(l’Espresso) Questo è il momento per un rilancio del gregoriano

  • Categoria dell'articolo:Pubblicazioni

Sharing is caring!

Il canto gregoriano ritorna dall’esilio. Forse

Valentino Miserachs Grau, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, ne invoca il ripristino. Papa Joseph Ratzinger lo vuole. Ma il cammino è pieno d’ostacoli

di Sandro Magister ROMA, 7 dicembre 2005 – Come altre volte in passato, anche quest’anno, il 5 dicembre, la congregazione vaticana per il culto ha dedicato una giornata di studio alla musica sacra, nell’anniversario della costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia, “Sacrosanctum Concilium”. Le precedenti giornate non hanno mai prodotto niente di significativo.

Ora però c’è un papa, Benedetto XVI, che sulla musica sacra è competentissimo, è severamente critico delle degenerazioni della musica postconciliare, e ha scritto più volte che cosa pensa e che cosa vuole: ridar posto nella liturgia cattolica a quella grande musica che “dal canto gregoriano attraverso la musica delle cattedrali e la grande polifonia, la musica del rinascimento e del barocco, va fino a Bruckner e oltre”.

Ai congressisti, riuniti nell’Aula Nuova del Sinodo, Benedetto XVI ha mandato un incoraggiamento scritto “alla riflessione e al confronto sul rapporto tra musica e liturgia, sempre vigilando sulla prassi e sulle sperimentazioni”.

E l’incoraggiamento del papa è caduto su una platea fatta di musicisti e di liturgisti di molte nazioni, per una parte in disaccordo con le sue posizioni in materia.

Al termine dei lavori il cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il culto, e l’ex segretario della stessa congregazione, Domenico Sorrentino, da poco promosso vescovo di Assisi, hanno evitato di trarre conclusioni. Arinze ha criticato le mode musicali correnti in molte chiese, “incontrollate, banalizzanti, che non fanno bene alla liturgia”. L’apertura musicale della giornata di studio, però, era stata affidata proprio all’esponente di uno stile dei più criticabili, molto sentimentale, vagamente “new age”, il maestro Marco Frisina, direttore del coro della cattedrale di Roma.

La giornata di studio ha comunque segnato un’inversione di tendenza, e nella direzione cara a papa Joseph Ratzinger.

Musicisti e liturgisti del “nuovo corso” postconciliare si sono trovati costretti a doversi giustificare, di fronte a un uditorio che in maggioranza era orientato a ridar vita alla musica liturgica della grande tradizione, in primo luogo il canto gregoriano.

Lo si è capito dagli applausi forti e convinti che hanno salutato le relazioni di dom Philippe Dupont, abate di Solesmes, grande cultore del canto gregoriano, di Martin Baker, maestro di cappella della cattedrale di Westminster, e di Jean-Marie Bodo, del Camerun, “dove il gregoriano lo cantiamo nelle messe ogni domenica, e bene, perché è il canto della Chiesa”.

Ma lo si è capito soprattutto dalle ovazioni che hanno inframmezzato e concluso l’intervento di monsignor Valentino Miserachs Grau, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, il “conservatorio” liturgico-musicale della Santa Sede, quello che ha per compito di formare i musicisti di Chiesa di tutto il mondo.

Miserachs ha perorato con argomenti serrati il ripristino del canto gregoriano a partire dalle cattedrali e dai monasteri, che dovrebbero porsi alla testa di questa rinascita.

E ha invocato che la Chiesa di Roma agisca finalmente “con autorità” anche nel campo della musica liturgica, non solo con documenti ed esortazioni, ma istituendo un ufficio competente in materia, come ad esempio ha fatto con la commissione pontificia preposta ai beni culturali della Chiesa.

“Questo è il momento opportuno, e non c’è tempo da perdere”, ha concluso Miserachs, con un trasparente pensiero al papa regnante.

Ecco qui di seguito l’intervento del preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra:


Canto gregoriano: possibilità e condizioni per un rilancio

di Valentino Miserachs Grau


Che l’assemblea dei fedeli, nella celebrazione dei sacri riti e specialmente nella santa messa, partecipi cantando in gregoriano le parti che le spettano, è non solo possibile, ma è anzitutto auspicabile.

Non è una mia opinione, ma è il pensiero della Chiesa. Si veda a tal proposito tutta la documentazione che va dal motu proprio “Inter Sollicitudines” di san Pio X fino ai giorni nostri, passando attraverso Pio XII (“Musicae Sacrae Disciplina”), il capitolo VI della costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II, la successiva istruzione della congregazione dei riti del 1967, e il recente chirografo di Giovanni Paolo II, commemorativo del centenario dell’”Inter Sollicitudines” del 1903. Valga come esempio quanto ha detto l’ultimo sinodo dei vescovi, lo scorso ottobre, nelle conclusioni: “I sacerdoti, fin dal seminario, siano preparati a comprendere e celebrare la santa messa in latino, nonché […] a saper valorizzare il canto gregoriano. […] Gli stessi fedeli siano educati in questo senso”.

La motivazione di tale auspicio è largamente dimostrabile, se non addirittura evidente. È infatti incomprensibile quanto è accaduto negli ultimi quaranta anni, specie nei paesi latini, relativamente alla messa al bando quasi assoluta del latino e del canto gregoriano. Incomprensibile e deprecabile.

Il latino e il canto gregoriano, intimamente uniti alle fonti bibliche, patristiche e liturgiche, fanno parte di quella “lex orandi” che si è forgiata nell’arco di quasi venti secoli. Perché una tale amputazione a cuor leggero? Sarebbe come tagliare le radici, ora che di radici tanto si parla.

Oscurando tutto ad un tratto la tradizione orante formatasi in due millenni, si sono create le condizioni favorevoli ad una eterogenea ed anarchica proliferazione di nuovi prodotti musicali che, nella maggioranza dei casi, non hanno saputo o potuto radicarsi nella irrinunciabile tradizione della Chiesa, arrecando non solo un generale impoverimento, bensì un danno di ben difficile riparazione, ammesso che si voglia porre ad esso un effettivo rimedio.

Il canto gregoriano assembleare non solo può ma deve essere ripristinato, accanto a quello della “schola” e dei celebranti, se si vuole un ritorno alla serietà della liturgia, alla santità, bontà di forme e universalità che devono caratterizzare ogni musica liturgica degna di questo nome, come insegna san Pio X e ribadisce Giovanni Paolo II, senza mutare una virgola. Come potrebbero mai delle cantilene melense, calcate sui modelli della più triviale musica leggera, sostituirsi alla nobiltà e robustezza delle melodie gregoriane, anche le più semplici, capaci di elevare il cuore del popolo alle regioni celesti?

Abbiamo sottovalutato il popolo cristiano nella sua capacità di apprendimento, l’abbiamo quasi costretto a scordare le melodie gregoriane che conosceva, invece di ampliarne e approfondirne la conoscenza, anche con una giusta istruzione sul significato dei testi, e l’abbiamo imbottito di banalità.

Tagliando in questo modo il cordone ombelicale della tradizione, abbiamo fatto sì che anche i nuovi compositori di musiche liturgiche nelle lingue vive – dato e non concesso che abbiano la preparazione tecnica sufficiente – manchino di quell’“humus” indispensabile per comporre in consonanza con lo spirito della Chiesa.

Abbiamo sottovalutato – insisto – le capacità di apprendimento del popolo. È ovvio che non tutto il repertorio è proponibile al popolo; questa è stata un “distorsione” di quella giusta partecipazione che si richiede all’assemblea, come se, in materia di canto liturgico, il popolo dovesse essere l’unico protagonista della scena. Rispettiamo il giusto ordine delle cose: canti il popolo quel che gli spetta, ma si rispetti altresì il ruolo della “schola”, del cantore, del salmista e, naturalmente, del celebrante e dei vari ministri, i quali, invece, spesso preferiscono non cantare. Come sottolinea Giovanni Paolo II nel recente chirografo: “Dal buon coordinamento di tutti – il sacerdote celebrante e il diacono, gli accoliti, i ministranti, i lettori, il salmista, la ‘schola cantorum’, i musicisti, il cantore, l’assemblea – scaturisce quel giusto clima spirituale che rende il momento liturgico veramente intenso, partecipato e fruttuoso”.

Vogliamo un rilancio del canto gregoriano assembleare? Si incominci dalle acclamazioni, dal Pater Noster, dai canti dell’ordinario della messa, specie il Kyrie, il Sanctus, l’Agnus Dei. In molti paesi il popolo conosceva bene il Credo III e l’intero ordinario della messa VIII “de Angelis”, e non solo! Come sapeva pure il Pange Lingua, la Salve Regina e altre antifone. L’esperienza insegna che il popolo, dietro ad un semplice invito, si mette a cantare anche la Missa Brevis e altre melodie gregoriane facili che ha nell’orecchio, anche se è la prima volta che le canta. C’è un repertorio minimo da imparare, contenuto nel “Jubilate Deo” di Paolo VI, o nel “Liber Cantualis”. Se si abitua il popolo a cantare quel repertorio gregoriano che gli si confà, sarà allenato a imparare anche i canti nuovi nelle lingue vive, quei canti, si intende, degni di stare accanto al repertorio gregoriano, che dovrebbe conservare sempre il primato.

Occorre un’opera perseverante di educazione. Questa è la prima condizione per un recupero doveroso e necessario: cosa che sovente noi sacerdoti dimentichiamo, pronti a scegliere le soluzioni che comportano il minimo sforzo. O preferiamo, al posto di un sostanzioso nutrimento spirituale, stuzzicare l’orecchio con delle melodie “piacevoli” o con alienanti strimpellamenti di chitarre, dimenticando che, come osservava acutamente il futuro papa Pio X al clero di Venezia, il piacere non è mai stato il giusto criterio per giudicare nelle cose sacre?

Occorre un lavoro di formazione. E come potremmo formare il popolo, se noi siamo i primi a non essere formati? Si è recentemente svolto presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra il congresso generale della “Consociatio Internationalis Musicae Sacrae” che ha affrontato proprio questo argomento: la formazione del clero nella musica sacra. È ormai da tanti anni che manca quasi completamente ai seminaristi, ai religiosi e alle religiose una vera formazione nella tradizione musicale della Chiesa; manca anzi la più elementare formazione musicale. San Pio X capì benissimo, e con lui tutto il susseguente magistero della Chiesa, che è impossibile qualsiasi opera di riforma o di recupero senza un’adeguata formazione.

Uno dei frutti più sostanziosi del “motu proprio” del 1903, che perdura nel tempo e che ringiovanisce ai giorni nostri, è proprio, a Roma, il Pontificio Istituto di Musica Sacra, ormai avviato al suo centenario di fondazione. Quanti maestri di canto gregoriano, di polifonia, di organo, quanti operatori della musica sacra, sparsi in ogni angolo della geografia cattolica, si sono formati nelle sue aule! Per non parlare delle altre scuole superiori di musica sacra, e anche delle scuole diocesane, e dei vari corsi e seminari di formazione liturgico-musicale. Ma vi si insegna davvero il canto gregoriano? E come lo si insegna? Non è invalso piuttosto il pregiudizio che il canto gregoriano è ormai cosa sorpassata, da archiviare definitivamente?

Che grave sbaglio! Oserei dire che senza il canto gregoriano la musica di Chiesa è mutila, che non ci può essere anzi musica di Chiesa senza canto gregoriano.

I grandi maestri della polifonia sono ancora più grandi quando si basano sul canto gregoriano, ricavandone le tematiche, la modalità e la poliritmia. Per questo spirito che ne informa la raffinata tecnica, per questa fedele aderenza al testo sacro e al momento liturgico, sono stati grandi Palestrina, Lasso, Victoria, Guerrero, Morales, e via dicendo.

Tanto più valido è il rinnovamento scaturito dall’”Inter Sollicitudines” quanto più si ispira al canto gregoriano. Il migliore Perosi, il migliore Refice e, ai tempi nostri, Bartolucci, hanno fatto del canto gregoriano la sostanza della propria musica. E non solo nelle composizioni complesse o corali, ma anche nel creare nuove melodie, in latino o in volgare, sia per la liturgia che per gli atti devozionali.

Il vero canto popolare sacro, tanto più sarà valido e sostanzioso quanto più si ispirerà al canto gregoriano. Giovanni Paolo II ha fatto integralmente suo il principio affermato da san Pio X: “Una composizione di Chiesa è tanto più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”.

Ma come si potrà mai affrontare la creazione di un repertorio di qualità per la liturgia, anche nelle lingue vive, se i compositori disconoscono il canto gregoriano?

Certo, la migliore scuola per impadronirsi di un repertorio, per penetrarne i segreti, è la viva pratica di esso: cosa che noi, generazione-ponte fra l’antico e il nuovo, abbiamo ancora avuto la fortuna di sperimentare.

Ma dopo di noi, purtroppo, è calato il sipario. Perché questa ritrosìa a ripristinare, totalmente o parzialmente a seconda dei casi, la messa in canto gregoriano e in latino? Le generazioni di oggi sono forse più ignoranti di quelle passate?

Il nuovo messale propone i testi dell’ordinario, accanto alle lingue vive, anche in latino. La Chiesa lo desidera. Perché ci dovrebbe mancare il coraggio di una conversione?

II canto gregoriano non deve rimanere nell’ambito dell’accademia, o del concerto, o delle incisioni discografiche, non si deve mummificare come reperto da museo, ma deve tornare a essere canto vivo, anche dell’assemblea, che troverà in esso l’appagamento delle più profonde tensioni spirituali, e si sentirà veramente popolo di Dio.

È ora di rompere gli indugi, e dalle chiese cattedrali, dalle chiese maggiori, dai monasteri, dai conventi, dai seminari e case di formazione religiosa deve venire l’esempio illuminante. E così anche le umili parrocchie finiranno per essere contagiate dalla bellezza suprema del canto della Chiesa.

E il canto gregoriano riecheggerà suadente, e amalgamerà il popolo nel vero senso della cattolicità.

E lo spirito del canto gregoriano informerà le composizioni di nuovo conio, e guiderà col vero “sensus Ecclesiae” gli sforzi di una retta inculturazione.

Anzi, direi che le melodie delle varie tradizioni locali, anche di paesi lontani e di cultura ben diversa da quella europea, sono parenti prossime del canto gregoriano, e anche in questo senso il canto gregoriano è veramente universale, a tutti proponibile, e capace di fare da amalgama, nel rispetto dell’unità e della pluralità.

D’altronde sono proprio questi paesi lontani, queste culture che si sono affacciate di recente sull’orizzonte della Chiesa cattolica, ad insegnarci l’amore per il canto tradizionale della Chiesa. Queste Chiese giovani dell’Africa o dell’Asia, unitamente all’aiuto ministeriale che stanno già dando alle nostre stanche Chiese europee, daranno a noi l’orgoglio di riconoscere, anche nel canto, da quale pietra siamo stati tagliati, e ben venga!

Due altri fattori che ritengo indispensabili per la ripresa della pratica gregoriana e della buona musica sacra sono i seguenti:

1. – Anzitutto, circa la necessità della formazione musicale di preti, religiosi e fedeli, occorre serietà, onde evitare i dilettantismi e il pressappochismo di certi volontariati. Occorre ingaggiare nel lavoro – assicurando una giusta remunerazione – chi con tanta fatica si è preparato a tale servizio. Bisogna, in una parola, saper spendere per la musica. È impensabile che si spenda per ogni cosa, fiori e addobbi compresi, fuorché per la musica. Che senso avrebbe incoraggiare i giovani allo studio, e poi tenerli disoccupati, se non addirittura umiliati o tartassati dai nostri capricci e dalla nostra scarsa serietà?

2. – Il secondo fattore necessario è la concordia nell’azione. Ricordava Giovanni Paolo II: “L’aspetto musicale delle celebrazioni liturgiche non può essere lasciato né all’improvvisazione, né all’arbitrio dei singoli, ma deve essere affidato a una ben concertata direzione nel rispetto delle norme e delle competenze, quale significativo frutto di un’adeguata formazione liturgica”. Il rispetto delle norme, dunque. E quanto è nel desiderio ormai generalizzato. Si attendono indicazioni autorevoli e impartite con autorità. E questo è un servizio che, coordinando tutte le iniziative e le istanze locali, compete di buon diritto alla Chiesa di Roma, alla Santa Sede. Questo è il momento opportuno, e non c’è tempo da perdere.

__________


Una precedente conferenza di Valentino Miserachs Grau sulla musica sacra nella Chiesa d’oggi:

> Musica liturgica. “Ecco la riforma di cui la Chiesa ha bisogno” (6.8.2003)