Gnocchi: 100 anni, ma non li dimostra
Lodata da Benedetto Croce e Giovanni Gentile, temuta dai cattolici
in odore di eresia, limpida come un manuale. E’ la magistrale
Pascendi dominaci gregis, l’enciclica con cui l’8 ottobre 1907 Papa
Pio X condannò duramente il Modernismo
di Alessandro Gnocchi
Il 13 settembre 1907, cinque giorni dopo la pubblicazione
della "Pascendi dominici gregis", il laicissimo Benedetto Croce
firmava sul Giornale d’Italia un elogio dell’enciclica con cui Papa
Pio X condannava il modernismo. Don Benedetto, coerente con il fatto
di non potersi non dire cristiano pur continuando a non esserlo,
aveva titolato l’articolo "Insegnamenti cattolici di un non
cattolico". In ogni caso, arrivava al sodo circa il destino dei
modernisti, ai quali non rimaneva che «andare innanzi o tornare
indietro. Ossia, o ricongiungersi ritardatari alle schiere dei
pensatori non confessionali: o, dopo essersi dibattuti vanamente per
qualche tempo, ricadere nel cattolicesimo tradizionale».
Giovanni Gentile, l’altro sommo esponente dell’idealismo italiano,
nel volume Il modernismo e i rapporti fra religione e filosofia,
faceva altrettanto, se non di più, e scriveva: «in verità
l’enciclica "Pascendi dominici gregis" è una magistrale esposizione
e una critica magnifica dei principi filosofici di tutto il
modernismo. (…). L’autore dell’enciclica ha visto fino in fondo e
interpretato esattamente, da critico enunctae naris ("di naso fino",
ndr), la dottrina giacente nelle esigenze filosofiche, teologiche,
apologetiche, storiche, critiche, sociali dell’indirizzo modernista».
Sarebbe stato difficile non riconoscere l’importanza di quel
documento, data la sua chiarezza da manuale. Sul piano filosofico,
spiega San Pio X, il modernismo ritiene impossibile esaminare il
problema di Dio. «Tutto il fondamento della filosofia religiosa –
scrive nella Pascendi – è riposto dai modernisti nella dottrina, che
chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, lai ragione umana è
ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire
di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non
facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è
dato a lei d’innalzarsi a Dio, nel di conoscerne l’esistenza, sia
pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio,
riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto;
riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico».
Dunque, secondo i modernisti, la fede nascerebbe da un semplice
bisogno esistenziale e non sarebbe altro che un sentimento. La
rivelazione stessa sarebbe un sentimento elaborato dal credente. Su
questo piano, Cristo è solo il modello più riuscito: è l’individuo
la cui coscienza ha prodotto un sistema al quale i cristiani
ritengono di dover sottostare. «Né credasi già che diversa sia la
sorte della religione cattolica – dice ancora Pio X. – Anzi in tutto
pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per
processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di
elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si
troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad
affermazioni cotanto audaci e sacrileghe!».
Per il modernista la realtà divina ha un senso solo nell’anima del
credente, non ha carattere oggettivo. E in proposito Pio X
scrive: «Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una
certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto
immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una
persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì
fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento
scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da
vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno,
come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non
vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste
per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno
conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente
credente.
Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici!». L’enciclica
esamina anche i rapporti tra scienza e fede e mette subito il dito
sulla piaga. Secondo i modernisti, la scienza è libera di fronte
alla fede, che ne è invece soggetta. Ciò per il semplice fatto che
Dio è immanente all’uomo e le rappresentazioni della realtà divina
sono simboliche. «Così dunque-spiega l’enciclica – si evince essere
la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece,
tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa
sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono
diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore
Pio IX: "Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non
dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma
abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei
misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla" (Breve al
Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857).
I modernisti invertono del tutto le parti». Il lavoro minuzioso sui
singolari errori condotto nella "Pascendi" non deve far perdere di
vista che il nucleo del modernismo, secondo Pio X, consiste in una
sovversione che li somma e li supera tutti: il cambiamento radicale
della nozione di verità, mediante l’accettazione del principio di
immanenza che sta a fondamento del pensiero moderno. La conseguenza
di quest’errore è la professione della variabilità della dottrina in
ciò che essa ha di immutabile. Che fare? «La prima cosa adunque per
ciò che spetta agli studi – risponde l’enciclica – vogliamo e
decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la
filosofia scolastica.
Bene inteso che, "se dai Dottori scolastici furono agitate questioni
troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se
fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli
seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra
intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai
di nostri" (Leone XIII, Enc. Aeterni Patris). Ciò che conta anzi
tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire,
si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino:
intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì,
intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo
rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti
osservato. Se nei Seminar! si sia ciò trascurato, toccherà ai
Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso
comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli
che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate,
specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno». I
successivi insegnamenti del Magistero, che hanno arricchito e
approfondito il solco tracciato da Pio X, confermano l’attualità
della "Pascendi dominici gregis". Che ha cento anni e non li
dimostra.
Il Timone settembre-ottobre 2007
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