(l’Espresso) Ho fatto un sogno: i Patti del Laterano a Gerusalemme

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Terra Santa. Solo la legge di Dio la può salvare

Il rifiuto degli arabi musulmani di uno stato d’Israele sulla “loro” terra può essere definitivamente rimosso solo da una decisione di diritto sacro. Pietro De Marco indica un modello: i concordati tra stato e Chiesa


di Sandro Magister

ROMA – A dar la notizia è stata l’agenzia “AsiaNews” diretta da p. Bernardo Cervellera. Il gran mufti di Gerusalemme Akrama Sabri, nella predica in moschea di venerdi 12 dicembre, ha rivendicato la proprietà islamica del Muro del Pianto; ha detto che il suo vero nome è Muro Splendente; ha aggiunto che esso è “parte integrante della moschea benedetta di Al-Aqsa”; e ne ha assegnata la proprietà alla umma, alla comunità musulmana intera: “è un patrimonio islamico a tutti gli effetti di legge”. A sostegno ha citato un voto della Società delle Nazioni “che 70 anni fa ha anch’essa riconosciuto ai musulmani la paternità del Muro”.

Questa rivendicazione del gran mufti di Gerusalemme è la conferma di un dato caratterizzante del conflitto arabo-israeliano: il suo intrecciare ragioni di stato e ragioni religiose, diritto civile e diritto sacro, leggi di Cesare e leggi di Dio.

Lo stesso Israele è uno stato territoriale sovrano in tutto simile a qualunque altro stato della comunità internazionale. Al medesimo tempo, però, rappresenta la realizzazione storica della biblica aspirazione al ritorno nella “terra promessa” e vede affiancarsi e sovrapporsi diritto statuale laico e ordine giuridico religioso dell’ebraismo.

Sul versante arabo-islamico il peso della religione è ancor più marcato. La conclamata laicità dell’organizzazione e della politica palestinese è soverchiata di fatto da un ordinamento religioso che coincide con la legge dettata da Dio, la shariah. Lo stesso terrorismo di Hamas è primariamente di matrice islamista. Più a fondo, il rifiuto dell’esistenza dello stato di Israele da parte della comunità islamica è legato alla suddivisione dualista del mondo tipica del diritto musulmano: da una parte dar al-islam, la terra dell’islam sottoposta esclusivamente alle sue leggi, e dall’altra dar al-harb, la terra della guerra, degli infedeli, che copre la restante parte del mondo. L’anomalia di Israele è di esistere su una terra che la comunità islamica considera sua per diritto divino.

Ma è prevedibile un’evoluzione del diritto islamico che consenta di superare questo blocco? Silvio Ferrari, professore di diritto ecclesiastico alle università di Milano e Lovanio, risponde di sì. Nel suo ultimo libro, “Lo spirito dei diritti religiosi”, edito da il Mulino, ha messo a confronto i sistemi giuridici delle tre maggiori religioni dell’area mediterranea, la cristiana cattolica, l’ebraica e la musulmana, e, per quanto riguarda quest’ultima, sostiene che un’evoluzione è in corso ed è cominciata con il diritto internazionale.

“Tutti i paesi musulmani – scrive Ferrari – hanno sostanzialmente riconosciuto l’autorità del moderno sistema di diritto internazionale, aderendo ad esempio alle Nazioni Unite”, e questo potrebbe indurli a rinvenire “nella shariah soluzioni compatibili con quelle fondate su una concezione secolare del diritto”, estensibili in futuro “anche ai rapporti interni della comunità”.

La Terra Santa, con Gerusalemme, è luogo cruciale di connessione e conflitto tra diritto secolare e diritti religiosi. Ma non è l’unico. La “laica” Europa comunitaria è essa stessa sempre più multireligiosa e multiculturale: ha al proprio interno una crescente emigrazione musulmana, una costellazione di paesi slavi a forte soggettività religiosa ed etnica, e ai propri confini ha la Russia, l’Ucraina, i Balcani, la Turchia, Israele e gli stati del Maghreb, tutti variamente marcati d’impronta religiosa. Secondo Ferrari “non si possono capire né governare le tensioni provocate dalla coesistenza di diverse religioni senza che si conosca e si attivi l’apparato di norme che guida la vita dei rispettivi fedeli”.

L’Iraq è un’altro decisivo terreno di prova per lo sviluppo di una democrazia non contrapposta ma congiunta alla shariah islamica.

Ma tornando al conflitto arabo-israeliano, ecco qui di seguito un’esercitazione prospettica ad opera di un esperto di teologia e di geopolitica religiosa, Pietro De Marco, professore all’università di Firenze.

Di De Marco questo sito ha già pubblicato nel 2002 una nota sui criteri di soluzione della guerra israelo-palestinese. Ma la sua convinzione è che criteri esclusivamente politici e giuridici – di diritto secolare – non sono in grado di incidere sul rifiuto musulmano dell’esistenza di Israele. Il motivo è che questo rifiuto deriva fondamentalmente da un imperativo religioso. E quindi potrà essere rimosso solo con un’iniziativa forte, innovativa, nell’ordine del diritto sacro islamico.

L’iniziativa dovrà essere “concordata” con la parte ebraica, anch’essa nelle sue componenti secolari e sacre. E a quale modello potrebbe ispirarsi? Proprio al più famoso dei concordati del Novecento tra le due potestà laica e religiosa: i Patti del 1929 con i quali lo stato Italiano fece pace con la Chiesa cattolica concedendo e riconoscendo alla Santa Sede una parte del proprio territorio, l’attuale Città del Vaticano.


Ho fatto un sogno: i Patti del Laterano a Gerusalemme

di Pietro De Marco


Scriveva l’arabista cristiano Louis Massignon nel 1948: “La Terra Santa non dovrebbe essere un oggetto di spartizione tra privilegiati [lega araba e potenze coloniali], ma la tunica senza cuciture della riconciliazione del mondo, luogo di mescolanza intima tra tutti e, per cominciare, tra coloro che hanno più ragioni di unirsi che di odiarsi, semiti, ebrei e arabi, tutti figli di Abramo, e cristiani spiritualmente semiti che dovrebbero aver rinnegato tutti il culto degli idoli [i poteri economico-finanziari mondiali]”.

La straordinaria visione “transhistorique” di Massignon – per cui vi è un “solo punto di innesto, di applicazione dello spirituale nel temporale e nella geografia, poiché ve n’è uno solo che la storia predestini, la Terra Santa, con Gerusalemme, dall’epoca di Abramo” – fu resa storicamente vana dal moralismo anticapitalistico del grande arabista, costitutivo anche dell’antiebraismo colto del Novecento. Massignon vide però con acutezza, anche in virtù di questo distacco polemico dalla modernità economica, che “gli ebrei hanno conservato il desiderio spirituale della Terra Santa, considerata come il pegno materiale di una promessa che trascende la materialità”.

Oggi possiamo affermare che il popolo ebraico ha realizzato nella Terra Santa questo trascendimento, seppure diversamente dall’idea di Massignon che lo sperava senza divisioni della terra. Non per questo, però, gli ebrei hanno “demessianizzato” la loro speranza, laicizzandola e fondandola sui meri “mezzi economici”. E proprio gli sviluppi meno “laici” della società israeliana negli ultimi decenni lo mostrano. Lo stato d’Israele ha e afferma una sua altissima forza simbolica: quella di una realizzazione politico-statuale e di una capacità di rappresentazione nei confronti dell’intero popolo ebraico della “diaspora”.

Se dunque alla grandezza del moralismo tradizionalista di Massignon mancava la dimensione teologico-politica (oltre che il senso weberiano della moralità del capitalismo), la Terra Santa resta comunque quella da lui intravista: un alto luogo della cittadinanza religiosa di ebrei, cristiani e musulmani in successione storica e, per questo, costitutivamente materia di diritto sacro.

La portata storica di una soluzione tra diritti sacri della questione arabo-israeliana è fatta di molte dimensioni. Una di esse è il riconoscimento internazionale pubblico dell’idoneità di un diritto arabo-islamico a esercitare giurisdizione. Questa attività giurisdizionale su eventi accaduti in una terra su cui l’islam rivendica sovranità si troverebbe ad essere autorevolmente sancita proprio nell’atto in cui lo stesso islam riconosce una sovranità originaria del popolo ebraico su quella medesima terra.

L’analogia con la vicenda, all’epoca innovativa, dei Patti del Laterano del 1929 è forte. Come fece lo stato italiano con la Santa Sede, l’islam concederebbe e riconoscerebbe alla sovranità e giurisdizione esclusiva di Israele un territorio proprio, seppure per conquista posteriore (e posteriore alla cristianizzazione). Reciprocamente e contemporaneamente Israele e il diritto internazionale riconoscerebbero una efficacia “sui generis” alla giurisdizione islamica.

A ciò potrebbe conseguire la stipula di un concordato relativo alle diverse dimensioni della tutela dei credenti islamici che sono cittadini israeliani e dell’islam in Israele. Portata a buon esito, questa reciprocità di riconoscimento avrebbe effetti “definitivi e irrevocabili” sulla componente teologico-simbolica e militante, di “militia sacra”, del dissidio arabo-israeliano.

Chiarisco meglio la proposta, per punti.

1. Anzitutto, la soluzione del conflitto arabo-israeliano passa per la costituzione di uno stato palestinese, sotto vincoli ferrei di sicurezza per Israele garantiti, se necessario, da un iniziale protettorato internazionale sul nuovo stato (cfr. la mia nota dell’ottobre 2002). Ma la coesistenza tra i due stati esige una memoria pacificata del passato. Nella presente proposta questa pacificazione implica, come sua parte integrante, la legittimazione dello stato d’Israele da parte della shariah, la legge sacra, fonte normativa della comunità islamica.

Elevandosi alla dimensione di diritto internazionale pubblico, la shariah – e con essa la politica islamica – sancirà l’esistenza legittima di uno stato e di una Gerusalemme ebraica sul territorio che essa, la shariah stessa, considera sacro e sotto la propria giurisdizione.

2. La logica sarà analoga e inversa a quella dei Patti del Laterano del 1929 tra Italia e Santa Sede, in particolare del Trattato. I “Patti di Gerusalemme” includeranno una dichiarazione, nei termini propri del diritto internazionale pubblico islamico e nell’ambito del suo esercizio sovrano, sui diritti originari del popolo ebraico alla terra e a confini dello stato d’Israele reali e intangibili. Per terra e confini si intenderanno quelli definiti, e con ciò riconosciuti dal diritto internazionale, all’atto della costituzione del nuovo stato palestinese.

Alla firma dei Patti Lateranensi, lo stato italiano fu “irrevocabilmente” riconosciuto legittimo dalla Santa Sede, che sussiste “iure proprio” al suo interno, con effetti di grande portata pratica e dottrinale: reciprocità di riconoscimento, costituzione di uno stato teo-ierocratico, interconnessione di ordinamenti non tra loro omogenei. Simmetricamente, nel caso arabo-israeliano, un diritto sacro riconosce al suo interno la legittimità di uno stato ad esso non omogeneo, in quanto sussistente “iure proprio”.

3. All’atto della stipula di quelli che chiamo Patti di Gerusalemme, lo stato d’Israele e l’ordinamento internazionale riconosceranno una legittimità “sui generis”, per il passato, all’opposizione da parte della comunità arabo-islamica alla costituzione dello stato d’Israele. Il passato rifiuto arabo a riconoscere nel proprio ambito di diritto sacro le decisioni “sacrileghe” (Massignon) delle potenze occidentali è tolto, e il dissidio si sana in virtù della corretta procedura di riconoscimento di quel diritto.

Con ciò le parti s’impegnano a considerare superata ogni ragione di reciproca delegittimazione e ostilità di principio.

4. A stipulare i Patti (distinti dai trattati che potranno definire i nuovi rapporti tra i due stati) saranno da un lato le autorità giuridico-religiose del popolo palestinese, in rappresentanza legittima dell’intera comunità araba-islamica, e dall’altro lo stato d’Israele con i suoi consulenti giuridico-religiosi. I Patti non potranno ledere la competenza di diritto sacro sulla Terra Santa delle Chiese cristiane.

Canonisti cattolici ed ecclesiasticisti, in quanto esperti di concordati, si metteranno a disposizione delle parti. La Chiesa Cattolica come tale, con suoi alti rappresentanti, potrà svolgere, se richiesta, funzioni di mediazione e arbitraggio.

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La precedente nota di Pietro De Marco sui criteri di soluzione del conflitto arabo-isareliano:

> La bozza De Marco per la pace tra Israele e Palestina (30.10.2002)

Il libro del prof. Ferrari sui diritti comparati delle tre religioni del Mediterraneo:

Silvio Ferrari, “Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto”, il Mulino, Bologna, 2003, pagine 304, euro 18,00.

Un altro saggio recente sulle politiche attuali e passate del mondo musulmano analizzate secondo i principi loro propri, essenzialmente religiosi:

Massimo Campanini, “Islam e politica”, il Mulino, Bologna, 2003, pagine 318, euro 20,00.

Il dispaccio di “AsiaNews” del 13 dicembre 2003 sulla predica del gran mufti di Gerusalemme:

> Il mufti di Gerusalemme: il Muro del Pianto appartiene all’islam

Su Hamas in quanto movimento primariamente religioso:

> C’è un muro d’odio contro Israele. Ma “Avvenire” dice come abbatterlo (19.11.2002)

I punti di disaccordo tra il Vaticano e Israele analizzati da Vittorio E. Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano:

> Geopolitica vaticana. Punto per punto, ciò che oppone Roma a Israele (6.11.2003)

Diritto laico e leggi sacre nella costruzione del nuovo Iraq:

> Islam e democrazia in Iraq. Il martirio dei musulmani sciiti (1.9.2003)