18 settembre – XXV domenica del tempo ordinario

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\"\"Commento al Vangelo – XXV Domenica del Tempo Ordinario

Il verme roditore dell’invidia
Veleno che corrode le anime, l’invidia è ancor peggiore quando si rivolta contro i favori spirituali concessi da Dio al prossimo. A questo vizio morale si attribuisce il nome di invidia della grazia fraterna.

Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
http://www.salvamiregina.it

 

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi (Matteo 20, 1-16).
Non raramente, il brano del Vangelo da commentare guadagna in prospettiva, quando lo situiamo nel suo contesto di tempo e luogo, osservando il comportamento del pubblico e le ripercussioni psicologiche dei protagonisti.

 

L’ambiente nel quale Gesù ha esposto la parabola
La parabola dei lavoratori della vigna fu proferita dal Divino Maestro nel suo ultimo viaggio, quando ritornava a Gerusalemme. Era un momento cruciale. Attingendo l’apice dei suoi miracoli, prova inequivocabile della sua divinità, Gesù aveva resuscitato Lazzaro e, per ragioni di prudenza (prevedendo le reazioni irate dei suoi nemici), aveva deciso di andarsene da Gerusalemme. Passato del tempo riprese il cammino verso la Città Santa, dove sarebbe entrato solennemente la Domenica delle Palme. Ed è in quest’ultimo viaggio che andiamo a incontrarLo.
In quell’epoca, molto precedente a Guttenberg, non esisteva evidentemente la stampa, e meno ancora si poteva pensare alla radio, televisione e internet. Abituati come siamo a tutti questi mezzi di comunicazione, facciamo fatica a immaginare come le notizie potessero diffondersi. In verità, sebbene fossero trasmesse di bocca in bocca, non per questo era lenta la loro divulgazione, soprattutto se erano rivestite di un carattere spettacolare. Così, per esempio, le notizie sull’intensa attività di San Giovanni Battista, il cui operato di poco aveva preceduto quello di Gesù, erano corse per tutto il paese e anche oltre frontiera, causando grande mormorio tra il popolo e profonda preoccupazione nel Sinedrio. Era stato solo l’inizio. Dai giorni in cui il Precursore aveva battezzato i suoi primi penitenti, Israele non aveva più smesso di esser assalito da una crescente ondata di avvenimenti inusitati e perturbatori. E questa successione di fatti sarebbe culminata nella resurrezione di una persona morta da quattro giorni.
Tuttavia, tanto quanto i miracoli — e anche più di loro —, erano sorprendenti gli insegnamenti del Divino Maestro. Le sue parole cadevano come rinfrescante pioggia su un arenile assetato, com’era il mondo di allora, includendo il popolo eletto. Ci troviamo qui in una prospettiva psicologica piena di curiosità e inquietudine, che portava le persone a interessarsi nei minimi dettagli dei sermoni di Gesù di Nazareth. Di qui il gran numero di quelli che si riunivano intorno a Lui, al punto che gli evangelisti parlano a volte di “grande moltitudine”, come avvenne nella traversata del Giordano (Mt 19, 1-2), al tempo del ritorno dalla Galilea alla Giudea. D’altra parte, la dottrina di Gesù e i suoi movimenti erano motivo di grande inquietudine per scribi, farisei e dottori della legge. La progressiva fama del Divino Maestro li aveva portati a presentarGli questioni apparentemente insolubili e sempre più capziose, ma l’unico risultato dei loro attacchi era darGli l’opportunità di esporre i suoi divini insegnamenti, che costituiscono il fondamento della Dottrina Cattolica. E l’insegnamento di una dottrina nuova creava il clima per la spiegazione di un’altra, in una concatenazione naturale straordinaria.


Dottrine concatenate
Vediamo questo capitare nel suddetto viaggio di ritorno a Gerusalemme, antecedente alla Domenica delle Palme. In quest’occasione avviene il pronunciamento di Nostro Signore sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale e la bellezza della verginità (Mt 19, 3-12). Con questo, fu creato l’ambiente favorevole in modo che Gesù chiamasse tutti a far parte della sua futura Chiesa.
Nella sequenza del racconto evangelico, è presentato il Suo incontro con i bambini: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19, 14).
Subito dopo, Nostro Signore dice che il primo nel Regno dei Cieli sarà colui che si farà come un bambino, indicando la necessità che gli uomini assomiglino ai bambini per entrare nel Regno dei Cieli.
Segue l’episodio del ragazzo ricco. Con questo, è reso palese a tutta la Storia uno dei maggiori ostacoli per l’adesione piena e totale alla Chiesa: l’attaccamento ai beni di questo mondo (Mt 19, 16-26). È stato l’insegnamento di Gesù, causato dal rifiuto del giovane di rispondere alla chiamata del Maestro, che ha provocato un intervento di Pietro. Con il suo carattere estremamente comunicativo, egli non ha resistito a chiedere: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?” (Mt 19, 27). Attraverso la risposta a questa domanda, vediamo come Gesù stava preparando l’opinione pubblica a ricevere la sua chiamata. Ed Egli risponde con divina chiarezza: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19, 29). Come il “centuplo” si riferisce alla vita presente, la frase di Nostro Signore ci conduce alla facile conclusione che ci sono promessi due premi differenti: uno sulla terra, l’altro nell’eternità. Si tratta di un grande incoraggiamento a tutti i seguaci di Cristo, che li aiuta a mantenersi incrollabili nel cammino da percorrere.
Precisamente su questo punto del Vangelo inizia la parabola dei lavoratori della vigna, con la quale Gesù conclude per così dire un’ulteriore fase d’istruzione dei suoi seguaci, includendo quelli del futuro.

 

La figura della vigna
Al contrario di quanto generalmente si suppone, la regione nella quale oggi sono comprese la Palestina e Israele era, al tempo di Nostro Signore, estremamente fertile. Il panorama molte volte arido e desolante dei nostri giorni è il risultato di duemila anni di lotte e devastazioni. Ma quello, di fatto, era un paese dove, oltre a “correre il latte e il miele” e produrre ottimo olio, si coltivavano eccellenti vigne, come ci attestano le Sacre Scritture (Nm 13, 24), certamente segno della benedizione di Dio.
Nel lavoro della vigna, si utilizzavano due periodi dell’anno: l’inizio della primavera e l’autunno. Il primo per prepararla alla fioritura e l’altro per la raccolta. Per entrambe le occasioni c’era bisogno di un buon numero di lavoratori extra, poiché pochi erano permanenti. Per questo vediamo, nella parabola in questione, il padre di famiglia andare in cerca degli operai, contrattando gli uni per necessità e gli altri per il puro desiderio di offrire loro un mezzo per guadagnare qualcosa.
Le ore di lavoro erano divise in quattro parti dall’alba al tramonto, ossia, di tre in tre ore, dalle sei del mattino alle sei del pomeriggio. Ma, nella parabola dei vignaioli, gli ultimi lavoravano soltanto dalle 17 alle 18h, costituendo un quinto gruppo. Il salario, com’è ovvio, era quello concordato.

 

La spiegazione
Una buona spiegazione di questa parabola, data con la chiarezza, concisione e obiettività proprie dello stile francese, è fornita dal noto esegeta L. Cl. Fillion, nella Vie de N. S. Jèsus-Christ. Secondo lui, in linea generale i commentatori dei Vangeli sono concordi sul fatto che, nelle parabole, vi sono circostanze la cui funzione è soltanto di ornamento. Nel presente caso, molti commentatori incespicano nell’analisi, forzando l’interpretazione di ogni dettaglio.
Tenendo presente questo, Fillion cerca di mettere a fuoco l’idea dominante della parabola: “Sembra che Dio, nel ruolo del ricco proprietario, compia fedelmente le sue promesse verso coloro che Lo servono, e che a tutti dia, senza eccezione, in qualsiasi momento della vita in cui abbiano cominciato il loro lavoro, una giusta ricompensa per tutte le loro fatiche”.
Tuttavia, quest’uomo ripartisce i suoi doni nella proporzione che vuole. Per vari esegeti, qui risiede la principale difficoltà della parabola: a prima vista, sembrerebbe un’ingiustizia che il signore della vigna paghi lo stesso salario tanto a coloro che lavorano di più, quanto a quelli che lavorano di meno.
Fillion evidenzia che, nel racconto, nessuno è stato dimenticato nell’ora della distribuzione, di modo che non c’è motivo per le lamentele. San Tommaso è dello stesso parere: “Per quello che è dato gratuitamente, una persona può dare più o meno, come più gli piace (purché non privi nessuno di quello che gli è dovuto), senza in alcun modo infrangere la giustizia” (Summa, 1 q. 23 a. 5). Tornando a Fillion, egli conclude il suo ragionamento con una sentenza della massima importanza, sulla quale torneremo più avanti: “Ognuno deve essere soddisfatto di quanto riceve e dimostrare riconoscimento, senza guardare con invidia quelli che hanno guadagnato di più”.


La chiamata di Dio
Al termine del commento, l’autore francese addita un’altra rilevante lezione della parabola: “Non sono tutti quelli che cominciano a lavorare per la loro salvezza e santificazione nella stessa epoca della loro vita. Alcuni lo fanno nella prima ora, l’infanzia; altri, in gioventù; altri ancora, nell’età matura; e alcuni iniziano quando ormai si manifestano i segnali precursori della morte. Felici i lavoratori della prima ora, che solo hanno vissuto per Dio! Felici anche quelli che, avendo udito in un qualche momento della vita la chiamata della grazia, vi corrispondono e accorrono presso il loro Salvatore, al  fine di lavorare con Lui e per Lui!”.
Come dicevamo all’inizio di questo articolo, Gesù preparava con le sue predicazioni, in questa fase, la chiamata per i suoi seguaci futuri. Dio, proprio come risulta in questa parabola, chiama tutti alla perfezione, nonostante lo facciano in ore e circostanze diverse della vita. Nessuno deve scoraggiarsi, se ha lasciato per molto tardi la preoccupazione per la propria salvezza, poiché per tutti la misericordia di Dio riserva un premio. Ma è anche necessario rispondere subito alla convocazione di Gesù, in modo deciso. Nessuno di quelli chiamati al lavoro, in questa parabola, è arrivato proponendo un orario più blando, ma immediatamente si è messo a lavorare. Nessuno inoltre ha rifiutato. Così dobbiamo procedere noi: non dobbiamo ritardare il nostro “sì” alla chiamata del Maestro.

 

L’invidia, “carie delle ossa”
Come abbiamo visto, Fillion recrimina l’invidia nata nel cuore di alcuni lavoratori della vigna. Infatti, questa parabola dà un insegnamento a proposito dell’inconsistenza, illogicità e malizia dell’invidia.
In cosa consiste questo vizio? Nella tristezza causata dal bene altrui. Tanquerey, nel suo Compendio di Teologia Ascetica e Mistica, evidenzia che il dispetto causato dall’invidia è accompagnato da una costrizione del cuore, che diminuisce la sua attività e produce un sentimento di angoscia. L’invidioso sente il bene di un’altra persona “come se fosse un colpo vibrato alla sua superiorità”. Non è difficile percepire come questo vizio nasce dalla superbia, la quale, come spiega il famoso teologo Frei Royo Marin, O.P., “è l’appetito disordinato dell’eccellenza stessa”. L’invidia “è uno dei peccati più vili e ripugnanti che si possa commettere”, vuol sottolineare il domenicano.
San Tommaso, nella Catena aurea, evidenzia che i lavoratori della vigna non si lamentavano del fatto di considerarsi defraudati nella ricompensa cui avevano diritto, ma perché gli altri avevano ricevuto più di quello che meritavano. Vediamo qui l’insensatezza dell’invidioso, che giunge al punto di soffrire più per il successo degli altri che per le sue perdite.
Dall’invidia nascono diversi peccati, come l’odio, l’intrigo, la maldicenza, la diffamazione, la calunnia e il piacere per le avversità del prossimo. Essa è alla radice di molte divisioni e crimini, persino in seno alle famiglie (basti ricordare la storia di Giuseppe dell’Egitto). Dice la Scrittura: “Per invidia del diavolo, entrò la morte nel mondo” (Sb 2, 24). Qui sta la radice di tutti i mali della nostra terra d’esilio. Il primo omicidio della Storia ha avuto questo vizio come causa: “… e il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto” (Gn 4, 4-5).
Nella parabola in questione, l’invidia è il motivo della maldicenza dei lavoratori della prima ora contro il padrone della vigna. Questo stesso aveva affermato: “O tu sei invidioso perché io sono buono?” Peccato dalle conseguenze funeste queste, rese amareggiati molti angeli, subito nel primo giorno della creazione, e per questa ragione furono fatti precipitare dall’alto dei cieli al più profondo degli inferni. Non sopportarono l’infinita superiorità di Dio e, chissà, la divinità di Gesù e la predestinazione di sua Madre alla maternità divina.
I Vangeli narrano a profusione la perfidia degli scribi e farisei contro il Messia. Quale la causa di quest’odio deicida? “Perché sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia” (Mt 27, 18).
Con proprietà afferma il libro dei Proverbi (14, 30): “Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo, l'invidia è la carie delle ossa”.
Questo vizio comporta gradi. Quando ha per oggetto beni terreni (bellezza, forza, potere, ricchezza, ecc.), avrà una gravità maggiore o minore, secondo le circostanze. Ma se riguarda doni e grazie concessi da Dio a un fratello, costituirà uno dei più gravi peccati contro lo Spirito Santo: l’invidia della grazia fraterna.
“L’invidia del beneficio spirituale del prossimo è uno dei peccati più satanici che si possa commettere, perché con esso non solo si ha invidia e tristezza del bene del fratello, ma anche della grazia di Dio, che cresce nel mondo”, commenta Fra Royo Marin.
Tutte queste considerazioni devono imprimersi a fondo nei nostri cuori, facendoci fuggire da questo vizio come da una peste mortale. Gioiamo per il bene dei nostri fratelli, e lodiamo Dio per la sua liberalità e bontà. Chi agirà così noterà, in poco tempo, come il cuore starà tranquillo, la vita in pace, e la mente libera per navigare verso orizzonti più elevati e belli. Più ancora: egli stesso diventerà oggetto dell’affetto e della predilezione del nostro Padre Celeste.
Di passaggio, ci sembra opportuno notare che questa regola si applica non solamente a ogni cattolico, ma anche alle numerose famiglie spirituali esistenti nella Chiesa. Tra loro deve regnare sempre e in modo crescente l’atmosfera espressa dall’Apostolo in queste parole: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7).
Dove impera l’amore di Dio, sparisce l’invidia.


La ricompensa molto grande
Qui su questa terra stiamo solo di passaggio. Il nostro destino è la visione beatifica nell’eternità: “In lumine tuo videbimus lumen” (Sl 35, 10) — “Nella tua luce vedremo la luce”. La nostra intelligenza parteciperà alla “lumen gloriae” (luce della gloria) di Dio e sarà attraverso questa che Lo vedremo, faccia a faccia. Egli sarà lo stesso per tutti, e, riferendoci alla nostra parabola, sarà“il salario, lo stesso” per ognuno dei “lavoratori della vigna”.
Ma un salario che riempirà tutti di indicibile felicità, poiché, come disse Dio: “La tua ricompensa sarà molto grande” (Gn 15, 1). Pertanto, la condizione essenziale affinché tutti lì giungiamo, è fissata nella vera carità, e mai nell’invidia.²