La Chiesa di Spagna è malata, ma la colpa non è di Zapatero
La malattia è la perdita della fede tra il popolo e i cattivi maestri sono soprattutto i teologi progressisti. L’accusa è dei vescovi spagnoli. In un documento concordato con Roma e proposto come modello per altri episcopati
di Sandro Magister ROMA, 28 luglio 2006 – Il documento ha per autori i vescovi della Spagna e per oggetto le teologia spagnola. Ma ha un orizzonte molto più vasto. È stato pensato e scritto d’intesa con la congregazione vaticana per la dottrina della fede quando a presiederla era il cardinale Joseph Ratzinger, oggi papa. E si propone come modello d’intervento per i vescovi di altre nazioni. “L’Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa Sede, si appresta a lanciarlo con grande evidenza. In Italia l’ha pubblicato integralmente, nel suo ultimo numero, l’importante rivista dei religiosi dehoniani di Bologna, “Il Regno”.
Il documento ha la forma di una “istruzione pastorale” e ha per titolo: “Teologia e secolarizzazione in Spagna. A quarant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II”. È frutto di tre anni di lavoro e ha avuto come laboratorio la commissione per la dottrina della fede della conferenza episcopale spagnola. Ma poi è passato all’esame di tutti i vescovi, che in due votazioni, a novembre e poi nel marzo di quest’anno, l’hanno alla fine approvato con oltre i due terzi dei voti. Tra i più attivi nel promuovere il documento vi sono stati i due cardinali più “ratzingeriani” di Spagna, Antonio Cañizares Lovera, di Toledo, e Antonio María Rouco Varela, di Madrid, assieme a un vescovo ausiliare di quest’ultimo, Eugenio Romero Pose, presidente della commissione dottrinale.
Quali sono le origini e le finalità dell’istruzione? Intervistato da “Il Regno”, Romero Pose ha detto che con questo documento i vescovi spagnoli hanno voluto indicare “sia la malattia che la cura”.
La malattia è “la secolarizzazione interna alla Chiesa”: un diffuso smarrimento della fede causato anche da “proposte teologiche che hanno in comune una presentazione deformata del mistero di Cristo”.
La cura è precisamente ridar vita alla professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16, 16), sui quattro versanti dove essa è oggi più insidiata:
– l’interpretazione delle Scritture,
– Gesù Cristo unico salvatore di tutti gli uomini,
– la Chiesa come Corpo di Cristo,
– la vita morale.
L’istruzione si articola in questi quattro grandi capitoli. In ciascuno, essa prima dà le coordinate della retta dottrina cristologica e poi denuncia le teologie che la deformano.
Le teologie, non i teologi. L’istruzione non prende di mira autori precisi, si limita a denunciare le tendenze erronee. I nomi che ricorrono nelle note a corredo del testo sono semplicemente quelli dei teologi già fatti segno in passato di condanne dottrinali e sanzioni disciplinari da parte della congregazione vaticana per la dottrina della fede o della conferenza episcopale spagnola.
Di essi, quattro sono spagnoli: Juan José Tamayo, José María Castillo, Juan Antonio Estrada, Marciano Vidal.
Gli altri sono il belga Jacques Dupuis, l’americano Roger Haight, l’indiano Anthony De Mello, l’austriaco Reinhard Messner, il brasiliano Leonardo Boff, l’irlandese Diarmuid O’Murchu, e Tissa Balasuriya, dello Sri Lanka.
Anche se non citato, un altro teologo spagnolo rappresentativo delle tendenze criticate dall’istruzione è Juan Masiá Clavel. Nei mesi scorsi è stato privato della cattedra per decisione della Compagnia di Gesù, alla quale appartiene.
In Spagna l’istruzione potrebbe diventare il testo base di un ritorno all’ordine – dottrinale – della Chiesa. Questo, almeno, è l’intento dei vescovi che l’hanno scritta e voluta. Ha detto il vescovo Romero Pose nell’intervista a “Il Regno”:
“La lettura del documento sta diventando uno stimolo per migliorare la formazione di tutti coloro che hanno il compito di comunicare la fede. Gradualmente l’istruzione viene presentata nelle diocesi, al clero, ai seminaristi, agli studenti di teologia, ai catechisti. Le reazioni negative sono state sinora poche e di limitato spessore teologico”.
Dell’istruzione, ecco qui di seguito un’antologia parzialissima. Nel senso che le citazioni sono tratte tutte e soltanto dalla sua “pars destruens”, quella di denuncia della “malattia“.
I numeri all’inizio di ogni citazione sono quelli del rispettivo paragrafo.
Naturalmente, per capire a fondo l’istruzione è necessario leggerne il testo completo, reperibile in lingua originale nel sito della conferenza episcopale spagnola e in lingua italiana nella rivista “il Regno”, numero 13, 2006.
”Quando si seminano dubbi ed errori…”
Dall’istruzione pastorale “Teologia e secolarizzazione in Spagna”, 30 marzo 2006
2. Non sono pochi coloro che all’ombra di un Concilio inesistente, tanto nella lettera quanto nello spirito, hanno seminato agitazione e inquietudine nel cuore di molti fedeli.
5. La questione principale con cui deve confrontarsi la Chiesa in Spagna è la sua secolarizzazione interna. All’origine della secolarizzazione vi è la perdita della fede e dell’intelligenza della fede. In questo giocano, senza dubbio, un ruolo importante alcune proposte teologiche non sufficientemente fondate relative alla confessione di fede cristologica. Si tratta di interpretazioni riduttive che non accolgono il mistero rivelato nella sua integrità. Gli aspetti della crisi possono riassumersi in quattro punti: concezione razionalista della fede e della rivelazione; umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo; interpretazione meramente sociologica della Chiesa e soggettivismo-relativismo secolarizzato nella morale cattolica. Ciò che unisce tutte queste argomentazioni non sufficientemente fondate è l’abbandono e il non riconoscimento dell’essenza specifica del cristianesimo, in special modo del valore definitivo e universale di Cristo nella sua rivelazione, nella sua condizione di Figlio del Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale. La presente istruzione pastorale si articola intorno a questi quattro punti, segnalando, a partire dalla confessione di fede di Pietro, alcuni insegnamenti che mettono in pericolo la professione di fede e la comunione ecclesiale, che causano confusione tra i fedeli e sono d’ostacolo allo sviluppo dell’evangelizzazione.
9. Risulta incompatibile con la fede della Chiesa considerare la Rivelazione, secondo quanto sostengono alcuni autori, come una mera percezione soggettiva per la quale “ci si rende conto” del Dio che ci abita e che tenta di manifestarsi a noi. […]
È sbagliato intendere la Rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte le religioni sono “rivelate”, in conformità al grado di progresso raggiunto nella loro storia e, in questo senso, vere e salvifiche.
10. Pretendere che le “rivelazioni” di altre religioni siano equivalenti o complementari alla rivelazione di Gesù Cristo significa negare la verità stessa dell’incarnazione e della redenzione.
13. Dalla negazione di un aspetto della professione di fede si passa alla perdita totale della fede stessa, in quanto selezionando alcuni aspetti e rifiutandone altri non si rispetta la testimonianza di Dio ma le ragioni umane. Quando si altera la professione di fede tutta la vita del cristiano ne risulta compromessa.
17. Suscitare dubbi e diffidenze nei confronti del magistero della Chiesa, anteporre l’autorità di determinati autori a quella del magistero o considerare le indicazioni e i documenti magisteriali semplicemente come un “limite” che ostacola il progresso della teologia e che si deve “rispettare” per motivi esterni alla teologia stessa, è all’opposto della dinamica della fede cristiana.
19. In alcune occasioni i testi biblici si studiano e si interpretano come se si trattasse di semplici testi dell’antichità. Si applicano, inoltre, metodi che escludono sistematicamente la possibilità della rivelazione, del miracolo e dell’intervento di Dio. Invece di integrare i contributi della storia, della filologia e di altri strumenti scientifici con la fede e la tradizione della Chiesa, frequentemente si presenta come problematica proprio l’interpretazione ecclesiale e la si considera estranea, quando non opposta, all’”esegesi scientifica”.
25. Si è abusato del metodo storico-critico senza percepirne i limiti e si è giunti a ritenere che la preesistenza della persona divina di Cristo sia una mera deformazione filosofica del dato biblico. […] La missione di Cristo è stata intesa come un evento meramente terreno, quando non politico-rivoluzionario, negando così la sua volontà di morire sulla croce per gli uomini.
27. In alcune opere cristologiche si avvertono le seguenti mancanze: 1. una metodologia teologica errata, in quanto si pretende di leggere la Sacra Scrittura a margine della tradizione ecclesiale e con criteri unicamente storico-critici, senza spiegare i presupposti di tali criteri né indicarne i limiti; 2. il sospetto che l’umanità di Gesù Cristo sia minacciata se si afferma la sua divinità; 3. la rottura tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”, come se quest’ultimo fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesù, dagli apostoli fino ai nostri giorni; 4. la negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di Cristo, ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli; 5. l’oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la coscienza di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della risurrezione, dell’ascensione e della glorificazione.
28. Alla radice di queste teorie si trova spesso una rottura tra la storicità di Gesù e la professione di fede della Chiesa: si considerano scarsi i dati storici degli evangelisti su Gesù Cristo. Da questa prospettiva, i Vangeli sono studiati esclusivamente come testimonianza di fede in Gesù, che non direbbero nulla o molto poco su Gesù stesso e che necessitano pertanto di essere reinterpretati. Inoltre, questa impostazione prescinde dalla tradizione della Chiesa e la emargina. Questo modo di procedere porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali: 1. svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù; 2. negare che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio; 3. considerare che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento. Questi errori sono fonte di grave confusione, perché inducono non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti della Chiesa su Gesù Cristo non si fondano sulla Sacra Scrittura, oppure che devono essere radicalmente reinterpretati.
29. La comprensione errata dell’umanità di Cristo, accompagnata da una metodologia teologica discutibile, procede in parallelo con gli errori sulla vergine Maria. […] Alcune pubblicazioni negano l’insegnamento della Chiesa sul concepimento verginale di Gesù.
31. Il dibattito cristologico contemporaneo si è incentrato sulle cosiddette teologie del pluralismo religioso, che presentano la figura di Gesù Cristo a partire da presupposti relativisti, sulla base sia della convinzione che la verità divina sia inaccessibile alla ragione, sia di una mentalità simbolica di origine orientale. La conseguenza di tali presupposti è stata il rifiuto sostanziale dell’identificazione della figura storica individuale di Gesù Cristo con la realtà stessa del Figlio di Dio. L’assoluto – si afferma – non può rivelarsi nella storia in forma piena e definitiva. Tutt’al più nella storia si trovano modelli, figure ideali che starebbero a indicare il totalmente altro. Alcune ipotesi teologiche affermano che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ma ritengono che, a causa del limite della natura umana di Gesù, la rivelazione di Dio in lui non possa essere considerata completa e definitiva. Si dovrà, pertanto, considerarla in relazione ad altre possibili “rivelazioni” di Dio espresse mediante le guide religiose dell’umanità e i fondatori delle religioni nel mondo. Quando si afferma, erroneamente, che Gesù Cristo non costituisce la pienezza della rivelazione di Dio lo si mette alla pari degli altri grandi esponenti religiosi. Ne consegue l’idea, ugualmente erronea, e che semina insicurezza e dubbio, che le religioni mondiali, in quanto tali, sono vie di salvezza complementari al cristianesimo.
34. Determinate teorie erronee sul mistero di Cristo, che sono passate dagli ambiti accademici ad altri più popolari, alla catechesi e all’insegnamento scolastico, sono motivo di tristezza. In tali teorie non si fa riferimento alla divinità di Gesù Cristo o la si considera espressione di un linguaggio poetico privo di contenuto reale, negando, di conseguenza, la sua preesistenza e la sua filiazione divina. La morte di Gesù viene così spogliata della sua valenza redentrice e considerata come il risultato dello scontro con la religione del suo tempo. Cristo è considerato prevalentemente dal punto di vista dell’etica e della dinamica di trasformazione della società: secondo questa prospettiva egli sarebbe semplicemente l’uomo del popolo che si schiera dalla parte degli oppressi e degli emarginati al servizio della libertà.
35. La conseguenza di tali ipotesi, contrarie alla fede della Chiesa, è la dissoluzione del soggetto cristiano. La riflessione, che dovrebbe contribuire a rendere ragione della speranza (cf. 1 Pietro 3, 15), si allontana dalla fede ricevuta e celebrata. L’insegnamento della Chiesa e la vita sacramentale si considerano distanti dalla volontà di Cristo, quando non opposte a essa. Il cristianesimo e la Chiesa appaiono come separabili. Secondo gli scritti di alcuni autori, non era intenzione di Gesù Cristo fondare né la Chiesa né tantomeno una religione, bensì liberare l’uomo dalla religione e dai poteri costituiti.
41. Quando si seminano dubbi ed errori rispetto alla fede della Chiesa nella venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi (parusia), rispetto alla risurrezione della carne, al giudizio particolare e finale, al purgatorio, alla possibilità reale di condanna eterna (inferno) o di eterna beatitudine (paradiso), si incide negativamente sulla vita cristiana di tutti coloro che sono ancora pellegrini su questa terra, perché si resta allora “nell’ignoranza circa quelli che sono morti” e si cade nella tristezza di quanti non hanno speranza (cf. 1Tessalonicesi 4, 13). Il silenzio su queste verità della nostra fede, nell’ambito della predicazione e della catechesi, è causa di disorientamento tra i fedeli che sperimentano nella propria esistenza le conseguenze della scissione tra quello in cui si crede e quello che si celebra.
42. Alcuni autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l’applicazione di un metodo esegetico scorretto, hanno separato Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesù Cristo fondare la sua Chiesa. Una volta rotto il vincolo tra la volontà di Cristo e la Chiesa, si cerca l’origine della costituzione gerarchica della Chiesa in ragioni puramente umane, frutto di mere congiunture storiche. S’interpreta così la testimonianza biblica sulla base di presupposti ideologici, selezionando alcuni testi ed elementi e dimenticandone altri. Si parla di “modelli di Chiesa” che sarebbero presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, “caratterizzata dal discepolato e dal carisma”, libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa “istituzionale e gerarchica”. Il modello di Chiesa “gerarchica, legale e piramidale”, sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l’accento sulla comunità e sulla pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella Sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno di Dio sul Corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico.
44. In modo analogo, alcuni negano la distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale. Chi ragiona in questo modo parte dal presupposto che nel Nuovo Testamento i ministri non sono considerati come “persone sacre”, per concludere che questa “sacralizzazione“ del ministero, o di un gruppo all’interno della Chiesa, sarebbe una sovrapposizione storica posteriore.
45. La mancanza di chiarezza rispetto al ministero ordinato nella Chiesa non è estranea alla crisi vocazionale degli ultimi anni. In alcuni casi sembra addirittura che si voglia provocare un “deserto vocazionale”, così da produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa.
47. Concepire la vita consacrata come un’”istanza critica” all’interno della Chiesa presuppone un riduzionismo ecclesiologico. Quando si vive dialetticamente la comunione gerarchica, opponendo la “Chiesa ufficiale o gerarchica“ alla “Chiesa popolo di Dio“, dal sentire con la Chiesa si passa, nella pratica, all’agire contro la Chiesa. S’invoca allora “il tempo dei profeti”, e gli atteggiamenti di dissenso, che tanto incrinano la comunione ecclesiale, si fanno passare per “denunce profetiche”. Le conseguenze di queste argomentazioni sono disastrose per tutto il popolo cristiano e, in particolare, per i consacrati.
48. Gli errori ecclesiologici segnalati si esprimono anche attraverso l’esistenza di gruppi che propagano e divulgano sistematicamente insegnamenti contrari al magistero della Chiesa su questioni di fede e di morale. Approfittano della facilità con cui determinati mezzi di comunicazione sociale prestano loro attenzione e moltiplicano le apparizioni in pubblico, le manifestazioni, i comunicati collettivi e gli interventi personali che dissentono apertamente dall’insegnamento del papa e dei vescovi. Allo stesso tempo reclamano per sé la condizione di cristiani e cattolici, mentre non rappresentano che associazioni prettamente civili. Non si tratta di associazioni molto numerose, ma la loro ripercussione sui mezzi di comunicazione è tale che le loro opinioni si diffondono ampiamente e seminano dubbi e confusione tra le persone semplici. Questo modo di agire rende manifesta la carenza degli elementi essenziali della fede cristiana, così come li trasmette la tradizione apostolica.
49. Questi gruppi, la cui nota comune è il dissenso, si sono espressi in interventi pubblici a favore delle assoluzioni collettive e del sacerdozio femminile e hanno travisato il senso vero del matrimonio proponendo e praticando la “benedizione” delle unioni tra persone omosessuali. L’esistenza di questi gruppi semina divisioni e disorienta gravemente il popolo dei fedeli, è causa di sofferenza per molti cristiani (sacerdoti, religiosi e laici) ed è motivo di scandalo e di ulteriore allontanamento per i non credenti.
50. Attraverso queste manifestazioni si offre una concezione deformata della Chiesa, secondo la quale esisterebbe un confronto continuo e inconciliabile tra la “gerarchia” e il “popolo”. La gerarchia, identificata con i vescovi, è presentata con tratti alquanto negativi: fonte di “imposizioni”, di “condanne” e di “esclusioni”. Di fronte a essa, il “popolo” con cui s’identificano questi gruppi è presentato con tratti opposti: “liberato”, “plurale” e “aperto”. Questo modo di presentare la Chiesa implica l’invito esplicito a rompere con la gerarchia e a costruire, in pratica, una “Chiesa parallela”. Per questi gruppi, l’attività della Chiesa non consiste principalmente nell’annuncio della persona di Gesù Cristo e nella comunione degli uomini con Dio, che si realizza mediante la conversione di vita e la fede nel Redentore, bensì nella liberazione da strutture oppressive e nella lotta per l’integrazione di gruppi emarginati, secondo una prospettiva prevalentemente immanentista.
51. Esiste inoltre un dissenso silenzioso che promuove e difende la disaffezione verso la Chiesa, considerando questo un legittimo atteggiamento critico rispetto alla gerarchia e al suo magistero, giustificando il dissenso all’interno della Chiesa stessa, come se un cristiano non potesse essere adulto senza prendere una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Dietro a questo atteggiamento si cela frequentemente l’idea che la Chiesa attuale non obbedisca al Vangelo e che occorra lottare “dal di dentro” per arrivare a una Chiesa futura autenticamente evangelica. In realtà, non si cerca la vera conversione dei suoi membri, la sua purificazione costante, la penitenza e il rinnovamento, bensì la trasformazione della stessa costituzione della Chiesa, per adattarla alle opinioni e alle prospettive del mondo. Questa posizione trova appoggio in membri di centri accademici della Chiesa e in alcune case editrici e librerie gestite da istituzioni cattoliche. Grande è il disorientamento che tale modo di procedere causa tra i fedeli.
53. Il risultato è un radicale relativismo, secondo il quale qualunque opinione sui temi della morale sarebbe ugualmente valida. Ognuno possiede “le sue verità” e tutt’al più, nell’ambito dell’etica, si può aspirare a dei “minimi condivisi”, la cui validità non potrà andare oltre il presente e nel quadro di determinate circostanze. La radice più profonda della crisi morale che colpisce gravemente molti cristiani è la frattura esistente tra fede e vita: un fenomeno annoverato dal concilio Vaticano II “tra i più gravi errori del nostro tempo”.
55. Se si porta avanti l’idea che nella rivelazione troviamo soltanto princìpi generici sull’agire umano, senza tener conto che la Sacra Scrittura e la tradizione dimostrano il contrario, l’insegnamento morale ne risente gravemente.
59. Quando si presenta in maniera ambigua la dottrina della Chiesa sul peccato originale, o si tace e si nega la gravità del peccato, le conseguenze per la formazione della coscienza sono molto negative, mentre appare confuso il cammino che porta alla felicità autentica.
61. In un contesto contrassegnato da un esasperato pansessualismo, il vero significato della sessualità umana risulta molte volte distorto, controverso e contestato, quando non pervertito.
62. La dignità della vita umana esige che la sua trasmissione avvenga nell’ambito dell’amore coniugale. Pertanto, quei metodi che pretendono di sostituire, e non semplicemente di aiutare l’azione dei coniugi nella procreazione, non sono ammissibili. Se si separa la finalità unitiva da quella procreativa, si falsa l’immagine dell’essere umano, dotato di anima e corpo, e si degradano gli atti del vero amore, capace di esprimere la carità coniugale che unisce gli sposi. La conseguenza è che una regolazione moralmente corretta della natalità non può ricorrere a metodi contraccettivi.
63. L’insegnamento cristiano sulla sessualità non consente di banalizzare tali questioni né di considerare i rapporti sessuali un semplice gioco di piacere. La banalizzazione della sessualità comporta la banalizzazione della persona.
64. Non possiamo mettere in dubbio che, fin dal momento della fecondazione, esista vera e autentica vita umana, distinta da quella dei genitori; per cui interrompere lo sviluppo naturale costituisce un gravissimo attentato contro la vita stessa. […] È contrario all’insegnamento della Chiesa sostenere che fino all’annidamento dell’ovulo fecondato non si possa parlare di “vita umana”, stabilendo così una rottura nell’ordine della dignità umana tra l’embrione e quello che si definisce, erroneamente, “pre-embrione”. In modo analogo, nessuno ha la potestà di eliminare una vita innocente, neppure quando si trova allo stadio terminale.
65. Coloro che rivendicano la loro condizione di cristiani operando nell’ordine politico e sociale con proposte che contraddicono espressamente l’insegnamento evangelico, custodito e trasmesso dalla Chiesa, sono causa grave di scandalo e si collocano fuori dalla comunione ecclesiale.
68. Le opinioni erronee, che abbiamo esaminato, hanno avuto serie e gravi conseguenze nella vita della Chiesa. Dobbiamo constatare che in molte delle nostre famiglie si è interrotta la trasmissione della fede. Le convinzioni di fede di genitori, educatori e catechisti sono state scosse da proposte teologiche equivoche, ambigue e dannose che hanno indebolito la loro fede e hanno così precluso la trasmissione gioiosa del Vangelo.
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Il testo integrale dell’istruzione, nel sito della conferenza episcopale spagnola:
> “Teología y secularización en España. A los cuarenta años de la clausura del Concilio Vaticano II”
La sua versione italiana, qui ripresa, è uscita nel numero 13, 2006 della rivista dei dehoniani di Bologna. Corredata sul numero successivo della stessa rivista da un’intervista con uno degli autori dell’istruzione, il vescovo Eugenio Romero Pose:
> “Il Regno”
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L’istruzione è accompagnata da un ampio apparato di note. In una di queste, a proposito della vita religiosa, si legge che “un autore ha proposto che il voto di povertà diventi ‘di gestione ecologica’ [de administración ecológica], quello di obbedienza ‘servitù di coordinamento’ [mayordomia de coordinación] e quello di castità ‘voto per la relazione’ [voto para la relación]”.
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Sui processi nei confronti dei teologi Haight, Dupuis, Messner, Vidal, De Mello, Boff, Balasuriya, citati nell’istruzione dei vescovi spagnoli, vedi nel sito del Vaticano:
> Congregazione per la dottrina della fede. Documenti dottrinali