(l’Espresso) La prorompente gioia nella fede di G.P.II

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Vent’anni da vescovo. Raccontati da Karol Wojtyla papa


Esce l’autobiografia di Giovanni Paolo II su quand’era vescovo in Polonia. Reportage da Cracovia, alla ricerca di somiglianze e diversità tra i due Wojtyla, prima e dopo il 16 ottobre 1978


di Sandro Magister

CRACOVIA – Al primo piano della sua casa d’una volta in via Kanonicza 19, ora museo, ci sono due vecchie paia di sci con l’attacco a cinghia, con i quali anche da arcivescovo andava in vacanza sui monti Tatra. Quando nel 1958 ebbe la nomina, il telegramma lo raggiunse che era in canoa con amici sul fiume Lyne; e lì tornò subito a vogare, appena espletate le formalità di rito. In vent’anni di episcopato a Cracovia, prima come ausiliare e dal 1964 come metropolita, Karol Wojtyla è stato un ecclesiastico decisamente fuori dal comune. E adesso che nelle librerie di mezzo mondo, a partire dal 18 maggio, arriva la sua autobiografia su questi vent’anni, a Cracovia l’attesa di leggerla è febbrile. Specie nella cerchia di chi lo conosce più da vicino.

POETA PER MODO DI DIRE

Uno di questi è padre Adam Boniecki, redattore capo di “Tygodnik Powszechny”, tra i pochissimi ai quali capita, quando scende a Roma, di cenare a tu per tu con Giovanni Paolo II senza l’ingombrante presenza del suo segretario Stanislaw Dziwisz: “Già come scrittore Karol Wojtyla è diverso da come molti credono. Non si ritiene affatto un genio. E nemmeno un poeta. Gli piace scriver poesie ma sorride al vedere il diluvio di elogi con cui vengono recensite: ‘Se non fossi papa non le degnerebbero di uno sguardo’. Quando in Polonia le pubblicava sul mensile ‘Znak’, le firmava con lo psudonimo Andrzej Jawien, tanto se ne vergognava. Rifiutò d’esser fatto membro onorario dell’Unione degli Scrittori”.

Wojtyla ama ironizzare anche sugli altri suoi scritti, quelli destinati a passare alla storia, le encicliche, i libri, i discorsi: “Da quando sono papa mi riesce molto meglio, perché sono altri a scrivere per me”. Verissimo. La sua prassi abituale è di scrivere di suo pugno, in polacco, solo i passi essenziali. Dopo di che, in poche righe in latino, dà ad altri le indicazioni per completare l’opera.

Di alcune encicliche sono trapelati i nomi degli specialisti che più vi hanno messo mano: il missionario Piero Gheddo per la “Redemptoris Missio” del 1990, il vescovo teologo Carlo Caffarra per la “Veritatis Splendor” del 1993, e l’altro vescovo teologo Rino Fisichella per la “Fides et Ratio” del 1998.

Quanto ai suoi libri autobiografici il primo, “Dono e mistero” del 1996, che copre l’infanzia, la giovinezza e gli anni del sacerdozio, è nato da un’intervista con l’ex vicedirettore dell’”Osservatore Romano” Gianfranco Svidercoschi; e questo secondo, che ha per titolo “Alzatevi, andiamo” e racconta gli anni da vescovo di Cracovia, ha avuto come estensore materiale un vescovo polacco suo amico, Stanislaw Rylko, presidente del pontificio consiglio per i laici.

IL MISTERO DEL LIBRO SOTTO CHIAVE

Anche gli scritti rimasti inediti devono ad altri la loro stesura. Ce n’è uno che da anni è sotto tripla chiave in Vaticano ed è un’intervista a tutto campo di Giovanni Paolo II con padre Józef Tischner, il più grande filosofo e teologo polacco della fine del Novecento, morto nel 2000. Sulle ragioni della mancata pubblicazione, mistero.

Da arcivescovo di Cracovia era diverso: Wojtyla scriveva lui tutto, o quasi, nei luoghi e momenti più impensati. Aveva uno scrittoio nella cappella e un ripiano con la lampada persino nell’automobile, a dispetto dei sobbalzi. Contrassegnava i suoi fogli non con dei numeri, ma con i versetti in successione di un inno sacro o di un salmo.

FILOSOFO DA PURGATORIO

Il suo libro più importante da professore di filosofia, “Persona e atto”, lo cominciò a scrivere nella basilica di San Pietro a Roma, mentre assisteva al Concilio Vaticano II. In Polonia fu un fiasco. Chiese un parere al suo discepolo prediletto Tadeusz Styczen e si sentì rispondere: “Per prima cosa lo farei tradurre dal polacco al polacco”. Tempo dopo, mentre dalla cattedra dell’università di Lublino ne illustrava i concetti e notò un prete che o sbadigliava o chiacchierava col vicino di banco, lo richiamò: “Ehi tu, se fai così rimarrai di più in purgatorio”. E quello: “Sì, a leggermi il suo libro per penitenza”. Sta di fatto che un anno dopo quel prete morì. E Wojtyla: “Ora sta finalmente leggendo il mio libro”.

Per “Alzatevi, andiamo”, invece, il successo di pubblico è assicurato: ancor più che per le sue lezioni nelle università di Lublino e Cracovia, dove l’aula era sempre strapiena nonostante gli ardui concetti.

I PIANI DELLA POLIZIA SEGRETA

Il segreto di Wojtyla era la capacità di tessere una miriade di rapporti personali. Da vescovo, era accessibile a tutti. Riceveva senza appuntamento, e mentre ascoltava rispondeva a una lettera, s’affacciava a una riunione nella sala accanto, sfogliava un dossier. Eppure, alla fine sapeva dire la parola giusta e penetrante. Faceva così anche nelle riunioni serali, una, due volte al mese, con gli intellettuali amici: quelli del settimanale “Tygodnik Powszechny”, del mensile “Znak”, dell’università Jagellonica. La polizia segreta comunista vedeva questi legami come la peste. Da documenti ora venuti alla luce risulta che stava studiando come troncarli e isolare il pericoloso arcivescovo, ma senza riuscirci. La sua elezione a papa fu il colpo finale, invincibile.

Il bello del libro è il raffronto tra i due Wojtyla, quello prima e quello dopo il 16 ottobre 1978. Vi sono cose che egli ha saputo fare con successo sia a Cracovia che a Roma, altre che non è riuscito a replicare, e altre ancora che ha inventato solo da papa.

LE PREDICHE IN DIALETTO CONTADINO

A un rapporto carismatico con le masse, ad esempio, si è certamente allenato in Polonia. Di suo vi era poco portato, era un intellettuale e prediligeva i colloqui a tu per tu. Ma aveva anche fatto teatro, da giovane, e nella sfida contro il regime comunista mise a frutto anche l’altro linguaggio, liturgico e scenico: quello dei grandi pellegrinaggi mariani, quello delle messe natalizie all’aperto, nel gelo di Nowa Huta, per protestare contro la vietata edificazione di chiese, quello delle processioni del Corpus Domini. Dal filosofo Tischner, che teneva seminari in dialetto con i contadini perché li giudicava i più naturali interpreti dell’ontologia greca, imparò a inframmezzare le sue omelie all’aperto con battute in “montagnard”. Se un elicottero scendeva a disturbare la cerimonia, lo salutava irridente: “Abbiamo anche ospiti non invitati”.

BASTA CHE LA MACCHINA GIRI

Un’altra similarità tra il suo episcopato a Cracovia e il suo pontificato è il disinteresse per il governo ordinario. Dalle due curie, quella diocesana e quella vaticana, ha sempre ostentato un sovrano distacco, anche fisico: a Cracovia ha rimandato più in là che ha potuto il trasloco nel sontuoso episcopio di via Francinszkanska, lo stesso dove hanno sede gli uffici; da papa ha mostrato di preferire di gran lunga il viaggiare allo star chiuso nei palazzi. “Basta che la macchina giri”, è il suo motto. Nei primi anni Ottanta, quando il Vaticano era sul precipizio della bancarotta Ior-Ambrosiano, diceva sorridendo agli amici: “Sono proprio curioso di vedere come loro troveranno una via d’uscita”. “Loro” erano i capi di curia, ai limiti della disperazione.

E ancora, le visite nelle parrocchie. L’arcivescovo Wojtyla le faceva durare una settimana e anche più. Predicava, confessava, visitava i malati, inventava di tutto pur di raggiungere anche l’ultimo dei fedeli. “E alla fine”, dice Boniecki, “lasciava loro dei promemoria, i cosiddetti protocolli canonici, scritti con la vivacità di un reportage”. Da papa, ha inevitabilmente ridotto l’agenda nel visitare le sue parrocchie romane, ma ha instaurato la prassi di ospitare a pranzo il parroco e gli altri sacerdoti, prima di ogni visita pastorale.

QUEL SINODO MAI PIU’ RIPETUTO

È fallita invece la replica a Roma di un’altra sua grande iniziativa di Cracovia: il sinodo diocesano. Stefan Wilkanowicz è direttore della Fondazione per la cultura cristiana che affianca il mensile “Znak”, ed è stato uno dei principali coordinatori del sinodo: “L’obiettivo era attuare in diocesi le indicazioni del Concilio Vaticano II. Noi della commissione centrale fissavamo i princìpi, tema per tema, e i fedeli, a gruppi, discutevano su come applicarli alle situazioni concrete. All’inizio prevedevamo una cinquantina di gruppi e invece ne sono sorti cinquecento, che hanno lavorato per sette anni, con squadre di dattilografi impegnati giorno e notte a far copie dei testi che il regime ci vietava di stampare. È stata una grandiosa scuola cristiana per migliaia di persone, senza eguali in Polonia e forse nel mondo. Hanno poi tentato di replicarla su scala nazionale, ma s’è capito che i vescovi per primi non erano all’altezza dell’impresa. Anche Wojtyla ha pensato di rifare da papa qualcosa di simile, ma ha poi deciso di rinunciarvi. Secondo me se ne riparlerà tra un secolo”.

GLI AUGURI DEL RABBINO

Infine, le due svolte nette del Wojtyla papa rispetto a quello di Cracovia: le aperture agli ebrei e i “mea culpa”.

Con gli ebrei, in patria, Wojtyla ha sempre avuto un rapporto non da vescovo a popolo, ma da persona a persona, nella cerchia dei compagni di scuola di Wadowice, la sua città natale. Nel 1969, la prima visita in sinagoga a Cracovia fu un suo gesto improvviso e spontaneo, deciso mentre visitava la vicina parrocchia. Il rabbino gli mandò da allora in poi gli auguri natalizi, ma Wojtyla non sapeva nemmeno chi fosse, e scoprì che era lui solo dopo qualche Natale. Le vere aperture all’ebraismo le avrebbe compiute solo dopo, da papa.

DELITTO E CASTIGO

Quanto ai “mea culpa” per le colpe storiche della cristianità, nel Wojtyla arcivescovo di Cracovia non ce n’è proprio traccia. Boniecki: “L’idea sua e di tutti i cattolici in Polonia era di una Chiesa sotto assedio. Si doveva resistere compatti. Ogni autocritica avrebbe fornito un’arma al nemico”. Anche da papa, nei primi anni che erano di piena guerra fredda, Wojtyla andò avanti a dipingere il passato della Chiesa con i soli colori della santità più radiosa. Finché un giorno, nel 1985, proprio un uomo di curia al quale aveva dato da scrivere un discorso per un viaggio in Camerun gli obiettò: “Santità, lei idealizza troppo, da lì partiva la tratta degli schiavi”. Il papa rimase interdetto. Studiò la cosa. E scrisse di suo pugno una delle sue più veementi richieste di perdono.

Poi gli capitò di leggere per la prima volta gli scritti di Bartolomé de Las Casas sugli indios d’America e confessò d’esserne uscito sconvolto. Alla Biblioteca Vaticana ordinò di fornirgli una documentazione completa sulle pagine buie della storia della Chiesa. E negli anni successivi fu un crescendo di “mea culpa” papali su tutto, nonostante il parere opposto di gran parte dei maggiorenti della Chiesa. Ingovernabile Wojtyla.


[Da “L’espresso” n. 20 del 14-20 maggio 2004, titolo originale: “Wojtyla visto da Karol”]

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MEMORABILIA DEL VENTENNIO


1958. A 38 anni Karol Wojtyla è nominato vescovo ausiliare di Cracovia.

1960. Ottiene la docenza all’università di Lublino, con una dissertazione su Max Scheler.

1962. Partecipa a Roma alla prima sessione del Concilio Vaticano II. E seguirà l’intera assise.

1964. È nominato arcivescovo metropolita di Cracovia.

1965. Lettera di riconciliazione dei vescovi polacchi con quelli tedeschi. Durissime proteste del regime comunista.

1967. Paolo VI lo fa cardinale.

1969. Visita la sinagoga del quartiere Kazimierz di Cracovia. Pubblica il suo maggiore libro filosofico: “Persona e atto”.

1971. È eletto nel consiglio generale del sinodo mondiale dei vescovi.

1972. Inaugura il sinodo diocesano di Cracovia, che durerà sette anni.

1973. Viaggia in Australia, Nuova Guinea, Filippine, Belgio, Francia.

1974. È principale relatore al sinodo mondiale dei vescovi sull’evangelizzazione.

1976. Predica gli esercizi di Quaresima in Vaticano. Compie un viaggio di sei settimane negli Stati Uniti.

1977. È rieletto per la terza volta nel consiglio generale del sinodo mondiale dei vescovi.

1978. Il 16 ottobre è eletto papa. Prende il nome di Giovanni Paolo II.

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L’autobiografia di Karol Wojtyla sui suoi anni da vescovo a Cracovia:

Giovanni Paolo II, “Alzatevi, andiamo!”, Mondadori, Milano, 2004, pp. 190, euro 15,00.

Il suo precedente libro autobiografico relativo all’infanzia, alla giovinezza e agli anni di sacerdozio:

Giovanni Paolo II, “Dono e mistero”, Libreria Editrice Vaticana, 1996, euro 3,62.

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Il settimanale di politica e cultura di Cracovia al quale Karol Wojtyla è sempre stato vicino:

> “Tygodnik Powszechny”

Il mensile:

> “Znak”

La Fondazione per la Cultura Cristiana:

> Fundacja Kultury Chrzescijanskiej