Il messaggio di speranza della Chiesa perseguitata
Tiziano Fonte – 21 Settembre 2008
Chi entra nel sito www.vanthaunobservatory.org vede il volto sorridente del cardinale Van Thuân ed è subito catturato da un suo pensiero: "Non di rado, nel mondo moderno, ci sentiamo perdenti. Ma l’avventura della speranza ci porta oltre. Un giorno ho trovato scritto su un calendario queste parole: «Il mondo è di chi lo ama e sa meglio dargliene la prova». Quanto sono vere queste parole!
Nel cuore di ogni persona c’è un’infinita sete d’amore e noi, con quell’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori, possiamo saziarla". Il 16 settembre scorso è stato il sesto anniversario della morte del cardinale vietnamita François Xavier Nguyên Van Thuân e l’Osservatorio internazionale sulla dottrina sociale della Chiesa che da lui prende il nome e a lui si ispira lo ha ricordato con un Messaggio del suo Presidente, il vescovo Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che è stato molto vicino al cardinale Van Thuân quando costui fu chiamato in Vaticano da Giovanni Paolo II dopo il rilascio dalle carceri comuniste del Vietnam. Crepaldi ricorda quanto diceva il cardinale: “Vivi completamente nel presente, ma vivi anche completamente nell’eternità. Preoccupati della salvezza del tuo prossimo, ma non dimenticare che la si può realizzare solo con Dio e per Dio. Lavora con tutte le forze per fare progressi, ma affidati alla luce che viene dal cielo. Impegnati con tutto te stesso nel mondo, ma con un amore che sia spirituale. Se non hai nel cuore il più totale spirito di speranza, che significato puoi dare a tutte queste cose?”.
Il cardinale Van Thuân è uno dei giganti della fede nei nostri tempi. Quando fu rilasciato dopo 13 anni di prigionia nelle carceri vietnamite – era stato incarcerato senza motivo subito dopo l’occupazione di Saigon, ove era vescovo ausiliare, da parte dei comunisti del Vietnam del Nord – il papa Giovanni Paolo II lo chiamò al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e lo fece immediatamente cardinale. Poi, nell’anno del giubileo del 2000 volle che proprio lui predicasse gli esercizi spirituali per il papa. Ne usci il libro “Testimoni della speranza”. Benedetto XVI è molto affezionato alla sua memoria: ha parlato di lui ben due volte nell’enciclica Spe Salvi e nel 2007 ne ha commemorato la morte in una affollata udienza e con un discorso appassionato. Nel frattempo ha avuto inizio la causa di beatificazione e nel 2004 è sorto l’Osservatorio internazionale a lui dedicato per gli studi sulla dottrina sociale della Chiesa. Nel mondo moltissimi ne coltivano la memoria, in Messico, per esempio, l’istituto Mater Unitatis che opera nelle zone povere del Chiapas, dirama settimanalmente un suo pensiero per la meditazione. Il cardinale era molto conosciuto nei paesi poveri, egli diceva che la dottrina sociale della Chiesa dovrebbe essere insegnata soprattutto a loro.
Nelle sue memorie, nei molti libri di meditazione e preghiera da lui scritti, tutti aventi nel titolo la parola “speranza”, egli ricorda quando, ridotto in isolamento per nove lunghi anni, consacrava l’eucarestia con una briciola di pane e diceva a se stesso che, pur essendo isolato da tutto e di tutti, con Dio egli non era mai solo. Nella Spe salvi Benedetto XVI lo ricorda infatti come uomo di speranza e di preghiera: chi prega non è mai solo. Lo ricorda anche perché anche in carcere egli si mantenne sempre unito alla sua diocesi e alla Chiesa di Pietro: un giorno gli capitò in mano una pagina del “L’Osservatore Romano”, la tenne, la lesse e la rilesse infinite volte. Quando visse nel campo di rieducazione assieme agli altri prigionieri, celebrava la messa di sera, quando alle 21,30 spegnevano le luci, e i prigionieri si sdraiavano nei loro 50 centimetri di branda. Consacrava le poche briciole di pane conservate e le passava ai compagni. Avevano organizzato un sistema per portare l’eucarestia anche agli altri prigionieri, avvolta nella carta dei pacchetti di sigarette. Era il sostegno spirituale di quella strana chiesa clandestina. Molti degli carcerieri ne furono coinvolti e si ritrovarono anche loro, alla domenica, a cibarsi di quel pane. Ricorda il cardinale: “La notte i prigionieri si alternavano in turni di adorazione. Gesù eucaristico aiutava in modo inimmaginabile con la sua presenza silenziosa, molti cristiani ritornavano al fervore della fede. Anche buddisti ed altri non cristiani giungevano alla fede. La forza dell’amore di Gesù era irresistibile”.
Il cardinale Van Thuân è stato un uomo di speranza, che non è la più facile tra le virtù cardinali. Diceva però anche che il cristiano è l’uomo del momento, di questo momento, perché è qui, in questo momento, che egli deve amare Cristo. La speranza, quindi, non distoglie dall’impegno nella vita. E’ questo il motivo per cui l’Osservatorio internazionale Cardinale van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa si ispira a lui. Il 16 settembre 2002, il cardinale Van Thuân lasciava questa vita. Chi lo ha assistito negli ultimi tempi riferisce che aveva sempre un volto sereno e che amava il contatto con le persone. La sua camera di ospedale, del resto, era sempre molto frequentata perché si era fatto amare da molti.