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Chiesa e islam. A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo

Dopo la bufera, dal mondo musulmano vengono anche segnali di discussione “secondo ragione”. Un dotto botta e risposta tra il cattolico Martinetti e il teologo musulmano Aref Ali Nayed. E il cardinale Bertone scrive…

di Sandro Magister

ROMA, 30 ottobre 2006 – L’effetto Ratisbona ha ogni giorno nuovi sviluppi. Dopo la bufera seguita alla “lectio” di Benedetto XVI del 12 settembre si moltiplicano dentro il mondo musulmano le risposte pacate e ragionate agli argomenti del papa.

La “lettera aperta” al papa di 38 leader e studiosi musulmani – ampiamente segnalata in questo sito – è stato sin qui il segnale più rilevante di questa nuova attenzione da parte del mondo islamico.

Ma prima e dopo questa lettera vi sono stati altri interventi di rilievo.

La prima approfondita analisi da parte di un filosofo e teologo musulmano della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona è stata pubblicata in questo sito il 4 ottobre. L’autore, Aref Ali Nayed, nato in Libia e managing director di un’azienda tecnologica con sede negli Emirati Arabi Uniti, ha studiato filosofia della scienza ed ermeneutica negli Stati Uniti e in Canada, ha seguito corsi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha tenuto lezioni al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. È consulente all’Interfaith Program dell’università di Cambridge. È musulmano sunnita osservante e si qualifica “di scuola Asharita in teologia, Malikita in giurisprudenza e Shadhilita-Rifai nell’orientamento spirituale”.

Ma il commento di Aref Ali Nayed, successivamente ripubblicato in forma integrale in un sito islamico inglese, ha avuto un seguito.

Ad alcuni passaggi dell’esposizione di Aref Ali Nayed ha replicato uno studioso cattolico italiano esperto in filosofia e teologia medievale, Alessandro Martinetti, di Ghemme in provincia di Novara. Martinetti ha insistito in particolare sul rapporto tra Dio e la ragione, e sulla radicale diversità di questo rapporto nell’islam e nella dottrina cattolica.

La nota di Martinetti – già anticipata per i lettori italiani nel blog “Settimo Cielo” – è riportata integralmente più sotto, in questa pagina.

Aref Ali Nayed ha risposto a sua volta alle tesi di Martinetti. E anche questa sua ampia replica è integralmente riportata in questa pagina, nella sua stesura originale in inglese.

La controtesi di Aref Ali Nayed è che è errato contrapporre un “Dio-Arbitrio” dell’islam a un “Dio-Logos” del cristianesimo. A suo giudizio, la stessa teologia di Tommaso d’Aquino sul rapporto tra Dio e la ragione “è molto vicina a Ibn Hazm e ai teologi musulmani di scuola Asharita”.

Ma prima del dotto contraddittorio tra Martinetti e Aref Ali Nayed nel commentare, entrambi, la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, in questa pagina è riprodotto un altro testo, quasi inedito, che ha per autore il segretario di stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone.

Quasi inedito perché scritto dal cardinale Bertone per il prossimo numero, non ancora stampato, della rivista cattolica “30 Giorni”, diretta da Giulio Andreotti, più volte capo del governo e ministro degli esteri italiano, molto vicino ai circoli diplomatici vaticani.

Il testo scritto da Bertone per “30 Giorni” farà da introduzione, nella stessa rivista, alla ristampa della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona.

Il testo integrale di Bertone può essere già letto, sin d’ora, nel sito web di “30 Giorni”. Qui di seguito ne è riportata la parte finale.

In essa vi sono dei passaggi che meritano attenzione.

Il cardinale segretario di stato annuncia un rafforzamento delle attività delle nunziature apostoliche nei paesi musulmani e un più sistematico uso della lingua araba da parte vaticana.

Auspica un maggior “dialogo con le élites pensanti [musulmane], nella fiducia di penetrare successivamente nelle masse, cambiare mentalità ed educare le coscienze”.

Quanto al terreno di possibile intesa tra cristianesimo e islam, Bertone lo indica nella “promozione della dignità di ogni persona” e nella “educazione alla conoscenza e alla tutela dei diritti umani”. Senza con ciò rinunciare, da parte della Chiesa, a “proporre e annunciare il Vangelo, anche ai musulmani, nei modi e nelle forme più rispettose della libertà dell’atto di fede”.

Ecco dunque qui di seguito, nell’ordine:

1 – il testo del cardinale Bertone,
2 – la replica di Alessandro Martinetti al commento di Aref Ali Nayed della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona,
3 – la controreplica di Aref Ali Nayed alle osservazioni di Martinetti.


1. Dialogare con le élites pensanti, per penetrare nelle masse

di Tarcisio Bertone


[…] Il Cristianesimo non è certo limitato all’Occidente, né si identifica con esso, ma solo rinsaldando un rapporto dinamico e creativo con la propria storia cristiana la democrazia e la civiltà occidentali potranno ritrovare spinta e propulsione, ovvero quelle energie morali per affrontare una scena internazionale fortemente competitiva.

Occorre disinnescare il rancore antislamico che cova in molti cuori, nonostante la messa a rischio della vita di tanti cristiani.

Inoltre, la fermissima condanna delle forme di irrisione della religione – e qui mi riferisco anche all’episodio delle irriverenti vignette satiriche che hanno infiammato le folle islamiche all’inizio di quest’anno – è precondizione indispensabile per condannarne le strumentalizzazioni.

Il discorso di fondo però non è neppure quello del rispetto dei simboli religiosi. Esso è semplice e radicale: occorre tutelare la dignità umana del musulmano credente. In un dibattito legato a questi temi una giovane musulmana nata in Italia ha semplicemente affermato: “Per noi il Profeta non è Dio, ma gli vogliamo molto bene”. Di questo sentimento profondo occorre avere almeno rispetto!

Di fronte ai musulmani credenti, ma anche di fronte ai terroristi, il parametro che deve dettare il comportamento non è l’utilità o il danno, ma la dignità umana.

Il centro del rapporto tra Chiesa e Islam è quindi preliminarmente la promozione della dignità di ogni persona e l’educazione alla conoscenza e alla tutela dei diritti umani.

In secondo luogo e in connessione a questa precondizione non dobbiamo rinunciare a proporre e annunciare il Vangelo, anche ai musulmani, nei modi e nelle forme più rispettose della libertà dell’atto di fede.

Per raggiungere questi obiettivi la Santa Sede si propone di valorizzare al massimo le nunziature apostoliche presso i paesi a maggioranza musulmana, per accrescere la conoscenza e se possibile anche la condivisione delle posizioni della Santa Sede.

Penso anche a un eventuale potenziamento dei rapporti con la Lega Araba, che ha sede in Egitto, tenendo conto delle competenze di tale organismo internazionale.

La Santa Sede si propone inoltre di impostare rapporti culturali tra le università cattoliche e le università dei paesi arabi e tra gli uomini e donne di cultura. Tra di loro il dialogo è possibile e direi anche fruttuoso. Ricordo alcuni congressi internazionali su temi interdisciplinari che abbiamo celebrato alla Pontificia Università Lateranense, ad esempio sui diritti umani, sulla concezione della famiglia, sulla giustizia e sull’economia.

Occorre proseguire e intensificare questa strada di dialogo con le élites pensanti, nella fiducia di penetrare successivamente nelle masse, cambiare mentalità ed educare le coscienze.

E proprio per facilitare questo dialogo la Santa Sede ha iniziato, e continuerà su questa strada, un uso più sistematico della lingua araba nel suo sistema di comunicazioni.

Il tutto avendo sempre a mente che la salvaguardia di quell’icona povera e continuamente insidiata ma sommamente amata da Dio che è la persona umana – amata per sé stessa, come dice il Concilio Vaticano II – è la massima testimonianza che le tradizioni religiose bibliche possono offrire al mondo.

__________


2. Arbitrio o Logos? Il Dio dell’islam e quello cristiano

di Alessandro Martinetti


Il commento di Aref Ali Nayed alla “lectio” di Benedetto XVI a Ratisbona stimola alcune riflessioni, in particolare a proposito del rapporto tra Dio e ragione.

Scrive Nayed:

“La ragione è un dono di Dio che non può essere al di sopra di Dio. Questo è il punto centrale di Ibn Hazm; un punto che è stato parafrasato in forma mutilata dalle dotte fonti di Benedetto XVI. Ibn Hazm, come i teologi Ashariti con i quali spesso polemizzava, insisteva sull’assoluta libertà dell’agire di Dio. In ogni caso Ibn Hazm riconosceva, come molti altri teologi musulmani, che Dio sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così che noi possiamo usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida e agli ordini di Dio.

“Ibn Hazm, come molti altri teologi musulmani, teneva fermo che Dio non è esternamente vincolato da niente, nemmeno dalla ragione. Comunque, in nessun punto Ibn Hazm sostiene che Dio non impegna se stesso liberamente e non onora questo suo impegno. Questo divino libero autoimpegnarsi è detto nel Corano ‘kataba rabukum ala nafsihi al-Rahma’ (il tuo Dio ha impegnato se stesso alla compassione). La ragione non deve essere al di sopra di Dio, né essere esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé.

“Per credere in quest’ultima proposizione non c’è bisogno di essere irrazionali o irragionevoli, con un Dio irrazionale o bizzarro! Il contrasto tra cristianesimo e islam su questa base non solo è ingiusto, ma anche equivoco.

“Non c’è dubbio che il papa si sforzi di convincere una università laica che la teologia ha un posto in un contesto basato sulla ragione. Tuttavia, questo non dovrebbe arrivare fino al punto di assoggettare Dio a una ragione che lo vincoli dall’esterno. La maggior parte dei grandi teologi cristiani, compreso l’amante della ragione Tommaso d’Aquino, non hanno mai posto la ragione al di sopra di Dio.”

A giudizio di Nayed, dunque, san Tommaso “non ha mai posto la ragione al di sopra di Dio”. Ma evitare di porre la ragione al di sopra di Dio non è ritenere, come invece Nayed fa, che questa mancata sovraordinazione della ragione a Dio autorizzi ad affermare che “Dio non è esternamente vincolato da niente, nemmeno dalla ragione” e che la ragione “può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé”.

San Tommaso non avrebbe mai sottoscritto queste affermazioni, anzi le contrastò vigorosamente. E con lui non le sottoscrive ma le contrasta il magistero cattolico. Il quale respinge pertanto la rappresentazione di un Dio che “sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così che noi possiamo usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida e agli ordini di Dio”.

Se affermare che la ragione non è normativa per Dio, e che Dio è coerente con sé stesso solo per scelta sovranamente libera e non esternamente vincolata alla ragione, equivale ad affermare – come mi pare Nayed faccia – che Dio potrebbe esistere ed agire in spregio alla ragione se solo lo volesse con atto di sovrana illimitata libertà, allora è opportuno precisare che Tommaso, e con lui il magistero cattolico, rigetta tale convinzione, scorgendovi un volontarismo irrazionalistico incompatibile con la retta ragione e con la fede cattolica, come il papa stesso rimarca nella “lectio” di Regensburg:

“Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la ‘voluntas ordinata’. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz’altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all’immagine di un Dio-arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive.”

Qui sta parlando non il Ratzinger teologo impegnato – come molti hanno sostenuto – nell’illustrare sbrigliate e audaci posizioni teologiche autorevoli quanto si vuole ma pur sempre personali, bensì papa Benedetto XVI, il quale dottamente non fa che ribadire contenuti consolidati della dottrina cattolica, enunciati in termini identici da Giovanni Paolo II nell’enciclica “Fides et Ratio” del 1998. Nella quale si proclama il valore universale di alcuni principi razionalmente conoscibili e applicabili, tra cui il principio di non contraddizione: principio che è universale – trascendentale, direbbero i filosofi – appunto perché nemmeno Dio può derogarvi:

“In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell’umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell’essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio” (“Fides et Ratio”, 4).

Non meno limpido ed eloquente è questo passaggio della costituzione dogmatica sulla fede cattolica del Concilio Vaticano I “Dei Filius” (IV, DS 3017), citato con palese approvazione in “Fides et Ratio” al paragrafo 53:

“Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione; questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero”.

Il Magistero insegna dunque che Dio non può esercitare la propria libertà in modo contraddittorio, cioè totalmente sganciato dai principi della ragione: ai quali non si assoggetta per arbitrario decreto, ma perché egli stesso è fondamento non contraddittorio di tutto ciò che esiste. Un Dio che potesse violare il principio di non contraddizione come, quando e se vuole potrebbe indifferentemente essere amore e non amore, creatore misericordioso e carnefice sadico ed efferato, il quale impartisce un comando e poi può discrezionalmente castigare e dannare chi obbedisce al comando: una sfinge indecifrabile, volubile e potenzialmente nemica dell’uomo. Un pericoloso autocrate onnipotente che, come il papa ha evidenziato a Regensburg, “non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola”, poiché “niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria”.

Il Dio annunciato dalla Chiesa cattolica è invece – e non può che essere – sempre e soltanto buono, datore di vita e di amore, redentore e salvatore e mai persecutore, creatore e non distruttore. Egli non si compiace della sofferenza né del peccato, ma non può che porre le Sue creature nelle condizioni di attingere il proprio bene sommo. Egli è fedele e coerente – e non può che esserlo – nonostante le infedeltà e le incoerenze degli uomini nel faticoso cammino dell’esistenza individuale e della storia. Non può che essere così, perché “Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero”. Dio non può essere amore infinito e anche, contraddittoriamente, amore a termine, capriccioso, intermittente, opportunistico.

Non ignoro che molta teologia, anche in ambiente cattolico, tema il Dio che non può disattendere il principio di non contraddizione, reputando che un Dio che non possa aggirare tale principio non sia onnipotente e non possa esercitare il proprio amore in maniera sovranamente libera. Ma è chiaro quali sono i rischi che il magistero addita annidarsi nell’immagine di un Dio supremamente libero di agire contro ragione. Sarebbe tempo che venga superata l’oziosa e sterile contrapposizione tra il Dio-Logos, che ottemperando al principio di non contraddizione si rinchiude in un imperturbabile distacco razionalistico impermeabile all’amore, e il Dio-Amore, che può a talento violare i principi razionali pur di secondare la propria indole di amore libero in modo assoluto e onnipotente.

Come insegna Benedetto XVI a Ratisbona, “non agire con il ‘logos’ è contrario alla natura di Dio. […] Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come ‘logos’ e come ‘logos’ ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore ‘sorpassa’ la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Efesini 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-’logos’, per cui il culto cristiano è ‘spirituale’ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Romani 12,1).” Insomma: Dio è amore – Deus caritas est! – proprio in quanto è Logos, ed è Logos proprio in quanto è amore.

Tale è il Dio della Chiesa cattolica. Non mi pare dunque si possa concordare con Nayed, quando asserisce che “il contrasto tra cristianesimo e islam su questa base non solo è ingiusto, ma anche equivoco”.

Se è vera l’immagine del Dio dell’islam avvalorata da Nayed – e non intendo entrare nel merito di tale questione né avventurarmi in perigliosi esercizi di esegesi coranica –, se cioè “Dio sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso”, e se “la ragione non deve essere al di sopra di Dio, né essere esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé”, allora va rilevato con nettezza che questa immagine di Dio cozza con quella professata come genuina dalla Chiesa cattolica, come il papa teologo ha nitidamente spiegato a Ratisbona.


3. Our God and Your God is One

by Aref Ali Nayed


In response to my commentary on the Lecture of Benedict XVI, Alessandro Martinetti wrote a series of comments under the title: “Will or Logos? The God of Islam and the God of Christianity [Arbitrio o Logos? Il Dio dell’islam e quello cristiano]”. The following notes and extensive quotations constitute a response to some of the important points made by Martinetti.

In developing my notes, and in the hope of achieving mutual understanding, I shall invoke only such sources and arguments that would be deemed authoritative or normative by the Catholic Martinetti. I will strive to show that Martinetti’s own Catholic tradition supports, rather than opposes, a position similar to that of Ibn Hazm and other Muslim theologians as briefly outlined in my commentary.

Starting from the Qur’anic injunction to discuss matters with the people of the Book in the best possible way, and with the Prophetic injunction to speak to people in modes suitable for their ways of reasoning, I shall not appeal, in these notes, to the Qur’an, the Sunnah, or the Islamic tradition, but to Martinetti’s own Christian and philosophic tradition. In my notes I shall strive towards the Qur’anically sought after “common discourse” (kalimatun sawa): common recognition of the One True God.

My guide in these notes is the following Qur’anic aya (29:46):

“Do not argue with the People of the Book but in the best of ways, except with those who have been unjust, and say: ‘we believe in what has been revealed to us, and what has been revealed to you, our God and your God is One, and we are devoted to Him’.”

Of course, my own Asha’rite position is rooted in God’s revelation in the Qur’an and the Sunnah as understood and expounded by the Sunni scholars of the Asha’rite school.

Martinetti’s main strategy is that of undermining my claim that it is unfair and questionable to contrast a purported rational God of Christianity with a purported irrational and whimsical God of Islam.

Martinetti, as is suggested by the title of his comments, counter-claims that the “God of Christianity” contrasts with the “God of Islam”. The God of Christianity is supposedly a “God of logos”, and the God of Islam is supposedly a “God of will”. The aim of my notes is to collapse this false distinction, using Martinetti’s own traditional sources, and to show that his contrast between two different Gods, a rational and a whimsical one, reaffirms yet another polarity in the dubious ‘contrast tables’ discredited in my commentary.

Martinetti basically uses passages in which I tried to briefly make sense of Ibn Hazm’s position, in order to prove that I am putting forth an irrational whimsical God, which he then contrasts with his rational God.

Martinetti is also keen to undermine my claim that the Catholic tradition itself, and especially Thomas Aquinas, does not support the elevation of Reason above God.

He counter-claims that God can not but respect and act according to the rules of Reason, including the “principle of non-contradiction”. Martinetti believes that Aquinas, the Catholic tradition (he especially cites “Fides et Ratio”), and Benedict XVI, all share that counter-claim.

My strategy in these notes consists in two moves:

– strive to show Martinetti that Catholic normative doctrines and documents clearly state that the God of the Muslims and that of the Christians is the very same God, and that his false contrast between “our God” and “your God” is not only unfair, but constitutes a rejection of authoritative (for him) Catholic teachings in this regard;

– strive to show Martinetti that Thomas Aquinas, based on Biblical grounds, does not elevate Reason above God, and that he, to the contrary, holds views that are very close to Ibn Hazm and Asha’rite Muslim theologians. “Fides et Ratio” can also be shown to be in a continuous line with a more accurate reading of Aquinas and close to Asha’rite teachings on Faith and Reason.

It is hoped that my notes will make clear to Martinetti that there is no need to appeal to a normative transcendental Reason, above God, for Muslims to be rational, or for our God to be considered rational. It is hoped that Martinetti will ultimately see that our God is One!


Move I: Catholic normative teachings regarding the worship of the One God in Islam and Christianity


Martinetti, by taking “Fides et Ratio” as authoritative, signals that he is a devout Catholic who should equally uphold, as Pope John Paul II always did, and as Pope Benedict XVI still does, the teachings of the Second Vatican Council (underlining added for emphasis):

“Nostra Aetate”:

“The Church regards with esteem also the Moslems. They adore the one God, living and subsisting in Himself; merciful and all-powerful, the Creator of heaven and earth, who has spoken to men; they take pains to submit wholeheartedly to even His inscrutable decrees, just as Abraham, with whom the faith of Islam takes pleasure in linking itself, submitted to God. Though they do not acknowledge Jesus as God, they revere Him as a prophet. They also honor Mary, His virgin Mother; at times they even call on her with devotion. In addition, they await the day of judgment when God will render their deserts to all those who have been raised up from the dead. Finally, they value the moral life and worship God especially through prayer, almsgiving and fasting”. (1)

The reaffirmations and clarifications of “Nostra Aetate” by Pope John Paul II:

“Christians and Muslims, we have many things in common, as believers and as human beings. We live in the same world, marked by many signs of hope, but also by multiple signs of anguish. For us, Abraham is a very model of faith in God, of submission to his will and of confidence in his goodness. We believe in the same God, the one God, the living God, the God who created the world and brings his creatures to their perfection”. (2)

“As I have often said in other meetings with Muslims, your God and ours is one and the same, and we are brothers and sisters in the faith of Abraham. Thus it is natural that we have much to discuss concerning true holiness in obedience and worship to God.” (3)

“On other occasions I have spoken of the religious patrimony of Islam and of its spiritual values. The Catholic Church realizes that the element of worship given to the one, living, subsistent, merciful and almighty Creator of heaven and earth is common to Islam and herself, and that it is a great link uniting all Christians and Muslims. With great satisfaction she also notes, among other elements of Islam which are held in common, the honour attributed to Jesus Christ and his Virgin Mother”. (4)

The recent reaffirmations of “Nostra Aetate” by Pope Benedict XVI:

“The position of the Pope concerning Islam is unequivocally that expressed by the conciliar document ‘Nostra Aetate’”. (5)

Martinetti’s contrast between the God of Christianity and the God of Islam is in direct violation of the teachings of the last and most authoritative Vatican Council. Given his obvious devotion to Catholic doctrine, Martinetti must reconsider his position.

The Qur’an teaches Muslims to invite the People of the Book (Jews and Christians) to come to a common discourse and to affirm the worship of the One True God. Vatican II teaches Catholics to come to such a common discourse. It is sad to see a Catholic wanting to lapse to pre-Vatican II positions that were not conducive to mutual respect or co-living.


Move II: Thomas Aquinas is not on the side of Martinetti!


Martinetti, without any documentation, claims that Aquinas would never concur with a position similar to the one I attributed to Ibn Hazm. While, I am no Thomist, I dare bring the attention of Martinetti to the following facts.


1. Aquinas affirms, just as most Muslim theologians do, that it is Revelation that is the ultimate and real teacher about God and His ways. Reason must strive to understand, but it is Revelation that saves:


“It was necessary for man’s salvation that there should be a knowledge revealed by God besides philosophical science built up by human reason. Firstly, indeed, because man is directed to God, as to an end that surpasses the grasp of his reason: ‘The eye hath not seen, O God, besides Thee, what things Thou hast prepared for them that wait for Thee’ (Isaiah 66:4). But the end must first be known by men who are to direct their thoughts and actions to the end. Hence it was necessary for the salvation of man that certain truths which exceed human reason should be made known to him by divine revelation. Even as regards those truths about God which human reason could have discovered, it was necessary that man should be taught by a divine revelation; because the truth about God such as reason could discover, would only be known by a few, and that after a long time, and with the admixture of many errors. Whereas man’s whole salvation, which is in God, depends upon the knowledge of this truth. Therefore, in order that the salvation of men might be brought about more fitly and more surely, it was necessary that they should be taught divine truths by divine revelation. It was therefore necessary that besides philosophical science built up by reason, there should be a sacred science learned through revelation”. (6)


2. Aquinas affirms, just as most Muslim theologians do, that God is omnipotent and that His Power and Will are utterly efficacious:


God is bound to nobody but Himself. Hence, when it is said that God can only do what He ought, nothing else is meant by this than that God can do nothing but what is befitting to Himself, and just”.

“Although this order of things be restricted to what now exists, the divine power and wisdom are not thus restricted. Whence, although no other order would be suitable and good to the things which now are, yet God can do other things and impose upon them another order”.


3. Aquinas points out the common mistake of subjecting divine acts to natural necessity:


“In this matter certain persons erred in two ways. Some laid it down that God acts from natural necessity in such way that as from the action of nature nothing else can happen beyond what actually takes place – as, for instance, from the seed of man, a man must come, and from that of an olive, an olive; so from the divine operation there could not result other things, nor another order of things, than that which now is. But we showed above that God does not act from natural necessity, but that His will is the cause of all things; nor is that will naturally and from any necessity determined to those things. Whence in no way at all is the present course of events produced by God from any necessity, so that other things could not happen. Others, however, said that the divine power is restricted to this present course of events through the order of the divine wisdom and justice without which God does nothing. But since the power of God, which is His essence, is nothing else but His wisdom, it can indeed be fittingly said that there is nothing in the divine power which is not in the order of the divine wisdom; for the divine wisdom includes the whole potency of the divine power. Yet the order placed in creation by divine wisdom, in which order the notion of His justice consists, as said above, is not so adequate to the divine wisdom that the divine wisdom should be restricted to this present order of things. Now it is clear that the whole idea of order which a wise man puts into things made by him is taken from their end. So, when the end is proportionate to the things made for that end, the wisdom of the maker is restricted to some definite order. But the divine goodness is an end exceeding beyond all proportion things created. Whence the divine wisdom is not so restricted to any particular order that no other course of events could happen. Wherefore we must simply say that God can do other things than those He has done”.


4. Aquinas explains why this mistake is often made:


“In ourselves, in whom power and essence are distinct from will and intellect, and again intellect from wisdom, and will from justice, there can be something in the power which is not in the just will nor in the wise intellect. But in God, power and essence, will and intellect, wisdom and justice, are one and the same. Whence, there can be nothing in the divine power which cannot also be in His just will or in His wise intellect”.


5. Aquinas does teach that objects that are impossible by their very definition can not be done, but that we should still not say that God can not do them:


“Whence, whatsoever has or can have the nature of being is numbered among the absolutely possible things, in respect of which God is called omnipotent. Now nothing is opposed to the idea of being except non-being. Therefore, that which implies being and non-being at the same time is repugnant to the idea of an absolutely possible thing, within the scope of the divine omnipotence. For such cannot come under the divine omnipotence, not because of any defect in the power of God, but because it has not the nature of a feasible or possible thing. Therefore, everything that does not imply a contradiction in terms, is numbered amongst those possible things, in respect of which God is called omnipotent: whereas whatever implies contradiction does not come within the scope of divine omnipotence, because it cannot have the aspect of possibility. Hence it is better to say that such things cannot be done, than that God cannot do them. Nor is this contrary to the word of the angel, saying: ‘No word shall be impossible with God’. For whatever implies a contradiction cannot be a word, because no intellect can possibly conceive such a thing”. (7)

It is noteworthy that Muslim Asha’rite theologians, including Asha’ri himself, upheld a very similar doctrine to that outlined by Aquinas in this regard. The way to avoid what is often called the “paradox of omnipotence” is to hold that things like “unmovable stones”, “squared circles” and “Euclidean triangles with angles adding up to more that 180 degrees” simply can not be. Thus, the question of whether or not an omnipotent God can make them should not even arise. God does not make such things not because of an externally imposed normative “law of non-contradiction” to which he must abide, but simply because such things, by definition, can not be. They do not have what it takes to be not because of a logical contradiction, but because of an ontological failure to be.

Many classical Muslim theologians who argued against the sensibility of the Christian doctrine of trinity used logic very similar to that of Aquinas, but added that the notion of the trinity itself “implies being and non-being at the same time [and] is repugnant to the idea of an absolutely possible thing, within the scope of the divine omnipotence”. “For whatever implies a contradiction cannot be a word, because no intellect can possibly conceive such a thing”. For many classical Muslim theologians, the idea of a “Man-God” was taken to be of the same category as the idea of a “squared circle”. Such ideas, as the phenomenologist Meinong rightly points out, can “subsist” and be referred to, talked about, and even believed in, but can not possibly “exist”.

Of course, despite the authority of Aquinas on things reasonable and logical, Aquinas himself, and the Catholic Church, throughout its history had to preserve a space for ultra-logics that do not fit neatly into the categories of human logics. That is the only way to preserve the authoritative (for them) teachings of Paul and other Christian sages on a “Wisdom of God” that transcends the “Wisdom of the World”. The appeal to such “extra-rationality” is very clear in the authoritative teachings of the Catholic Church. “Fides et Ratio” itself has many passages defending precisely such a position not on the basis of “Reason” but on the basis of “Revelation”.


6. “Fides et Ratio”, just as most Muslim theologians do, reaffirms the normativity of Revelation over Reason:


“Restating almost to the letter the teaching of the First Vatican Council’s constitution ‘Dei Filius’, and taking into account the principles set out by the Council of Trent, the Second Vatican Council’s constitution ‘Dei Verbum’ pursued the age-old journey of understanding faith, reflecting on Revelation in the light of the teaching of Scripture and of the entire Patristic tradition. At the First Vatican Council, the Fathers had stressed the supernatural character of God’s Revelation. On the basis of mistaken and very widespread assertions, the rationalist critique of the time attacked faith and denied the possibility of any knowledge which was not the fruit of reason’s natural capacities. This obliged the Council to reaffirm emphatically that there exists a knowledge which is peculiar to faith, surpassing the knowledge proper to human reason, which nevertheless by its nature can discover the Creator. This knowledge expresses a truth based upon the very fact of God who reveals himself, a truth which is most certain, since God neither deceives nor wishes to deceive”. (8)


7. “Fides et Ratio” reaffirms that divine Will can overcome human “habitual patterns of thought”, and that it is not bound by human logic and systems:


“This is why the Christian’s relationship to philosophy requires thorough-going discernment. In the New Testament, especially in the Letters of Saint Paul, one thing emerges with great clarity: the opposition between ‘the wisdom of this world’ and the wisdom of God revealed in Jesus Christ. The depth of revealed wisdom disrupts the cycle of our habitual patterns of thought, which are in no way able to express that wisdom in its fullness.

“The beginning of the First Letter to the Corinthians poses the dilemma in a radical way. The crucified Son of God is the historic event upon which every attempt of the mind to construct an adequate explanation of the meaning of existence upon merely human argumentation comes to grief. The true key-point, which challenges every philosophy, is Jesus Christ’s death on the Cross. It is here that every attempt to reduce the Father’s saving plan to purely human logic is doomed to failure. ‘Where is the one who is wise? Where is the learned? Where is the debater of this age? Has not God made foolish the wisdom of the world?’ (1 Corinthians 1:20), the Apostle asks emphatically. The wisdom of the wise is no longer enough for what God wants to accomplish; what is required is a decisive step towards welcoming something radically new: ‘God chose what is foolish in the world to shame the wise…; God chose what is low and despised in the world, things that are not to reduce to nothing things that are’ (1 Corinthians 1:27-28). Human wisdom refuses to see in its own weakness the possibility of its strength; yet Saint Paul is quick to affirm: ‘When I am weak, then I am strong’ (2 Corinthians 12:10). Man cannot grasp how death could be the source of life and love; yet to reveal the mystery of his saving plan God has chosen precisely that which reason considers ‘foolishness’ and a ‘scandal’.

“The wisdom of the Cross, therefore, breaks free of all cultural limitations which seek to contain it and insists upon an openness to the universality of the truth which it bears. What a challenge this is to our reason, and how great the gain for reason if it yields to this wisdom! Of itself, philosophy is able to recognize the human being’s ceaselessly self-transcendent orientation towards the truth; and, with the assistance of faith, it is capable of accepting the ‘foolishness’ of the Cross as the authentic critique of those who delude themselves that they possess the truth, when in fact they run it aground on the shoals of a system of their own devising”. (9)

Of course, based on what we take to be God’s own and final Qur’anic revelation of the truth regarding Jesus (peace be upon him), we Muslims accept God’s judgment that it is not “befitting” to God to have a son or become human. Thus most Muslim theologians deny the doctrines of the incarnation and crucifixion not only on the basis of the philosophical logic concerning impossible objects (as briefly outlined above), but on the basis of divine revelation (or revealed divine logic) that Muslims solemnly hold authentic and true.

Despite the fact that a Muslim, based on the ultimate revelatory authority he or she accepts, must reject the contents of the particular example claimed by “Fides et Ratio” to be a willful rupture of the rules of human reason, the example itself does establish that Catholicism, like Islam, does elevate the freedom and will of God over any limits on them by any external human or transcendental “Reason”. Does that make Catholic teaching irrational, or the Catholic God an irrational God?

One person’s extra-rationality is often another person’s irrationality! It all depends on one’s ultimate criterion. For us Muslims that ultimate criterion (al-furqan) on the doctrine of God, is the Qur’an and the Sunnah. It is pointless, however, for Christians and Muslims to exchange accusations of irrationality based on their contrasting communal experiences of what they take to be extra-rational ruptures of the divine into history. Such a mutually-destructive polemical exchange will only satisfy atheistic secularists who think that religiosity as such is fundamentally irrational. Muslim and Christians must cooperate in staking a place for the extra-rational in a world increasingly dominated by a godless secularist outlook. As pointed out in the beginning of my commentary, Benedict XVI’s just call for an expansion of the notion of Reason so as to accommodate revelatory insights is something that both Christians and Muslims can positively respond to.

Furthermore, having different authoritative revelatory criteria for the doctrine of God does not necessarily mean that we have different Gods. Here it is useful to invoke the important distinction, made by the logician Frege, between “sense” and “reference”. In talking of God, He is our common “reference”, and we are all referring to the very same God. However, in talking of God, we, of course, have different “senses” or ways of understanding and referring to Him (senses and ways that are deeply rooted in our different revelatory traditions and communal experiences).

Perhaps this distinction can help Martinetti see that its is possible for a Muslim and a Christian to worship and talk about the same God, while at the same time solemnly upholding different, and even opposing, senses of Him.

In some areas, as in the upholding of the sovereign Will of God, it is possible for Muslim and Christian theological senses to come very close to each other, in addition to sharing the same reference. In other areas, as in Trinitarian versus Unitarian doctrines, Christian and Muslim theological senses are in clear opposition. Despite such opposition, we must not fall into the temptation of scoffing at, or dismissing, each other. We must, together, keep our hearts and minds focused on Him who is our common reference, and continue to engage each other in a pray-full, reasoned, and peaceful dialectical discussion.

Part of the task of inter-religious dialogue is to invoke the unity of reference in order to make room for the exploration of the diversity of senses. Such exploration can enhance our understandings of the different, and even oppositional senses, we have of the divine. Our own different senses of the divine become clearer as we engage each other in sincere and devout discussion regarding the One God. This is why I am so grateful for Martinetti’s comments. I sincerely hope our discussion will continue.


8. The biblical basis for the affirmation of the sovereignty of the will of God


The above teachings of the Catholic Church regarding the will of God are not at all surprising. The Bible, in both the Old Testament and the New Testament, is full of repeated affirmations of the total sovereignty of the will of God. The following passage of Paul (Romans 9:14-26) suffices as an illustration:

“What shall we say then? Is there unrighteousness with God? May it never be! For he said to Moses: ‘I will have mercy on whom I have mercy, and I will have compassion on whom I have compassion’. So then it is not of him who wills, nor of him who runs, but of God who has mercy. For the Scripture says to Pharaoh, ‘For this very purpose I caused you to be raised up, that I might show in you my power, and that my name might be proclaimed in all the earth’. So then, he has mercy on whom he desires, and he hardens whom he desires. You will say then to me, ‘Why does he still find fault? For who withstands his will?’ But indeed, O man, who are you to reply against God? Will the thing formed ask him who formed it: ‘Why did you make me like this?’ Or hasn’t the potter a right over the clay, from the same lump to make one part a vessel for honor, and another for dishonor? What if God, willing to show his wrath, and to make his power known, endured with much patience vessels of wrath made for destruction, and that he might make known the riches of his glory on vessels of mercy, which he prepared beforehand for glory, us, whom he also called, not from the Jews only, but also from the Gentiles? As he says also in Hosea: ‘I will call them my people, which were not my people; and her beloved, who was not beloved. It will be that in the place where it was said to them, ‘You are not my people,’ there they will be called children of the living God’.”

It is a simple fact that the God of the Bible, just as the God of the Qur’an, cannot be made to fit within the bounds and designs of the human logics of the philosophers (not even within the great logic of Aristotle so revered in both of our traditions by Aquinas and al-Ghazali). It is important to remember the famous words of Pascal in his “Pensées”:

“The God of Christians is not a God who is simply the author of mathematical truths, or of the order of the elements; that is the view of heathens and Epicureans… But the God of Abraham, the God of Isaac, the God of Jacob, the God of Christians, is a God of love and of comfort, a God who fills the soul and heart of those whom He possesses, a God who makes them conscious of their inward wretchedness, and His infinite mercy, who unites Himself to their inmost soul, who fills it with humility and joy, with confidence and love, who renders them incapable of any other end than Himself”. (10)

In one’s apologetic efforts to make room for theology and religion amidst their contemporary secular “cultured despisers”, one must remember the important stark difference so rightly pointed out by Pascal: “The God of Abraham, the God of Isaac, the God of Jacob. Not of the philosophers and intellectuals. Certitude, certitude, feeling, joy, peace!”

If being rational and having a rational God means adopting the God of the philosophers, be it called “Reason” or “Logos”, most Muslim theologians would simply opt to pass! That is why Asha’rite theologians, while always upholding the importance of devout reasoning that is guided by revelation, never accepted the Hellenistic philosophical worship of “Logos” or the “Active Intellect”.

Islam’s devout insistence on the sovereignty of the living God of Abraham, Isaac, Jacob, Ishmael, Moses, Jesus and Muhammad (peace be upon them all) must not be cheaply turned against it, with unfair accusations of whimsical irrationality! If properly appreciated such devout Muslim insistence can be a real aid to Christian affirmations of the divine in the face of the atheistically secular.

Let us help each other by overcoming our false “contrast tables”, and by praying for peace and guidance from the One beloved God of all.

God truly knows best!


Notes:

(1) Declaration of the Second Vatican Council on the Relation of the Church to non-Christian Religions: “Nostra Aetate”. Proclaimed by Paul VI, October 28, 1965.

(2) “Address of John Paul II to Young Muslims”, Morocco, August 19, 1985.

(3) “Address of John Paul II to the Participants in the Colloquium on ‘Holiness in Christianity and Islam’”, May 9, 1985.

(4) “Meeting of John Paul II with the Muslim Leaders”, Nairobi, Kenya, May 7, 1980.

(5) “Statement by Card. Tarcisio Bertone Secretary of State”, September 16, 2006.

(6) Thomas Aquinas, “The Summa Theologica”, Translated by Fathers of the English Dominican Province, Benziger Bros. edition, 1947, First Part, Questions 1-119.

(7) This and other passages are all from the Chapter on the “Power of God” in Thomas Aquinas, “The Summa Theologica”.

(8) John Paul II, Encyclical Letter “Fides et Ratio”, n. 8.

(9) John Paul II, Encyclical Letter “Fides et Ratio”, n. 23.

(10) B. Pascal, “Pensées”, E.P. Dutton & Co., New York, 1958.


© 2006 Aref Ali Nayed