(la Stampa) «Oggi Elisabetta non può più essere capo di una Chiesa»

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Una commissione della Fabian Society suggerisce che il ruolo religioso nella moderna società multiculturale sia anacronistico

LONDRA

E’ tempo di togliere alla regina il titolo di governatore supremo della Chiesa anglicana, prerogativa che in un Paese multiculturale non significa più niente. Una commissione indipendente britannica, in un dossier di imminente pubblicazione intitolato «Il futuro della monarchia», ha concluso che è ora di procedere con una delle riforme più radicali dai tempi di Enrico VIII.

L’aspetto più divertente è che la regina stessa aveva accettato di collaborare con la commissione nonostante questa fosse nata sotto gli auspici della Fabian Society, l’influente organizzazione della sinistra intellettuale che è tra i fondatori storici del partito laburista e già qualche anno fa aveva consigliato a Blair di mettere la monarchia in naftalina. Buckingham Palace ha dato il pieno appoggio al lavoro degli esperti, tra i quali spiccano un giurista, due Lord e un docente di diritto costituzionale. La commissione sostiene che la Chiesa anglicana dovrebbe sganciarsi dalla monarchia. Il sovrano resterebbe capo di Stato, ma non sarebbe legato a doppio filo a nessuna religione. «Ci dichiariamo in favore della posizione secondo cui la monarchia ha bisogno di essere considerata un’istituzione moderna per tutto il popolo britannico, cristiano e non cristiano – ha detto al settimanale “The Observer” una fonte vicina alla commissione -. Non è più appropriato che il monarca sia così strettamente alleato di una religione». Anche tra i vertici della Chiesa anglicana vi è chi si dichiara in favore di una riforma del genere. A quanto pare, il vescovo di Woolwich, Colin Buchanan, ha dato agli autori del dossier il proprio parere positivo. Quanto al governo, era comprensibile fin dall’inizio che si dimostrasse «nervoso di fronte alla possibilità di una consultazione del genere», come aveva notato a suo tempo Michael Jacobs, segretario della Fabian Society, nota per avere sostenuto in passato la necessità di un referendum istituzionale sulla monarchia. La commissione, che ha lavorato un anno e pubblicherà i risultati tra un paio di settimane, è presieduta dal giurista David Bean e comprende anche il Lord laburista Waheed Alli, lo storico costituzionale Lord Kenneth Morgan e la professoressa Dawn Oliver, insegnante di diritto costituzionale allo University College di Londra. Una delle implicazioni più interessanti della riforma è l’eliminazione di uno degli aspetti più controversi della monarchia britannica, ovvero il divieto per un cattolico di accedere al trono. «In tal modo, il sovrano potrebbe appartenere a qualunque fede o non credere affatto», ha spiegato la fonte vicina agli autori del dossier. Il principe Carlo, pluralista dichiarato in materia di religione, ha di che rallegrarsi. In fondo, era stato lui a promettere, nel 1994, che avrebbe cambiato il giuramento tradizionale pronunciato dal monarca al momento dell’incoronazione: «difensore delle fedi» anziché «difensore della fede», cioè del cristianesimo. Ai suoi fidi aiutanti l’erede al trono ha anche detto che vorrebbe essere incoronato nel corso di una cerimonia multi-religiosa, in contrasto con l’incoronazione inequivocabilmente anglicana scelta da sua madre cinquant’anni fa. La sua ammissione di adulterio con Camilla Parker Bowles ha creato a Carlo una non trascurabile ostilità all’interno della gerarchia anglicana. Un sondaggio pubblicato sei anni fa dall’ala evangelica della comunità anglicana era ostile a tale prospettiva. Di certo, la riforma auspicata da questa commissione indipendente lo toglierebbe d’impaccio, anche se non gli darebbe automaticamente la possibilità di risposarsi. Rescindere il rapporto tra Chiesa e Stato equivarrebbe al tanto discusso «disestablishment», cui i tradizionalisti anglicani si oppongono con l’argomentazione che manderebbe al popolo il segnale che la religione non conta più. Al contrario, dicono i progressisti: il Regno Unito è una società multiculturale e il governatore supremo della Chiesa è Dio, non la regina. Carlo, pur senza menzionare il «disestablishment» in quanto tale, aveva parlato esplicitamente della sua volontà di diventare campione di tutte le fedi rappresentate nel suo regno. Il principe di Galles, che negli ultimi anni ha ripetutamente professato la propria ammirazione per l’Islam, pronuncia regolarmente discorsi in favore della tolleranza religiosa ed etnica in occasione delle sue visite a centri culturali musulmani, buddhisti e indù. Annunciando la sua intenzione di diventare «difensore delle fedi» al momento della sua ascesa al trono, Carlo aveva detto che gli sarebbe piaciuto diventare paladino «della fede in quanto tale, così spesso minacciata perché l’idea di qualche cosa che vada oltre la nostra esistenza è considerato quasi antiquato». Va comunque ricordato che anche la regina, nel suo discorso natalizio del 2000, aveva esplicitamente reso omaggio alla spiritualità delle altre fedi, pur sottolineando l’importanza del proprio credo cristiano: «Abbiamo tutti qualche cosa da imparare gli uni dagli altri, qualunque sia la nostra fede, cristiana o ebraica, islamica, buddista, indù o sikh». Resta da vedere come Elisabetta recepirà le conclusioni del dossier, anche se sperare in un commento è impensabile. In realtà potrebbe darle più fastidio un altro aspetto del lavoro della commissione: la sua posizione fiscale. Gli esperti vorrebbero infatti che la regina dichiarasse il valore complessivo delle sue proprietà, incluse le collezioni d’arte e i parchi reali.


(la Stampa 16-6-2003)