(l’Espresso) Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà

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Benedetto XVI in diretta. Quindici domande, altrettante risposte


Dialogo spontaneo tra il papa e i preti della sua diocesi di Roma. Sulla Bibbia e il Corano, su Pio XII, sulle donne nella Chiesa, sull’Africa, sull’ecumenismo, sull’interpretazione del Concilio…

di Sandro Magister

 ROMA, 7 marzo 2006 – Come è tradizione ad ogni inizio di Quaresima, Benedetto XVI ha incontrato giovedì 2 marzo in Vaticano, nell’Aula delle Benedizioni, i preti della diocesi di Roma di cui egli è il vescovo, accompagnati dal cardinale vicario Camillo Ruini.

Nell’occasione, il papa non ha letto un testo scritto in precedenza, ma ha risposto improvvisando alle domande che i preti gli hanno posto. La stessa cosa l’aveva fatta lo scorso 25 luglio con i preti della diocesi di Aosta, durante la sua vacanza sulle Alpi. In entrambi i casi la conversazione si è svolta a porte chiuse, senza la presenza di giornalisti.

Come allora, anche questa volta il botta e risposta ha fatto emergere i punti di vista del papa con l’immediatezza tipica del libero colloquio. Le domande sono state in tutto quindici. E a tutte il papa ha dato risposta in due riprese: prima a dieci domande, poi a cinque.

La trascrizione integrale della conversazione è uscita il giorno dopo su “L’Osservatore Romano” ed è stata diffusa dalla sala stampa vaticana, nella sola versione italiana.

Qui di seguito ne è riportato un estratto. I brani, ciascuno dedicato a un argomento diverso, sono nello stesso ordine con cui il papa li ha pronunciati.

In apertura c’è il commento che Benedetto XVI ha fatto alle letture della messa del giorno, primo giovedì di Quaresima:


”La Quaresima, un indicatore di strada per la nostra vita”


La liturgia di oggi ci offre una profonda indicazione del significato essenziale della Quaresima, un indicatore di strada per la nostra vita. […] Questo [significato] essenziale è la parola di Dio [che dice]: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita” (Dt 30,19). […] Si tratta di rinnovare nella Quaresima la nostra opzione fondamentale, l’opzione per la vita. […] Riflettendo, mi è venuto in mente che la grande defezione dal cristianesimo realizzatasi nell’Occidente negli ultimi cento anni è stata attuata proprio in nome dell’opzione per la vita. È stato detto – penso a Nietzsche ma anche a tanti altri – che il cristianesimo è una opzione contro la vita: con la croce, con tutti i comandamenti, con tutti i “no” che ci propone, ci chiude la porta della vita; ma noi vogliamo avere la vita, e scegliamo, optiamo, finalmente, per la vita liberandoci dalla croce, liberandoci da tutti questi comandamenti e da tutti questi “no”; vogliamo avere la vita in abbondanza, nient’altro che la vita. Qui subito viene in mente la parola del Vangelo di oggi: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” ( Lc 9, 24). Questo è il paradosso che dobbiamo innanzitutto tener presente nell’opzione per la vita. Non arrogandoci la vita per noi ma solo dando la vita, non avendola e prendendola, ma dandola, possiamo trovarla. Questo è il senso ultimo della croce: non prendere per sé ma dare la vita. Così, Nuovo e Vecchio Testamento vanno insieme. Nella prima lettura del Deuteronomio la risposta di Dio è: “Io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva” (30, 16). Questo a prima vista non ci piace, ma è la strada: l’opzione per la vita e l’opzione per Dio sono identiche. Il Signore lo dice nel Vangelo di Giovanni: “Questa è la vita eterna: che conoscano te” (Gv 17, 3). […] Scegliere Dio, quindi: questo è essenziale. Un mondo vuoto di Dio, un mondo che ha dimenticato Dio, perde la vita e cade in una cultura di morte. […] Proprio volendo avere la vita si dice “no” al bambino, perché mi toglie qualche parte della mia vita; si dice “no” al futuro, per avere tutto il presente; si dice “no” sia alla vita che nasce sia alla vita sofferente. Questa apparente cultura della vita diventa la anti-cultura della morte, dove Dio è assente, dove è assente quel Dio che non ordina l’odio ma vince l’odio. Qui facciamo la vera opzione per la vita. Tutto è connesso: la più profonda opzione per Cristo crocifisso con la più completa opzione per la vita.


SUL RAPPORTO TRA LA BIBBIA E LA CHIESA E SULLA SUA DIVERSITÀ DAL CORANO


Nessuno crede solo da se stesso. Noi crediamo sempre in e con la Chiesa. […] Dobbiamo lasciarci cadere, per così dire, nella comunione della fede, della Chiesa. Credere è un atto cattolico in sé: è partecipazione a questa grande certezza, che è presente nel soggetto vivente della Chiesa. Solo così possiamo anche capire la Sacra Scrittura nella diversità di una lettura che si sviluppa per mille e mille anni. È una Scrittura espressione di un soggetto, il popolo di Dio, che nel suo pellegrinaggio […] non parla da sé, ma è un soggetto creato da Dio – l’espressione classica è “ispirato” – un soggetto che riceve, poi traduce e comunica questa parola. Questa sinergia è molto importante. Sappiamo che il Corano, secondo la fede islamica, è parola verbalmente data da Dio, senza mediazione umana. Il Profeta non c’entra. Egli solo l’ha scritta e comunicata. È pura parola di Dio. Mentre per noi, Dio entra in comunione con noi, ci fa cooperare, crea questo soggetto e in questo soggetto cresce e si sviluppa la sua parola. […] Chi vive della Parola di Dio può viverla solo perché è viva e vitale nella Chiesa vivente.


SU PIO XII E I PAPI DEL NOVECENTO


Pio XII era il papa della mia gioventù. Lo abbiamo venerato tutti. Come è stato detto giustamente, egli ha molto amato il popolo tedesco, lo ha difeso anche nella grande catastrofe dopo la guerra. E devo aggiungere che prima di essere nunzio a Berlino era nunzio a Monaco, perché inizialmente Berlino non aveva ancora la rappresentanza pontificia: era proprio anche vicino a noi. Mi sembra, questa, l’occasione per esprimere gratitudine a tutti i grandi papi del secolo scorso. Si è aperto il secolo con il santo Pio X, poi Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. Mi sembra che questo sia un dono speciale in un secolo così difficile, con due guerre mondiali, con due ideologie distruttive: fascismo-nazismo e comunismo. Proprio in questo secolo, che si è opposto alla fede della Chiesa, il Signore ci ha dato una catena di grandi papi, e così un’eredità spirituale che ha confermato, direi storicamente, la verità del primato del successore di Pietro.


SUI POCHI MATRIMONI RELIGIOSI IN AFRICA E IN OCCIDENTE


Nelle visite “ad limina” parlo sempre con i vescovi della famiglia, minacciata in diversi modi nel mondo. È minacciata in Africa, perché si trova difficilmente il passaggio dal “mariage coutumier” al “mariage religieux”, perché si teme la definitività. Mentre in Occidente la paura del bambino è motivata dal timore di perdere qualcosa della vita: finché non consta che la moglie avrà anche bambini, non si osa il matrimonio definitivo. Perciò il numero dei matrimoni religiosi rimane relativamente piccolo e molti anche “buoni” cristiani, anche con un’ottima volontà di essere cristiani, non compiono quest’ultimo passo.


SULLA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE AL GOVERNO DELLA CHIESA


Mi fa sempre grande impressione, nel primo Canone , quello Romano, la speciale preghiera per i sacerdoti: “Nobis quoque peccatoribus”. Ecco, in questa umiltà realistica dei sacerdoti noi, proprio come peccatori, preghiamo il Signore perché ci aiuti ad essere suoi servi. In questa preghiera per il sacerdote, proprio solo in questa, appaiono sette donne che circondano il sacerdote. Esse si mostrano proprio come le donne credenti che ci aiutano nel nostro cammino. […] Le donne fanno tanto per il governo della Chiesa, cominciando dalle suore, dalle sorelle dei grandi Padri della Chiesa, come sant’Ambrogio, fino alle grandi donne del medioevo — santa Ildegarda, santa Caterina da Siena, poi santa Teresa d’Avila — e fino a Madre Teresa. Direi che questo settore carismatico certamente si distingue dal settore ministeriale nel senso stretto della parola, ma è una vera e profonda partecipazione al governo della Chiesa. Come si potrebbe immaginare il governo della Chiesa senza questo contributo, che talvolta diventa molto visibile, come quando santa Ildegarda critica i vescovi, o come quando santa Brigida e santa Caterina da Siena ammoniscono e ottengono il ritorno dei papi a Roma? È un fattore determinante, senza il quale la Chiesa non può vivere. Tuttavia, [si vuole] vedere anche più visibilmente in modo ministeriale le donne nel governo della Chiesa. Diciamo che la questione è questa. Il ministero sacerdotale è dal Signore riservato agli uomini, in quanto il ministero sacerdotale è governo nel senso […] che è il sacramento che governa la Chiesa, […] cioè mediante il sacramento è Cristo stesso che governa, sia tramite l’eucaristia che negli altri sacramenti, e così sempre Cristo presiede. Tuttavia, è giusto chiedersi se anche nel servizio ministeriale – nonostante il fatto che qui sacramento e carisma siano il binario unico nel quale si realizza la Chiesa – non si possa offrire più spazio, più posizioni di responsabilità alle donne.


SULLA CHIESA IN AFRICA


Il continente africano è la grande speranza della Chiesa. Ho ricevuto negli ultimi mesi gran parte dei vescovi africani in visita “ad limina”. E per me è stato molto edificante, ed anche consolante, vedere vescovi di alto livello teologico e culturale, Vescovi zelanti, che realmente sono animati dalla gioia della fede. Sappiamo che è in buone mani questa Chiesa, ma che tuttavia soffre perché le nazioni ancora non si sono formate. In Europa era proprio tramite il cristianesimo che, oltre le etnie che esistevano, si sono formati i grandi corpi delle nazioni. […] Tuttavia, in Africa, abbiamo ancora in molte parti questa situazione, dove ci sono soprattutto le etnie dominanti. Il potere coloniale poi ha imposto frontiere nelle quali adesso devono formarsi nazioni. Ma ancora c’è questa difficoltà di ritrovarsi in un grande insieme e di trovare, oltre le etnie, l’unità del governo democratico e anche la possibilità di opporsi agli abusi coloniali che continuano. Ancora, sempre da parte delle grandi potenze, l’Africa continua ad essere oggetto di abuso e molti conflitti non avrebbero assunto questa forma se non ci fossero dietro gli interessi delle grandi potenze. Così ho visto anche come la Chiesa, in tutta questa confusione, con la sua unità cattolica, è il grande fattore che unisce nella dispersione. In molte situazioni, penso alla Repubblica Democratica del Congo, la Chiesa è rimasta l’unica realtà che funziona e che fa continuare la vita, dà l’assistenza necessaria, garantisce la convivenza e aiuta a trovare la possibilità di realizzare un grande insieme. In tal senso, in queste situazioni, la Chiesa svolge anche un servizio sostitutivo del livello politico, dando la possibilità di vivere insieme, e di ricostruire, dopo le distruzioni, la comunione, così come di ricostruire, dopo lo scoppio dell’odio, lo spirito di riconciliazione. Molti mi hanno detto che proprio in queste situazioni il sacramento della penitenza è di grande importanza come forza di riconciliazione e deve essere anche amministrato in questo senso. Voglio, con una parola, dire che l’Africa è un continente di grande speranza, di grande fede, di realtà ecclesiali commoventi, di sacerdoti e di vescovi zelanti. Ma è sempre anche un continente che ha bisogno – dopo le distruzioni che vi abbiamo portato dall’Europa – del nostro fraterno aiuto. Ed esso non può non nascere dalla fede, che crea anche la carità universale oltre le divisioni umane. Questa è la nostra grande responsabilità in questo tempo. L’Europa ha importato [in Africa] le sue ideologie, i suoi interessi, ma ha anche importato con la missione il fattore della guarigione. Ancor più, oggi, abbiamo la responsabilità di avere anche noi una fede zelante, che si comunica, che vuole aiutare gli altri, che è ben consapevole che dare la fede non è introdurre una forza di alienazione ma è dare il vero dono del quale ha bisogno l’uomo proprio per essere anche creatura dell’amore.


SUL RAPPORTO TRA CREAZIONE E STORIA


In un momento di rinnovamento e di cambiamento, l’elemento permanente diventa più importante. Mi ricordo quando è stata discussa la costituzione conciliare “Gaudium et Spes”. Da una parte, c’era il riconoscimento della novità, il “sì” della Chiesa all’epoca nuova con le sue innovazioni […]. Ma poi i padri – se ne trova la prova nel testo – hanno anche detto che nonostante questo, nonostante la necessaria disponibilità ad andare avanti, a lasciar cadere anche tante cose che ci erano care, c’è qualcosa che non cambia, ed è l’umano stesso, la creaturalità. […] L’assolutizzazione dello storicismo, nel senso che l’uomo sarebbe solo e sempre creatura frutto di un certo periodo, non è vera. C’è la creaturalità e proprio essa ci dà la possibilità di vivere nel cambiamento e di rimanere identici a noi stessi. […] Il cristianesimo, proprio sottolineando la storia e la religione come un dato storico, a cominciare da Abramo, e quindi come una fede storica, avendo aperto proprio la porta alla modernità con il suo senso del progresso, dell’andare perennemente avanti, è anche, nello stesso momento, una fede che si basa sul Creatore, che si rivela e si rende presente in una storia alla quale dà la sua continuità, quindi la comunicabilità tra le anime.


SUL RAPPORTO TRA CHIESA CATTOLICA E CHIESA ORTODOSSA


È importante che i cristiani non siano chiusi tra di loro ma aperti, e proprio nei rapporti con gli ortodossi vedo come le relazioni personali siano fondamentali. In dottrina siamo in gran parte uniti su tutte le cose fondamentali, tuttavia in dottrina sembra molto difficile fare dei progressi. Ma avvicinarci nella comunione, nelle comune esperienza della vita della fede, è il modo per riconoscerci reciprocamente come figli di Dio e discepoli di Cristo. E questa è la mia esperienza da almeno quaranta, cinquant’anni quasi: questa esperienza del comune discepolato, che finalmente viviamo nella stessa fede, nella stessa successione apostolica, con gli stessi sacramenti e quindi anche con la grande tradizione di pregare; è bella questa diversità e molteplicità delle culture religiose, della culture di fede. Avere questa esperienza è fondamentale e mi sembra, forse, che la convinzione di alcuni, di una parte dei monaci dell’Athos contro l’ecumenismo, risulti anche dal fatto che manchi questa esperienza nella quale si vede e si tocca che anche l’altro appartiene allo stesso Cristo, appartiene alla stessa comunione con Cristo nell’eucaristia. Quindi questo è di grande importanza: dobbiamo sopportare la separazione che esiste. San Paolo dice che gli scismi sono necessari per un certo tempo e il Signore sa perché: per provarci, per esercitarci, per farci maturare, per farci più umili. Ma nello stesso tempo siamo obbligati ad andare verso l’unità e già andare verso l’unità è una forma di unità.


SULLA LITURGIA E IL CONCILIO, TRA CONTINUITÀ E INNOVAZIONE


Bisogna non trascurare la comune spiritualità cattolica che si esprime nella liturgia e nella grande tradizione della fede. Questo punto è importante anche riguardo al Concilio. Non bisogna vivere – come ho detto prima di Natale alla curia romana – l’ermeneutica della discontinuità, ma vivere l’ermeneutica del rinnovamento, che è spiritualità della continuità, dell’andare avanti in continuità. Questo mi sembra molto importante anche riguardo alla liturgia. Prendo un esempio concreto che mi è venuto proprio oggi con la breve meditazione di questo giorno. La “Statio” di questo giorno, giovedì dopo il mercoledì delle ceneri, è [la chiesa romana di] San Giorgio. Corrispondenti a questo santo soldato, una volta vi erano due letture su due santi soldati. La prima parla del re Ezechia, che, malato, è condannato a morte e prega il Signore piangendo: dammi ancora un po’ di vita! E il Signore è buono e gli concede ancora diciassette anni di vita. Quindi una bella guarigione e un soldato che può riprendere di nuovo la sua attività. La seconda è il Vangelo che narra dell’ufficiale di Cafarnao con il suo servo malato. Abbiamo così due motivi: quello della guarigione e quello della “milizia” di Cristo, della grande lotta. Adesso, nella liturgia attuale, abbiamo due letture totalmente diverse. Abbiamo quella del Deuteronomio: “Scegli la vita”, e il Vangelo: “Seguire Cristo e prendere la croce su di sé”, che vuol dire non cercare la propria vita ma donare la vita, ed è una interpretazione di cosa vuol dire “scegli la vita”. Devo dire che io ho sempre molto amato la liturgia. Ero proprio innamorato del cammino quaresimale della Chiesa, con queste chiese “stazionali” e le letture collegate a queste chiese: una geografia di fede che diventa una geografia spirituale del pellegrinaggio col Signore. Ed ero rimasto un po’ male per il fatto che ci avessero tolto questo nesso tra la “stazione” e le letture. Oggi vedo che proprio queste letture sono molto belle ed esprimono il programma della Quaresima: scegliere la vita, cioè rinnovare il “sì” del battesimo che è proprio scelta della vita. In questo senso c’è un’intima continuità e mi sembra che dobbiamo impararlo da questo che è solo un piccolissimo esempio tra discontinuità e continuità. Dobbiamo accettare le novità ma anche amare la continuità e vedere il Concilio in questa ottica della continuità.

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La trascrizione integrale in lingua italiana del discorso del papa al clero romano, nel sito del Vaticano:

> “Cari sacerdoti di Roma…”