(www.chiesa) Il Papa spiega perchè i cristiani son divisi

  • Categoria dell'articolo:Fede e ragione

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Sulla frammentazione delle comunità cristiane

di Benedetto XVI

New York, incontro ecumenico nella chiesa di Saint Joseph, venerdì 18 aprile 2008
[…] Troppo spesso i non cristiani, che osservano la frammentazione
delle comunità cristiane, restano a ragione confusi circa lo stesso
messaggio del Vangelo. Credenze e comportamenti cristiani fondamentali
vengono a volte modificati in seno alle comunità da cosiddette "azioni
profetiche" fondate su un’ermeneutica non sempre in consonanza con il
dato della Scrittura e della Tradizione. Di conseguenza le comunità
rinunciano ad agire come un corpo unito, e preferiscono invece operare
secondo il principio delle "opzioni locali". In tale processo, si
smarrisce da qualche parte il bisogno di una koinonia diacronica – la
comunione con la Chiesa di tutti i tempi – proprio nel momento il cui
il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze
comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (cfr Rm 1,
18-23).

Di fronte a queste difficoltà, dobbiamo in primo luogo ricordarci
che l’unità della Chiesa deriva dalla perfetta unità della Trinità. Il
Vangelo di Giovanni ci dice che Gesù ha pregato il Padre perché i suoi
discepoli possano essere una cosa sola, "come tu sei in me e io in te"
(cfr Gv 17, 21). Questo passo riflette la ferma convinzione della
comunità cristiana delle origini che la sua unità era frutto e riflesso
dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò, a sua
volta, mostra che la coesione reciproca dei credenti era fondata sulla
piena integrità della confessione del loro credo (cfr 1 Tm 1, 3-11). In
tutto il Nuovo Testamento noi troviamo che gli Apostoli furono
ripetutamente chiamati a rendere ragione della loro fede sia ai Gentili
(cfr At 17, 16-34) che ai Giudei (cfr At 4, 5-22; 5, 27-42). Il nucleo
centrale della loro argomentazione fu sempre il fatto storico della
risurrezione corporea del Signore dalla tomba (At 2, 24,32; 3, 15;
4,10; 5,30; 10,40; 13,30). L’efficacia ultima della loro predicazione
non dipendeva da "parole ricercate" o da "sapienza umana" (1 Cor 2,
13), ma piuttosto dall’azione dello Spirito (Ef 3, 5) che confermava
l’autorevole testimonianza degli Apostoli (cfr 1 Cor 15, 1-11). Il
nucleo della predicazione di Paolo e della Chiesa delle origini non era
altro che Gesù Cristo, e "questi crocifisso" (1 Cor 2, 2). E questa
proclamazione doveva essere garantita dalla purezza della dottrina
normativa espressa nelle formule di fede – i simboli – che articolavano
l’essenza della fede cristiana e costituivano il fondamento dell’unità
dei battezzati (cfr 1 Cor 15,3-5; Gal 1,6-9; Unitatis redintegratio,
2).

Miei cari amici, la forza del kerygma non ha perso nulla del suo
interiore dinamismo. Pur tuttavia dobbiamo chiederci se il suo pieno
vigore non sia stato attenuato da un approccio relativistico alla
dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie
secolarizzate, che, con il sostenere che solo la scienza è "oggettiva",
relegano completamente la religione nella sfera soggettiva del
sentimento dell’individuo. Le scoperte scientifiche e le loro
realizzazioni attraverso l’ingegno umano offrono senza dubbio
all’umanità nuove possibilità di miglioramento. Questo non significa,
tuttavia, che il "conoscibile" sia limitato a ciò che è empiricamente
verificabile, né che la religione sia confinata al regno mutevole della
"esperienza personale".

L’accettazione di questa erronea linea di pensiero porterebbe i
cristiani a concludere che nella presentazione della fede cristiana non
è necessario sottolineare la verità oggettiva, perché non si deve che
seguire la propria coscienza e scegliere quella comunità che meglio
incontra i propri gusti personali. Il risultato è riscontrabile nella
continua proliferazione di comunità che sovente evitano strutture
istituzionali e minimizzano l’importanza per la vita cristiana del
contenuto dottrinale.

Anche all’interno del movimento ecumenico i cristiani possono
mostrarsi riluttanti ad asserire il ruolo della dottrina per timore che
esso possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della
divisione. Malgrado ciò, una chiara e convincente testimonianza resa
alla salvezza operata per noi in Cristo Gesù deve basarsi sulla nozione
di un insegnamento apostolico normativo – un insegnamento che davvero
sottolinea la parola ispirata di Dio e sostiene la vita sacramentale
dei cristiani di oggi.

Soltanto "restando saldi" all’insegnamento sicuro (cfr 2 Ts 2, 15)
riusciremo a rispondere alle sfide con cui siamo chiamati a
confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così daremo una
testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento
morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta di sentire da
noi. Così come i primi cristiani, abbiamo la responsabilità di dare una
testimonianza trasparente delle "ragioni della nostra speranza", così
che gli occhi di tutti gli uomini di buona volontà possano aprirsi per
vedere che Dio ha manifestato il suo volto (cfr 2 Cor 3,12-18) e ci ha
permesso di accedere alla sua vita divina attraverso Gesù Cristo. Lui
solo è la nostra speranza! Dio ha rivelato il suo amore per tutti i
popoli attraverso il mistero della passione e morte del suo Figlio, e
ci ha chiamati a proclamare che è veramente risorto, si è seduto alla
destra del Padre e "di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi
e i morti" (Credo niceno). […]