(il Giornale) L’ecumenismo priorità di Benedetto XVI

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La via del dialogo di Benedetto XVI porta agli ortodossi


di Massimo Introvigne (il Giornale, 22 aprile 2005)

Nel suo primo messaggio Benedetto XVI ha assegnato al suo pontificato l’obiettivo di ottenere risultati concreti sulla strada dell’ecumenismo, dichiarando senza mezzi termini che gli incontri e le belle parole non sono più sufficienti. Quali sono le possibilità di vedere davvero qualche risultato in tempi ragionevolmente brevi? In assoluto, le Chiese e comunità cristiane separate da Roma non sono più gelose della loro identità come lo erano ancora trent’anni fa. Il termine molto aziendale di merger, “fusione”, ha indicato un buon numero di processi che hanno portato denominazioni protestanti, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada, a dimenticare le divisioni e unirsi fra loro. Si tratta soprattutto delle Chiese protestanti di prima e seconda generazione (calvinisti, battisti, metodisti), che vedono nel merger una possibile soluzione di fronte all’emorragia di membri che le punisce e che premia invece le denominazioni più conservatrici e di origine più recente, anzitutto i pentecostali.

Che questo processo possa convincere qualcuno a ritornare all’unità con Roma è però molto dubbio. Le Chiese “storiche” perdono membri per le loro scelte ultra-progressiste in materia di morale: molte si sono aperte all’aborto, al femminismo, al matrimonio degli omosessuali, il che ha semmai accentuato le distanze da Roma.


Le differenze, in ogni caso, sono troppo profonde – coinvolgono la nozione di sacerdozio, la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia, i sacramenti in genere – per poter fare immaginare qualche cosa di più di una semplice amichevole collaborazione.


Sembrava che dal mondo protestante andasse distinta la Comunione anglicana – anglicani in Gran Bretagna e nelle sue ex-colonie, episcopaliani negli Stati Uniti –: ma la decisione di ammettere le donne al pastorato, e le recenti prese di posizione in favore dell’omosessualità hanno chiuso anche questa strada (fu proprio l’allora cardinale Ratzinger a sottolinearlo più volte). Semmai, è possibile che sul tema dell’omosessualità si arrivi allo scisma definitivo delle Chiese più conservatrici della Comunione anglicana, soprattutto in Africa e in Asia: queste, effettivamente, potrebbero riavvicinarsi a Roma.


Il nuovo Pontefice è stato anche protagonista – da cardinale – del dialogo con il mondo luterano, che è arrivato a impegnative dichiarazioni teologiche comuni. Ma il mondo luterano è diviso. Gli ultra-conservatori, soprattutto in Scandinavia, restano fortemente anti-papisti; alcuni ultra-progressisti negli Stati Uniti sono agli antipodi di Benedetto XVI in materia morale. Vi è tuttavia un “centro” luterano conservatore, in Germania e in America, che potrebbe essere affascinato dal Papa tedesco.


Naturalmente, le prospettive più concrete di unità riguardano le Chiese ortodosse. Il celibato dei sacerdoti non è un problema (né lo sarebbe per i luterani): Roma è già in comunione con Chiese orientali cattoliche dove consente la presenza di preti sposati.


Il lavoro dei teologi permetterebbe in teoria di appianare tutte le divergenze, tranne una: precisamente quella che riguarda la natura del primato del Vescovo di Roma. Sul punto, il cardinale Ratzinger ebbe a dire che agli Orientali non si deve chiedere nulla di più di quanto essi accettavano nel primo millennio cristiano, prima della separazione. Più avanza la democrazia, più cade l’avversione “politica” a Roma. Restano molti pregiudizi, ma è da questa parte che il Papa può aspettarsi qualche notizia positiva e sorprendente.