(l’Espresso) Missione: ”Come posso io capire se nessuno mi istruisce?”

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Atti degli Apostoli in India. Un vescovo sferza missionari e teologi
“Vedo timidezza e apatia, senso di colpa, mancanza di autostima…”: e la missione muore. Ma l’arcivescovo di Guwahati indica il rimedio: fare come l’apostolo Filippo con l’etiope

di Sandro Magister
ROMA – Il testo sotto riprodotto ha per autore Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati, città dell’Assam, nell’India orientale. Nella sua diocesi gli abitanti sono 6 milioni e i cattolici 50 mila: tipico profilo di una terra di missione. Ed è proprio la missione il nocciolo di questo suo intervento.

Perché è la missione – afferma l’arcivescovo Menamparampil , 67 anni, salesiano – la prima vittima di una tendenza alla perdita dell’autostima che pervade da diversi anni il pensiero cattolico. Missionari e teologi ne sono paralizzati, prigionieri di dispute interne sul dialogo interreligioso, l’inculturazione, l’unicità salvifica di Cristo. Quando invece l’icona modello d’una Chiesa evangelizzatrice dovrebbe essere quella di Filippo e l’etiope, nel libro degli Atti.

L’interesse di questo intervento dell’arcivescovo indiano è che tocca temi cruciali per la Chiesa cattolica d’oggi. Sono i temi che hanno prodotto nel 2001 la “Dominus Iesus”: il più inaudito e controverso documento del magistero cattolico degli ultimi anni. E sono i temi che saranno al centro del futuro conclave: su di essi si deciderà la scelta del prossimo papa.

Il testo integrale della riflessione dell’arcivescovo di Guwahati è uscito sul n. 1, 2003 di “Omnis Terra”, il periodico della Pontificia Unione Missionaria, con sede a Roma. Ed è stato rilanciato da “Mondo e Missione”, il mensile del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, nel numero di aprile 2003. Eccone qui di seguito i passaggi essenziali:

“Come posso io capire se nessuno mi istruisce?” (Atti 8,31)

di Thomas Menamparampil

Nel cuore di molti credenti è sorta recentemente la paura nascosta che, a differenza dell’insegnamento cristiano che è ben accolto in Asia, la persona di Cristo sia un ostacolo. […]

In realtà, il problema non è l’immagine di Cristo. Le difficoltà possono sorgere altrove. Potrebbero esserci dei ricordi coloniali non guariti di torti storici ricevuti da paesi considerati cristiani. Potrebbero esserci ancor oggi percezioni di minacce politiche ed economiche da queste nazioni. […] Ma gli evangelizzatori hanno il compito di far comprendere che il cristianesimo è più di un interesse collettivo di una società o civiltà. Significa l’incontro con Dio. […] Significa una vita impegnata. Richiede uno stile di vita evangelico. Un evangelizzatore è veramente efficace solo quando egli stesso si libera dai sentimenti di offesa, sia personali che storici. Fa parte infatti della missione dell’evangelizzatore guarire le memorie di ferite storiche della società in cui vive. L’unica via verso il futuro è il perdono.

Se i portatori del Vangelo si sentono stranieri nel proprio Paese, non devono dare la colpa a qualcun altro; ciò accade soltanto perché si sono allontanati dalla semplicità, sincerità e immediatezza del Vangelo. […] È Cristo che in effetti risponde agli anèliti degli antichi pensatori dell’Asia. […] Il Mahatma Gandhi, nel suo primo incontro con il Discorso della Montagna, sentì confermati tutti gli insegnamenti avuti da bambino. Non lo ricevette come un messaggio straniero. Egli sentì che il messaggio del Vangelo gli era più intimo e naturale di molti altri insegnamenti che aveva fatto suoi nel corso degli anni.

Artisti indù, musulmani, sikh e buddhisti hanno dipinto il volto di Cristo; hanno composto poesie, hanno scritto romanzi, hanno recitato drammi, interpretando la personalità ed il messaggio di Cristo con una bravura che sorprenderebbe il credente cristiano. Essi hanno agito come se Cristo appartenesse loro. […] Di recente alcuni gruppi di fondamentalisti indù, nell’incontrarsi con dei rappresentanti della Chiesa in India, affermarono che “i cristiani non possono vantarsi di possedere Cristo”. È vero! Il messaggio centrale cristiano è il seguente: che Cristo appartiene a tutti.

Chiunque abbia esperienza di condivisione della fede sa che il discutere sull’unicità o no di Cristo salvatore è un esercizio vano. Porre chi è in ricerca di fronte a disaccordi teologici serve solo a soffocare il suo entusiasmo. Le persone al servizio del Vangelo devono smettere di trasformarsi in attaccabrighe autoreferenziali. […]

Riveliamo, piuttosto, Cristo per quello che è veramente. Come egli è presentato nelle Scritture. Questo è sufficiente. È già abbastanza se non oscuriamo la visione della gente. Lasciamoli cercare da soli. Lasciamo che siano loro i giudici. “Venite e vedete” disse Gesù ai discepoli di Giovanni Battista (Gv 1, 39). Un detto simile al “conoscete da voi stessi” del Buddha. […]

La parola “conversione” ha acquisito una connotazione negativa in molti paesi dell’Asia. Non è raro che ha gente associ la parola a un cambiamento di religione fatto sotto pressione, adescamento o inganno. Sappiamo che la conversione spontanea è qualcosa di diverso. […] In ogni caso, se è legittimo pretendere che ogni persona abbia il diritto di scegliere la propria religione, è anche giusto che abbia la libertà di partecipare ad altri la propria fede.

Le più aspre opposizioni a tali diritti sono di solito sollevate da coloro che hanno una nozione etnica della religione. Alcuni paesi dell’Asia manifestano questa tendenza. Una religione universale, come tutti i veri ideali umani, non conosce confini. Nessuna nazione o gruppo etnico che rispetti le libertà umane ha mai cercato di interferire nella scelta religiosa altrui. Si tratta della scelta più personale, anche paragonata a quella politica, economica o culturale; è il diritto più sacro. […]

Un incontro autentico con Cristo è molto più di una semplice pretesa di privilegi, di diritti costituzionali o umani. È l’esperienza di Dio. Quando Natanaele incontrò per la prima volta Gesù, egli cadde in uno stato di resa completa. Egli poté solo esclamare, “Tu sei il Figlio di Dio! Tu sei il Re di Israele” (Gv 1,49). […]

Un’altra icona è quella dell’apostolo Filippo e l’etiope. Era abbastanza sorprendente che un alto ufficiale dell’Etiopia fosse in visita a Gerusalemme per adorare Dio; ma era molto più straordinario che egli tornasse a casa leggendo il profeta Isaia e fosse pronto ad accettare l’apostolo Filippo come compagno di viaggio e guru. “Come posso io capire se nessuno mi istruisce?” (At 8,31).

Questo è ciò che chiedono oggi gli asiatici, come allora l’etiope. È essenziale che qualcuno possa istruire. Come potrà la gente credere “senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi?” (Rm 10,14). “Filippo cominciò a parlare; e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù” (At 8,35). L’etiope fu battezzato.

Pertanto, la prima cosa importante è che vi sia qualcuno che spieghi. E la seconda cosa è che l’evangelizzatore inizi dal punto in cui si trova colui che domanda: il suo passo della Scrittura, il suo problema nella vita, il suo stato d’animo, il livello del suo apprendimento, le aspirazioni del suo cuore, la natura della sua cultura, le limitazioni del suo orizzonte e della sua visione.

Negli ultimi anni si nota una sorta di avversione di molti missionari ad assumere il ruolo di Filippo. Ci si domanda il perché. Possiamo solo cercare le ragioni di una tale timidezza o apatia. I popoli dei paesi di antica cristianità, nel guardare indietro con menti interrogative agli eventi dolorosi della propria storia, comprese le guerre di religione, due guerre mondiali, le avventure coloniali, […] sono stati portati verso una severa autocritica e “una generale perdita dell’autostima” nelle loro ideologie, nei loro sistemi di pensiero, nella loro concezione del progresso, della civiltà, della religione. […]

E qualcosa di questo si riflette anche nel pensiero teologico contemporaneo, la cui eco giunge fino al campo missionario. […] Molti membri delle nostre équipe missionarie soffrono di questa “perdita di autostima”, che deriva da un senso di colpa verso il passato e da un complesso di incertezza per quanto riguarda il futuro.

Ma simili comportamenti non vengono dal Vangelo. Infatti, solo il Vangelo può sollevare coloro che hanno fatto del male e coloro che l’hanno sofferto. È il Vangelo che permette loro di voltare le spalle alla storia e di proseguire oltre con fiducia, e di prendere il futuro nelle proprie mani. Oggi più che mai le persone sono in attesa di questo aiuto dal Vangelo.