20 nov. – 34° domenica del t.ord. – Cristo Re dei cuori e delle nazioni

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Commento al Vangelo della 34ª domenica del tempo ordinario

Il premio e il castigo

Nostro Signore descrive gli ultimi momenti della storia del mondo, quando saremo tutti riuniti per il Giudizio Finale

di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
http://www.salvamiregina.it

 

"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo (…). Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. (…) E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Mt 25, 31-46).

 

 

Per ragione di brevità, del Vangelo della 34ª domenica del tempo ordinario focalizzeremo solo i passi citati sopra.

Nelle letture dei giorni precedenti, Gesù insiste sulla necessità di essere preparati al momento di comparire davanti al tribunale divino. In questo senso è la parabola delle vergini stolte e sagge, con cui inizia il capitolo 25 di San Matteo. Lo stesso si dica della parabola dei talenti, che sopraggiunge subito dopo. Entrambe illustrano il discorso escatologico iniziato nel capitolo 24 dallo stesso evangelista, quando il nostro Redentore ammonisce sugli avvenimenti che segneranno la fine del mondo: "Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo …".

Era naturale che, a seguito di questi insegnamenti, Egli passasse alla descrizione dell’ultimo atto della storia dell’umanità: il Giudizio Finale.

La seconda venuta di Gesù

"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a Lui tutte le genti …".

Così Nostro Signore inizia la descrizione degli istanti finali degli uomini su questa terra. Meditiamo su questo, seguendo il categorico consiglio dell’Ecclesiastico: "In tutte le tue opere, medita sui tuoi novissimi e non peccherai eternamente" (7,40). "Novissimo" è un termine che viene dal latino novus, e vuol dire anche "ultimo". È con questo significato che la Scrittura lo utilizza, per indicare gli ultimi avvenimenti della nostra vita: morte, giudizio, Cielo o Inferno.

Per iniziare, osserviamo il linguaggio utilizzato ora dal Divino Maestro. Non si esprime più per comparazione né per metafora ("Il regno dei cieli è simile…"), ma parla direttamente: "Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria …".

Non ci lascia dubbi quanto alla realizzazione del Giudizio Universale, verità, del resto, annunciata altre volte da Lui stesso: "Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. (…) nel giorno del giudizio per Tiro e per Sidone ci sarà una sorte meno dura della vostra!" (Mt 11, 21-22). "Quelli di Ninive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona" (Mt 12, 41).

Il tribunale

"Tutte le genti saranno riunite davanti a lui", dice il Signore. Ossia, nessun uomo, per quanto potente sia stato, potrà sottrarsi a questa convocazione. Non ci sarà spazio per eccezioni, tergiversazioni, ritardi. L’ordine è perentorio.

Anche gli angeli dovranno comparire, afferma Gesù: "… e tutti gli angeli con lui". Ora, se sono gli uomini che saranno giudicati, qual è la ragione di questa presenza angelica?

Come spiega la Summa Teologica, il Giudizio Finale "si relaziona in qualche modo con gli angeli, nella misura in cui essi hanno interferito negli atti degli uomini". Così, il principale ruolo delle creature angeliche sarà quello di servire da testimoni.

Tuttavia, in qualche maniera, anche gli angeli saranno giudicati: "Non sapete che giudicheremo gli angeli?", chiede San Paolo (1 Cor 6, 3). E San Pietro afferma lo stesso riguardo ai demoni: "Dio, infatti, non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell'inferno, serbandoli per il giudizio" (2 Pe 2, 4). Gli angeli di Dio avranno un premio, che sarà la grande gioia in vista della salvezza dei loro protetti, mentre i demoni avranno un’aggiunta di tormento, "moltiplicandosi la rovina dei malvagi che da loro furono indotti al peccato" (Summa, Supplem. 89, 8).

Anche per quanto concerne la costituzione del tribunale, certi uomini avranno un ruolo importante: saranno co-giudici con Nostro Signore. Questo è affermato, tra l’altro, da San Paolo: "Non sapete che i santi giudicheranno il mondo?" (1 Cor 6,2). Secondo la Summa, questi co-giudici, "uomini perfetti", giudicheranno per comparazione con se stessi, perché "hanno impresso in se stessi i decreti della giustizia divina" (Supplem. 89, 1).

Separazione dei giudicati: la fine dei relativismi

Torniamo alle parole del Signore nel Vangelo:

"… ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra".

Nella vita su questa terra, l’anima umana, per una specie d’istinto spirituale, cerca incessantemente la verità, il bene e il bello. Anche quando commette peccato, questi istinti spirituali continuano a operare. Inoltre, ogni uomo ha come impressi nell’anima i Dieci Comandamenti.

Per tutto questo, nessuno riesce a praticare il male per il male, professare l’errore per l’errore, ammirare l’orrendo per l’orrendo.

Così, se i pensieri, desideri e atti di un individuo cominciano a fuggire abitualmente dalle leggi di Dio, egli sente la necessità imperiosa di giustificarli, razionalizzandoli, cioè, cercando per loro spiegazioni razionali, per quanto assurde esse siano. E la via di uscita consiste generalmente nel cercare una conciliazione tra la verità e l’errore, il bene e il male, il bello e l’orrendo.

Tutto quello che prima era per lui di una luminosità cristallina, diventa di un’indefinitezza nebulosa e bigia. Ed egli affonda nel relativismo, funesto difetto morale, tanto comune nel corso della storia, causa di tanti errori dottrinari che hanno allontanato dalla Chiesa Cattolica e dalla via della virtù milioni e milioni di anime.

Nel Vangelo qui commentato scompaiono ogni capriccio e fantasticheria riguardo la conciliazione tra questi valori inconciliabili. "Non datur tertius" — non esiste una terza soluzione possibile nel giorno del Giudizio. Il nostro destino sarà il Cielo o l’Inferno. Sarà la più folgorante e universale manifestazione dell’Assoluto nell’ordine della creazione.

Il giudizio

Un interrogativo che può esser passato per la mente di vari lettori: la maggior parte degli uomini sarà giudicata già subito dopo la sua morte (fatta eccezione per coloro che saranno vivi, quando arriverà l’ora della fine del mondo), perché, allora, passare nuovamente per un giudizio?

La Summa Teologica (Suppl 88, I ad 1), come pure il Catechismo Romano, rende maggiormente comprensibile la ragione di questi due tribunali. Infatti, nel Giudizio particolare, ciascun uomo è giudicato privatamente da Dio, permanendo la sua coscienza, come pure tutte le conseguenze dei suoi peccati, occulti agli altri uomini. Per la piena glorificazione della giustizia divina è indispensabile che vi sia un altro giudizio, pubblico e universale, nel quale siano palesi agli occhi di tutti l’innocenza dei buoni e la turpitudine dei malvagi.

Nessun atto di virtù e nessuna colpa, per minimi che siano, saranno omessi. Assicura San Paolo che in Dio "viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo" (At 17, 28), pertanto nulla può sfuggire alla sua divina conoscenza e al suo assoluto giudizio. Così, nel giorno del Giudizio "Dio farà render conto di tutto ciò che è occulto, ogni atto, sia esso buono o cattivo" (Ecli 12,14).

A questo proposito afferma San Paolo: "Tutti, infatti, dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene sia in male" (2 Cor 5, 10). "Per questo" — dice ancora San Paolo — "non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1 Cor 4, 5). In questo modo, tutti i nostri pensieri emergeranno. Ugualmente non saranno esenti da un premio o un castigo, le nostre parole: "Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio" (Mt 12, 36).

Il Redentore ci attribuirà meriti o pene per le nostre opere: "Renderà a ciascuno secondo le sue opere" (Rm 2, 6). Anche chiederà conto delle nostre omissioni: "Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato" (Gc 4,17).

La nostra coscienza, pertanto, con un aiuto divino poderoso, ci farà ricordare con chiarissima memoria tutte le nostre azioni, buone e cattive, e anche quelle che avremmo dovuto praticare e non abbiamo fatto per colpa nostra. Allo stesso modo, ci ricorderà i nostri pensieri e desideri. Non solo, dunque, i peccati gravi, ma anche quelli lievi e persino le imperfezioni. Questo ricordo così esatto e minuzioso già di per sé costituirà una sentenza inappellabile.

Su questa terra, quando vogliamo rimanere sulla strada sbagliata, soffochiamo la nostra coscienza. Tuttavia, nel giorno del Giudizio, essa s’imporrà alle nostre velleità.

Il premio dei beati

"Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".

L’essenza del premio sarà la visione beatifica, cioè, la contemplazione di Dio a faccia a faccia. Per la forza della grazia ci sarà possibile contemplare la stessa essenza di Dio, invece di discernerLo appena attraverso il suo riflesso nelle creature: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosci" (1 Cor 13, 12).

Per la nostra natura, abbiamo una sete insaziabile di felicità, di un amore sconfinato che nessuna creatura riuscirà a placare e solo può avere una risposta da Dio. Il famoso teologo Règinald Garrigou-Lagrange, O. P., nell’opera La vie èternelle et la profondeur de l’âme, spiega: "La profondità della nostra volontà è tale, che solo Dio può riempirla e attrarla irresistibilmente".

A questo proposito, esclama Sant’Agostino: "Infelice chi conosce tutte queste cose [terrene] e non Ti conosce, o mio Dio! Felice chi Ti conosce, sebbene ignori tutto il resto. Quanto a chi Ti conosce e conosce anche le cose terrene, non è più felice per il fatto di conoscerle, ma è unicamente la conoscenza che ha di Te che lo fa felice, a condizione che, conoscendoTi come Dio, Ti glorifichi anche come Dio e Ti renda grazie per i tuoi doni, e non si perda nella vanità dei suoi propri pensieri".

Così, dopo la morte, libera da tutto quello che la circondava sulla terra, l’anima ha un’avidità veemente di volare a Dio, per contemplarLo faccia a faccia, come scrive lo stesso santo: "Ci hai fatto, Signore, per Te, e il nostro cuore è inquieto fino a che non riposi in Te" (Confessioni, 1.1).

Oltre alla visione di Dio, i beati riceveranno in Cielo altri premi, infinitamente minori, ma pur sempre preziosissimi e incomparabili con le cose della terra.

In primo luogo, avranno corpi gloriosi. Leggiamo nella prima Epistola ai Corinzi: "Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale" (1 Cor 15, 42-44).

Inoltre avranno l’inimmaginabile gioia di poter contemplare Nostro Signore Gesù Cristo, la Madonna e i Santi, come anche le meraviglie del mondo allora oramai rinnovato. Sì, perché l’universo passerà per un intero rinnovamento, con il quale conserverà appena quello che di più bello conterrà, e sarà libero da ogni materia corruttibile o volgare.

Come se non bastasse, i beati avranno come dimora il Cielo empireo, riguardo al quale scrive Garrigou-Lagrange:

"Il Cielo è il luogo e, meglio ancora, lo stato della suprema beatitudine. Se Dio non avesse creato nessun corpo, ma soltanto puri spiriti, il Cielo non sarebbe un luogo, ma solamente lo stato degli angeli che godono del possesso di Dio. Ma il Cielo è anche un luogo, nel quale sono Umanità di Gesù, la Beata Vergine Maria, gli angeli e le anime dei Santi. Sebbene non possiamo dire con certezza dove si trovi questo luogo in relazione all’insieme dell’Universo, la Rivelazione non permette di dubitare della sua esistenza".

Grandi teologi cattolici affermano che il Cielo empireo è un luogo concreto, tra questi il celebre gesuita fiammingo Cornelio a Lapide. Per costui, il Cielo è costituito di materiali nobili, con "palazzi costruiti di perle e pietre preziose, come anche prati, giardini e boschi molto ameni". Condotto una volta fino a lì, San Paolo vide qualcosa di talmente splendido che non trovò parole per descriverlo, limitandosi a esclamare: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" (1 Cor 2, 9).

Il castigo dei condannati

Gettiamo, ora, il nostro sguardo verso quella porzione di umanità che dovrà ascoltare la terribile sentenza:

"Via, lontano da me, maledetti!".

Lo stesso Creatore rifiuta, per sempre, esseri che Egli ha creato. Che castigo terribile! Si tratta della cosiddetta pena di "danno", parola derivata dal latino damnum, "perdita", poiché questo tormento consiste nella perdita del possesso di Dio, nostro fine ultimo.

Mentre sta nella vita presente, l’anima non riesce a valutare l’immensità di questa perdita. I beni sensibili continuano ad attirarle l’attenzione; in ogni momento riceve notizie domestiche o professionali, o dei fatti nazionali e internazionali; ha preoccupazioni e necessità di alimentazione, pulizia, salute, svago; si dedica a piaceri; accarezza ambizioni e progetti per la carriera e per la famiglia, ed è attorniato da parenti, amici, insomma, da tutto quello che costituisce il suo mondo.

Tuttavia, quando l’anima si separa dal corpo, tutto questo rumore cessa all’improvviso, tutti gli interessi che la legano in terra perdono il loro valore. Essa si vede completamente sola, e allora ecco … "prende coscienza della sua profondità smisurata, che solo Dio, visto faccia a faccia, può soddisfare; e vede anche che questo vuoto non sarà mai più riempito … [Se fosse morto in peccato] essa si vede nella notte del vuoto, espulsa, ripudiata, maledetta" (Garrigou-Lagrange).

Per esser infinitamente vero, buono e bello, Dio è infinitamente attraente. I condannati, per loro natura, sono attratti da questa Bellezza suprema, unica capace di soddisfare la loro necessità insaziabile di amore. Dio, tuttavia, li respinge completamente, ed essi, nel delirio di un furore infernale, non fanno altro se non detestarLo, maledirLo, bestemmiare contro di Lui. È il tormento di un cuore appassionato e logorato dall’odio. È la sofferenza atroce dell’amore contrariato, disprezzato, trasformato in furia, posto continuamente in un estremo di odio e disperazione.

"Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!".

Comparata con l’orrore della pena di danno, la pena dei sensi può addirittura sembrare soave … Tuttavia, è di per sé tremenda.

L’agente di questo castigo è il fuoco: "Quale di voi potrà abitare in un fuoco divoratore?" — chiede con paura il profeta Isaia (33, 14). L’Inferno è un abisso di fuoco, uno "stagno ardente di fuoco e di zolfo" (Ap 21, 8). E non illudiamoci, pensando che l’espressione "fuoco dell’Inferno" sia soltanto una metafora, un’immagine per riferirsi al rimorso della coscienza.

È dottrina universalmente accettata nella Chiesa, basata sulla Sacra Scrittura e sul consenso dei Padri, che si tratti di un fuoco reale, eterno e inestinguibile, che torturerà gli spiriti e brucerà i corpi senza distruggerli.

Una risoluzione urgente

Rivelandoci questo mistero, Gesù dimostra la sua infinita bontà verso di noi. Il suo obiettivo, ammonendoci in modo così veemente, è evitarci la disgrazia eterna, e condurci presso di Lui, nella felicità del Paradiso.

Profondamente grati, prendiamo senza indugio la ferma decisione di chiederGli le grazie necessarie per reprimere le nostre cattive passioni, evitare il peccato e praticare la virtù. In modo tale che possiamo udire dalle sue labbra adorabili, questo celeste invito: "Venite, benedetti di mio Padre, prendete possesso del Regno che vi è preparato fin dalla creazione del mondo".