È il potente regista delle cerimonie papali. C’è chi lo critica, ma lui dà la colpa alla televisione. Lo fa in un articolo su “La Civiltà Cattolica”
di Sandro Magister
ROMA – È stato definito “il liturgista del secolo”. Ma monsignor Piero Marini non è affatto contento di come vanno le cose di cui è maestro: le celebrazioni liturgiche pontificie.
La regia di queste celebrazioni è tutta sua e ne va fiero. Ma c’è un’altra regia che gli sfugge, quella televisiva. E siccome le liturgie papali sono viste molto più in tv che dal vivo, il guaio gli appare serio.
Marini se n’è lamentato sull’ultimo numero di “La Civiltà Cattolica” in un articolo scritto dal gesuita Virgilio Fantuzzi, grande esperto di cinema, radio e televisione. Prima della stampa, l’articolo è stato letto e autorizzato dalla segreteria di Stato vaticana, come avviene per tutti gli articoli di questa rivista.
Il maestro delle celebrazioni pontificie definisce il suo lavoro “come una regia liturgica con la quale la regia televisiva è obbligata a mettersi in sintonia”.
Non sempre però questo avviene, osserva “La Civiltà Cattolica”:
“Alcuni inconvenienti sono stati individuati e neutralizzati già da tempo; altri ancora persistono. Una volta, per esempio, nelle messe teletrasmesse dal Vaticano, al momento della consacrazione l’attenzione della telecamera cadeva inevitabilmente sulla guardia svizzera che, in alta uniforme, alabarda in pugno, piegava il ginocchio a terra. Ora non accade più. Qualcuno ha spiegato ai tecnici della televisione che, nel momento centrale della celebrazione, non è giusto sviare l’attenzione da ciò che fa il celebrante per concentrarla su un particolare molto vivace per quanto riguarda il colore, ma di scarso rilievo sul piano del significato. Era una cosa facile da capire e, alla fine, la si è capita”.
Il peggio è ravvisato nelle colonne sonore:
“Commenti e ‘servizi riempitivi’ dilagano sempre più nel corso di trasmissioni televisive dedicate alle celebrazioni del papa. Si salvano a malapena il canto del Gloria, quello del Credo e la preghiera eucaristica. Dei canti che accompagnano la presentazione delle offerte e la comunione non si riesce a sentire una sola nota. Una trasmissione che, qualora fosse fatta a regola d’arte, potrebbe comunicare emozioni estetiche e religiose di elevata intensità, viene così ridotta alla stregua non già di un servizio giornalistico formalmente corretto, ma di un programma di intrattenimento che si colloca parassitariamente a ridosso di un evento liturgico presieduto dal pontefice”.
Dalla lettura dell’articolo risulta che l’unica imputata è la televisione con la sua “accanita ricerca di audience”. “Una certa sciatteria, un po’ di chiacchiere gettate là alla rinfusa, un girovagare senza meta della telecamera sospesa a mezz’aria”: tutto per solleticare un pubblico dai gusti facili.
Ma la regia liturgica? Non una riga di autocritica, non un dubbio. Eppure questo è uno dei punti più controversi dell’intero dopoconcilio.
In un precedente articolo di Fantuzzi su “La Civiltà Cattolica” (1999 III 168-180, “Celebrazioni liturgiche pontificie, radio e tv”), monsignor Marini diceva:
“Nella vecchia liturgia, in vigore prima del Concilio Vaticano II, il ruolo del cerimoniere consisteva nell’applicare una serie di norme rigide, che non potevano essere cambiate. Oggi non si può organizzare una celebrazione senza prima aver pensato: chi celebra, cosa si celebra, dove si celebra… La celebrazione è il punto verso il quale convergono elementi diversi reciprocamente coordinati sotto la guida di quello spirito di adattamento che è l’anima della riforma postconciliare. Si tratta dunque di prevedere e progettare la celebrazione in vista del risultato che si vuole ottenere. Non si può pensare, per esempio, a un’azione liturgica senza tenere conto degli spazi entro i quali si svolgerà, dei canti che verranno eseguiti… Tutto ciò che si pensa e che si predispone in vista di una celebrazione può essere considerato come una vera e propria regia. Ci si trova ad agire, in qualche modo su un palcoscenico. La liturgia è anche spettacolo”.
E gli “spettacoli” di maggiore successo, talora con più di un miliardo di spettatori in mondovisione, sono proprio le liturgie papali a Roma e nel mondo. Nell’intervista che ha dato lo scorso 20 giugno a John L. Allen del “National Catholic Reporter”, Marini sottolinea che da sempre le liturgie papali “sono punto di riferimento per l’intera Chiesa”, modello universale.
E Allen fa notare che, in effetti, “più gente ha visto le messe pianificate da Marini che da qualsiasi altro liturgista al mondo; il che gli dà un enorme potere nel modellare l’idea pubblica di ciò che è la liturgia cattolica”.
Marini, 61 anni, ha cominciato come segretario personale di monsignor Annibale Bugnini, il massimo artefice della riforma liturgica postconciliare prima della sua caduta in disgrazia nel 1975. E dal 1987 è l’incontrastato maestro delle cerimonie liturgiche pontificie, l’uomo che compare a lato del papa in ogni celebrazione.
I suoi criteri di lavoro, dice, sono due: “un lavoro di ripulitura della liturgia dalle incrostazioni che le si sono sovrapposte nei secoli”, e “l’inculturazione”.
Quanto alla ripulitura, però, alcuni gli contestano d’aver eliminato anche autentici tesori come il canto gregoriano e la polifonia. Per sua volontà il coro della Cappella Sistina è stato ridotto a un’ombra della gloria che fu. Ad accompagnare le liturgie papali si avvicendano oggi cori forestieri e improvvisati, pronti a versare cospicue offerte pur di comparire in tv. In Vaticano, il più forte critico di questa metamorfosi liturgico-musicale è il cardinale Joseph Ratzinger.
Quanto all’”inculturazione”, obiettivo di Marini è “aprire la liturgia ai nuovi popoli dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia”, riprendendo dalle loro tradizioni “musica, linguaggio e movimento fisico”.
Sta di fatto che numerose volte le scelte adottate da Marini sono state criticate. Specie quando ha introdotto dei riti d’origine pagana nelle cerimonie papali. Anche l’inedito rituale di apertura della porta santa nell’ultimo giubileo – con danzatrici orientali attorno al papa ammantato di colori rutilanti – è stato oggetto di critica.
Eppure quella cerimonia è stata una delle più riuscite integrazioni tra regia liturgica e regia televisiva. Quella volta, almeno, Marini non poteva dar la colpa alla tv.
l’Espresso 21-7-2003