondazione Luigi Einaudi di Torino.
Dopo una prefazione (pp. 7-8) del professor don Basilio Petrà, della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale di Firenze — che vede nella critica alla modernità e nello «straordinario senso della Chiesa» (p. 8) i tratti distintivi della personalità intellettuale di Emiliano Avogadro della Motta —, la Valentino, nell’introduzione (pp. 12-22), inquadra il ruolo di Avogadro nel più ampio contesto del cattolicesimo della prima metà dell’Ottocento, caratterizzato dall’emergere di problemi socio-politici rilevanti, anche se non del tutto nuovi: «la lotta tra rivoluzione e controrivoluzione» (p. 12), la questione del potere temporale del Papa, il tentativo delle classi dirigenti post-rivoluzionarie di scristianizzare la società, la divisione dei cattolici fra moderati — ossia quelli che, inclini a un «[…] compromesso con le idee cui si ispirava la nuova politica […,] pensavano di combattere contro i nemici della patria con spirito di tolleranza» (p. 13) —, liberali — seguaci delle idee espresse nel Primato morale e civile degli italiani di don Vincenzo Gioberti (1801-1852) —, «intransigenti» — consapevoli che una vera restaurazione della società doveva passare necessariamente attraverso un esame critico degli errori moderni — e, anche se l’autrice non usa questo termine, «modernisti», i quali, «[…] guardando al mondo moderno come una nuova epoca storica e suggerendo differenti forme di organizzazione ecclesiale» (p. 15), finirono talvolta per accettare gli stessi errori che volevano combattere e, «[…] perdendo la loro identità, non furono cattolici, né liberali» (p. 15).
In questo contesto, Avogadro combatte il liberalismo, non però, secondo la Valentino, indirizzando la sua critica al pluralismo sociale, ma auspicando uno studio attento dello sviluppo del pensiero filosofico nei secoli, perché profondamente convinto che gli esiti del liberalismo fossero le rivoluzioni moderne, stataliste nei loro effetti e panteiste quanto alla loro natura filosofica. Difensore del potere temporale del Papa non sulla base di argomentazioni teologiche, ma facendo ricorso al principio di legittimità — e in questo si differenziò dal «tono quasi apocalittico» (p. 18) di alcuni suoi contemporanei —, Avogadro è anche, agli occhi della Valentino, un convinto e appassionato sostenitore del concetto di persona come soggetto di diritti, nonché un acuto «smascheratore» — meglio del suo amico ed estimatore padre Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862), in un primo momento sostenitore del Primato di Gioberti — dell’errore dei cattolici liberali, secondo lui inconsapevolmente travolti nello sviluppo del pensiero moderno che ha il suo esito nel socialismo.
Nel primo capitolo (pp. 23-35) del volume viene ricostruita la vita di Avogadro fino al 1850 mettendone in risalto — anche sulla base della già citata documentazione inedita d’archivio — l’ambiente familiare, gli studi giovanili e i componimenti in versi, la laurea in legge all’Università di Torino (1819), la decisione di non abbracciare lo stato sacerdotale, i primi incarichi pubblici a Vercelli — come quello di «riformatore degli studi» nel Vercellese dal 1833 al 1847 — e, infine, la sua partecipazione ai lavori per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione.
Il secondo capitolo (pp. 36-65) si concentra sull’attività parlamentare di Avogadro (1853-1860), prendendo in considerazione non solo l’intervento più conosciuto — quello pronunciato nel febbraio 1855 contro il disegno di legge sulla soppressione degli ordini religiosi contemplativi —, ma anche diversi altri meno noti, e mettendo in relazione i discorsi pronunciati alla Camera sarda con l’attività pubblicistica che egli svolse fra il 1848 e gli ultimi anni della sua vita. Vengono qui prese in considerazione — offrendone talora anche una rapida e utilissima sintesi — opere più o meno note dalla critica, alcune delle quali hanno lasciato un segno non trascurabile nell’ambito della polemica anti-liberale dei cattolici italiani: dalla sua prima opera pubblicata — Rivista retrospettiva di un fatto seguito in Vercelli con osservazioni intorno al diritto legale di libera censura (1848) —, si passa a un opuscolo scritto per criticare il progetto di legge volto a ridurre le feste cristiane in Piemonte — Delle feste sagre e delle loro variazioni nel Regno Subalpino (1849) — e a Una quistione preliminare al Parlamento torinese (1860), dove Avogadro si interroga se il Parlamento sabaudo sia o no competente nel deliberare circa l’annessione dei territori del Papa al Piemonte e la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia; uno spazio considerevole è dedicato alle Considerazioni sugli affari d’Italia e del Papa (1860), libretto scritto in difesa del potere temporale del Papa, e soprattutto a La rivoluzione e il Ministero torinese in faccia al Papa e all’Episcopato italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive (1862), considerato dalla Valentino come originale «studio della rivoluzione vista nei suoi aspetti meno noti» (p. 47).
All’analisi delle due opere più importanti di Avogadro — il Saggio intorno al socialismo (1851) e la Teorica dell’istituzione del matrimonio (1853-1860) — è dedicata gran parte del terzo capitolo, che però si concentra anche sulla prolifica attività giornalistica esercitata dal vercellese sui maggiori giornali cattolici del tempo: L’Armonia — diretto da don Giacomo Margotti (1823-1887) e a cui egli collabora fin dalla fondazione, nel 1848 —, L’Unità Cattolica — il quotidiano fondato nel 1863 sempre da don Margotti in seguito alla sua decisione di lasciare L’Armonia — e Il Conservatore, la rivista fondata nel 1861 da un gruppo di cattolici bolognesi facenti capo a Giambattista Casoni (1830-1919).
Del Saggio intorno al socialismo, la Valentino si limita a fornire uno sguardo d’insieme, attraverso l’analisi delle tre grandi parti di cui si compone — rispettivamente dedicate alla genesi storico-filosofica del socialismo, alle suddivisioni principali interne al socialismo e ai possibili rimedi contro di esso —, cercando di inquadrarlo più dal punto di vista della genesi «letteraria» e della contestualizzazione all’interno degli avvenimenti politici ed ecclesiali del tempo. Un discreto spazio risulta infatti dedicato alla messa a fuoco del ruolo giocato da Avogadro prima come indiretto e inconsapevole ispiratore della decisione di Papa Pio IX (1846-1878) di unire, per un certo periodo, i lavori per la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria a quelli per la condanna degli errori moderni, e poi come suggeritore della successiva decisione del Pontefice di separare nuovamente i due atti: sulla base della risposta inedita del vercellese all’inchiesta del cardinale Raffaele Fornari (1787-1854) —, la studiosa calabrese sottolinea infatti come egli, pur avendo scritto, nel Saggio intorno al socialismo, che la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione avrebbe potuto avere ricadute importanti sulla critica e sulla condanna degli errori moderni, ritenesse che la definizione dogmatica «[…] doveva avvenire in forma diversa dalla condanna degli errori moderni» (p. 77). Questa preoccupazione di non mescolare questioni fra loro diverse — anche se non prive di reciproche implicazioni — viene in parte ricondotta alla convinzione di Avogadro circa la non opportunità di pronunciare condanne generiche, ma di intraprendere, al contrario, uno studio serio e attento degli errori moderni, che, nella forma in cui si è concretizzato all’interno del Saggio intorno al socialismo, risulterebbe assai lontano dallo spirito del Sillabo.
Per quanto riguarda l’altra grande opera di Avogadro — la Teorica dell’istituzione del matrimonio —, la Valentino si rammarica di non averle potuto concedere uno spazio adeguato alla sua importanza, perché ritiene che essa sia «una pietra miliare nella speculazione filosofico-teologica sul matrimonio» (p. 91) e che, per la mole — quattro volumi — e per i tempi di composizione e di pubblicazione — dal 1853 al 1860 —, dimostri eloquentemente come la difesa del matrimonio fu occupazione costante in Avogadro, del quale ricorda, in più punti, la vita coniugale e il rapporto con la famiglia e con i figli.
Nel quarto capitolo (pp. 96-118) vengono messi a fuoco altri due aspetti della personalità di Avogadro: la difesa delle istituzioni di Vercelli, da lui condotta in tre opuscoli pubblicati nel biennio 1848-1849 — uno dei quali è la già citata Rivista retrospettiva del 1848 — e la riflessione religiosa, che egli sviluppa in quattro trattati dedicati all’anno liturgico, alla stesura dei quali lavora tra il 1848 e il 1864, vale a dire lungo l’intero corso del suo itinerario intellettuale. Dall’analisi dei tre scritti sulle istituzioni di Vercelli emergono notizie interessanti — e in parte finora mai studiate — sulla proposta che fu avanzata alla Camera sarda nella primavera del 1848 — e criticata da Avogadro — di sopprimere la Congregazione degli Oblati di San Carlo di Vercelli e sulla vicenda dei militari appartenenti a varie truppe in rotta verso ovest e transitanti da Vercelli dopo la sconfitta di Novara nell’estate del 1848: nell’accaduto era stato coinvolto anche il vescovo di Vercelli, mons. Alessandro D’Angennes (1832-1869), il cui operato all’insegna della moderazione era stato per l’occasione difeso appunto da Avogadro.
A un’altra importante opera di Avogadro — Gesù Cristo al secolo decimonono, uscita postuma a Modena (Tipografia Pontificia e Arcivescovile dell’Immacolata Concezione) nel 1873 — è dedicato il quinto capitolo (pp. 119-142), che offre un’analisi dei temi principali ivi trattati e contribuisce quindi a colmare un’ulteriore vistosa lacuna, dato che sull’ultima fatica di Avogadro mancano ancora del tutto studi critici.
Affrontando un autore ancora poco conosciuto, non ci si può esimere dall’offrire una classificazione delle opere: è quello che ha fatto la Valentino nel settimo e ultimo capitolo (pp. 143-151), dove vengono elencate tutte le opere di Avogadro, suddivise per argomento, un sussidio utilissimo per chiunque desiderasse proseguire lo studio di Avogadro.
Nelle riflessioni conclusive la Valentino cerca di fare un bilancio della ricerca, offrendo notevoli spunti per approfondimenti successivi. Un percorso che la studiosa segue da diversi anni, avendo al suo attivo una tesi di licenza in teologia su Matrimonio e la vita coniugale nel pensiero di Emiliano Avogadro e una tesi di dottorato sulla partecipazione di Avogadro della Motta alla preparazione della definizione del dogma sull’Immacolata Concezione e all’elaborazione del Sillabo.
Giuseppe Bonvegna
Recensione tratta da identitanazionale.it