(www.chiesa) Il concilio vero e quello sognato

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Breve dialogo sul Concilio, tra un maestro e un allievo

di Francesco Arzillo

Il maestro (M.) è un professore di teologia sessantenne, moderatamente progressista, disposto a dialogare con tutti; si innervosisce solo con chi appare poco propenso a valorizzare appieno il Concilio della sua giovinezza, che gli ricorda, tra l’altro, i tumultuosi anni del seminario.

L’allievo (A.) è più giovane e non è un chierico; è un po’ irriverente, mai però verso il magistero ecclesiale; molti lo considerano un ultraconservatore; ma anche i tradizionalisti lo criticano perché consulta – anche se con cautela – gli scritti teologici di Henri de Lubac e difende sempre Giovanni XXIII e Paolo VI.

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M. – Ciao! Sempre con un libro in mano. Vediamo un po’ il tuo ultimo acquisto.

A. – Eccolo: "Chi ha paura del Vaticano II?", a cura di Alberto Melloni e Giuseppe Ruggieri.

M. – Mi sorprendi. Leggi Melloni e i teologi cattolico-progressisti da te sempre criticati. Ho capito: il titolo del libro ha fatto leva sul tuo senso di colpa e vuoi espiare.

A. – Maestro, vedo che non hai perso l’abitudine di sovrapporre la psicoanalisi alla teologia. Io sensi di colpa non ne ho, almeno su questo punto. Tu sai che ho sempre accettato con tutto il cuore il Vaticano II. Come si può parlare oggi della Chiesa senza la "Lumen gentium"? O della Rivelazione divina senza la "Dei Verbum"? O della liturgia senza la "Sacrosanctum Concilium"?

M. – Allora dov’è il problema?

A. – Il problema è in questa interminabile disputa sul Concilio, in questo intricatissimo conflitto delle interpretazioni. Certo, i saggi contenuti in questo libro sono assai raffinati, contengono spunti interessanti, si confrontano con le indicazioni di Benedetto XVI. Però…

M. – Però?

A. – Essi mi richiamano alla mente – almeno in parte – ambienti, climi e luoghi comuni di quell’area cattolico-progressista che tende a fare del Concilio un mito. Ma bada, non voglio etichettare gli autori, uso un indicatore idealtipico e orientativo.

M. – La verità è che tu dici di accettare il Concilio, ma con una riserva mentale, perché critichi chi si batte per il Concilio.

A. – Vedi che parli di una battaglia? Ecco, proprio questo è il punto, questa sovraeccitazione di alcuni durante e dopo il Concilio, questo clima di lotta continua, questa "agitation croissante aux alentours du Concile": parole non mie ma del cardinale Henri de Lubac. E poi questo modo di raccontarne la storia! La famosa "settimana nera"… Ma che significa? Qual è il valore euristico di questa espressione? Nessuno! Se leggo le memorie di un aiutante di campo di Napoleone a Waterloo posso comprendere che parli di una "giornata nera"; ma da uno storico contemporaneo mi aspetto un tono più calmo, che mi faccia capire. Ancora de Lubac, nel suo libro "Entretien autour de Vatican II" pubblicato nel 1985, parla di un "language historico-manichéen, qui sous un mode mineur s’est assez largement répandu". O non ti va più bene neppure de Lubac, del quale mi hai sempre parlato con sconfinata ammirazione?

M. – Una storiografia neutrale non esiste.

A. – Sì, però occorre almeno essere pacati. E comunque parlo di una sovraeccitazione che non è solo autobiografica e storiografica. Ma è anche filosofica, oserei dire.

M. – Cioè?

A. – Vedi, prendiamo ad esempio il problema dello "spirito" e della "lettera".

M. – Non mi tirare fuori la storia secondo cui i documenti conciliari andrebbero letti solo secondo la lettera!

A. – Perché vuoi banalizzare il discorso? È vero che la lettera va sempre tenuta in debito conto, ma non è comunque sufficiente per un’ermeneutica completa. Su questo concordano il giurista romano Celso e san Paolo. Il che mi basta.

M. – E allora?

A. – Dipende da cosa intendiamo con "spirito". Qui entra in gioco la sovraeccitazione. Prendi per esempio Hegel a Jena. Era chiaramente sovraeccitato: in Napoleone vedeva la Storia che passa a cavallo… Ricordi quel passo delle "Lezioni di Jena", che non a caso è stato anche citato dal "negativista" Kojève quale esergo della sua "Introduzione alla lettura di Hegel"? Ricordi il tono? "Signori! Ci troviamo in un’epoca importante, in un fermento in cui lo Spirito ha fatto un passo in avanti. Ha superato la sua precedente forma concreta e ne ha acquisita una nuova…". Ecco, quando io leggo certi teologi, certi storici di oggi, non posso fare a meno di pensare a quel tono lì.

M. – Tu insinui, alludi e non concludi. Non è mica questione di tono!

A. – Non sta a me dire fino a che punto si tratti soltanto di tono, o di legittima assunzione di spunti teoretici, o di cedimento alle logiche immanentistiche. Ogni autore è diverso dall’altro.

M. – Torniamo al Concilio. Tu citi il giurista romano Celso, insisti sul testo, e trascuri l’evento.

A. – Altra parola-chiave: l’evento. Hegel? Heidegger? Pareyson?

M. – Ma lascia stare i filosofi!

A. – Non lascio stare niente! Voi teologi di oggi conoscete poco la filosofia, volete fare una teo-logia senza "logos", a-filosofica o trans-filosofica. Ma spesso è solo retorica. E poi la cosa peggiore è quella di essere influenzati da Hegel senza neppure esserne consapevoli. Se Hegel fosse qui tra noi sarebbe sorpreso dal gran numero di suoi discendenti intellettuali, di figli e figliastri… E comunque non sapete neppure scrivere i manuali. È una fatica trovarne uno che non salti da San Tommaso a Rahner, omettendo tutto ciò che vi sta in mezzo! Oggi ci si può diplomare in teologia senza sapere pressoché nulla di Scoto, di Suarez, di Melchior Cano, del Caietano. Prova a chiedere a dieci neodiplomati se abbiano mai sentito parlare di Scheeben, e dimmi se ne trovi più di un paio che ti rispondano affermativamente.

M. – Ora stai esagerando.

A. – Hai ragione. Mi calmo.

M. – L’evento! Pensa alla teologia, pensa alla "Dei Verbum": Dio si rivela attraverso eventi e parole intimamente connessi tra loro…

A. – Certo che penso alla teologia! Penso che la Rivelazione divina culmina in Cristo, nel quale Dio ci ha detto tutto. Essa è compiuta, anche se non è ancora completamente esplicitata, come ricorda il Catechismo al paragrafo 66. E poi al paragrafo 83: la tradizione "viene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro hanno ricevuto dall’insegnamento e dall’esempio e ciò che hanno appreso dallo Spirito Santo". Sarebbe erroneo pensare a un evoluzionismo storicistico. Non è la realtà rivelata da Dio che si modifica o si evolve; è l’intelligenza credente che cresce approfondendosi. Se questo è vero, l’Evento unico è Cristo, non esiste un’età dello Spirito che superi quella di Cristo.

M. – Risparmiami la storia di Gioacchino da Fiore, per favore…

A. – E perché no? Se proprio vogliamo cercare un evento epocale pensiamo a san Francesco! Chi è stato più epocale di lui, per l’intero secondo millennio? Su questo potremmo essere d’accordo tutti, conservatori, progressisti, persino molti non credenti. Però l’interpretazione di chi vedeva in Francesco l’inaugurazione dell’età dello Spirito fu giustamente respinta. Francesco stesso ne sarebbe rimasto stupito, lui vedeva solo Cristo e la Trinità, in tutto.

M. – Però la storiografia francescana è complessa. Occorre tener conto della politica di san Bonaventura nel narrare la storia del fondatore…

A. – Ma quale politica! Già questo uso del termine, riferito a un ambito che un medievale non avrebbe mai qualificato come "politico", mi dà fastidio, perché è frutto di una cattiva ermeneutica. Si leggono gli eventi teologici, filosofici, giuridici di quel tempo con la lente del panpoliticismo moderno, si considera "politico" ogni ambito del reale. Bel modo di calarsi in un’altra epoca, da parte di chi parla in continuazione di storia e di storicità!

M. – Insomma, dove vuoi andare a parare?

A. – Voglio solo dire che dobbiamo smetterla con questa storia dell’evento epocale. Non esistono eventi epocali, a stretto rigore logico e teologico. Quella dell’evento epocale rischia di essere solo una retorica buona per la "mobilitazione", una forma di cripto-ideologia.

M. – Ma cosa auspichi, l’eterno ritorno dell’identico?

A. – No. Agostino ha dimostrato che la ciclicità pagana è superata per sempre. Si tratta, piuttosto, di saper vedere l’Eterno nel tempo, che interseca un punto del tempo, "quel" punto del tempo, incarnandosi.

M. – Tu torni indietro…

A. – Torno alle fonti. E alla Fonte.

M. – Ma l’Evento unico rivive oggi o no?

A. – Esso è compiuto. Il tempo è compiuto, vedi Marco 1, 15. Anche se ne attendiamo la piena manifestazione.

M. – E il Concilio Vaticano II? Ti aiuta o no nel cammino?

A. – Certo che mi aiuta! Esso però presuppone l’Evento unico e la sua definizione dogmatica irreversibilmente compiuta nei primi sette Concili ecumenici. Capisci che non posso pensare a un evento che "de-calcedonizzi" Cristo – cioè gli tolga ciò che di lui è stato definito a Calcedonia – per inculturarlo nella modernità.

M. – Ma nessuno vuole questo!

A. – Apparentemente quasi nessuno. Certo non vuole questo il Vaticano II, che non ha inteso innovare la fede, come sostengono specularmente, con opposti scopi, le versioni estreme del tradizionalismo e del progressismo. Mi chiedo però quanto arianesimo tendenziale e virtuale ci sia oggi in giro, quanto troppo ci si spinga a umanizzare Gesù. Penso per esempio ai critici della "Dominus Iesus", che nel 2000 ha dovuto richiamare l’abc della cristologia. Mi chiedo: chi ha paura dei Concili di Nicea, di Efeso, di Calcedonia?

M. – Il tuo è un suggestivo espediente retorico. Tu gerarchizzi i Concili per togliere vita in modo subdolo al Vaticano II.

A. – No. Però mi sembra che oggi siano in gioco i fondamenti della fede. Gradirei quindi che si dia evidenza adeguata anche ai convegni su Nicea e su Calcedonia, invece di lasciarli a pochi specialisti eruditi.

M. – Basta, sono stanco. Torno a casa e leggo qualcosa dal mio libro più caro, il "Giornale dell’anima" di Angelo Giuseppe Roncalli.

A. – Che coincidenza, lo sto leggendo anch’io…