Sono in tanti che trattano i cattolici da minorenni incapaci di ragionare
di Antonio Soccci
Piero Fassino si è dimesso dalla
segreteria della Quercia diventando arcivescovo? O
addirittura è stato eletto Papa all’insaputa di tutti? C’era
da chiederselo ieri leggendo la sua intervista al Corriere
della Sera in cui, a proposito dei referendum radicali sulla
legge 40, proclamava: “Anche un cattolico può votare sì”. Ma
da quando in qua è Fassino a decidere cosa può fare o non
può fare un cattolico? Non siamo nella Cecoslovacchia o
nella Polonia degli anni Cinquanta, dove il “partito
fratello” (di Fassino) pretendeva di definire perfino
l’orario delle messe.
E non c’è solo Fassino. Sono in tanti che
trattano i cattolici da minorenni incapaci di ragionare in
proprio e bisognosi del tutore laico che parla al posto
loro. Pure Giuliano Amato, sull’Espresso, s’improvvisa
Prefetto del S. Uffizio e, messa la berretta, discetta – a
sproposito – di morale cattolica. Quasi che i cattolici
fossero dei poveri pisquani sottosviluppati che hanno
bisogno di essere presi per mano sulle cose di fede da lui
che non è neanche cattolico.
E’ chiaro il motivo dell’allarme dei due
vecchi politici: col referendum rischia di sfasciarsi la –
già pericolante – coalizione del centrosinistra. Infatti i
cattolici della Margherita che, con Rutelli, hanno votato a
favore della legge in Parlamento (prendendosi gli strali
della sinistra più radicale), sono contro il referendum
sostenuto da Ds e comunisti. E pure Prodi è in grande
angoscia: mesi fa, quando disse a una platea di Rifondazione
comunista di essere contrario al referendum, si prese una
salva di fischi. Perciò adesso si barcamena e rischia
addirittura la candidatura che dovrebbe essere sanzionata
con le primarie proprio nelle settimane del referendum.
Naturalmente la legge 40 non è affatto da
identificare con la “morale cattolica”, è infatti un
compromesso laico, del tutto diverso dalla morale insegnata
dalla Chiesa (che riguarda i credenti, non la legge dello
Stato), ma – sia pure su posizioni di compromesso – questa
legge accetta una minima difesa dei diritti del concepito e
i cattolici di tutti gli schieramenti politici su questo
sono uniti. Per questo il referendum potrebbe provocare un
terremoto politico.
C’è inoltre una “centralità cattolica” nel
cosiddetto “mercato elettorale”. La fotografava Renato
Mannheimer un anno fa attestando che “il segmento di mercato
decisivo per l’esito delle consultazioni (elettorali)” è
rappresentato proprio dalla collocazione centrista di una
parte del mondo cattolico, che è incerta fra centrodestra e
centrosinistra. E’ per questo fattore determinante che il
centrosinistra insiste a ricandidare Prodi.
Al di là di questi tecnicismi sociologici,
la sostanza è quella di un Paese che negli ultimi anni è
profondamente cambiato e che va in senso opposto a quello
indicato da questi referendum. La Sinistra non ha capito che
l’Italia non è più quella degli anni Settanta. Nemmeno sui
temi della vita e della famiglia. E che somiglia più agli
Stati Uniti di Bush che alla Francia e alla Spagna.
Già la ricerca Demos-Eurisko che
Repubblica – con molto imbarazzo – pubblicò due mesi fa dava
risultati stupefacenti: sia sulla sperimentazione sugli
embrioni, sia sulla fecondazione eterologa, sia sulle
adozioni per coppie omosessuali (e sulla loro parificazione
alla famiglia riconosciuta dalla Costituzione) e perfino sul
tema dell’aborto, a riconoscersi nelle posizioni del
referendum e della Sinistra era solo una minoranza.
Di fronte a questa fotografia dell’Italia
colpisce molto che anche il Corriere della Sera, come la
gran parte degli altri quotidiani, si sia apertamente e
ufficialmente schierato a favore dei referendum. Come se
fosse un partito. E così pure Repubblica e così faranno
quasi tutti. Curioso. Da un quotidiano laico ci si
aspetterebbe una posizione super partes, che rispetta la
libertà di coscienza di tutti. Ma evidentemente le élites
intellettuali che oggi dirigono i mass media si sono formate
nelle militanze ideologiche degli anni Settanta e credono
ancora che l’Italia sia quella.
Ma non è così. A dimostrare che il
sondaggio Demos-Eurisko e gli altri (che hanno dato
risultati analoghi) hanno colto un cambiamento vero e
profondo del Paese è appena arrivata una ricerca più vasta e
sistematica uscita dal Mulino: La sfida dei valori, di
Loredana Sciolla. Venerdì, La Stampa la presentava come una
clamorosa sorpresa: “Eccezione Italia”. Questo il titolo.
Perché eccezione? Perché – diceva il quotidiano della Fiat –
“siamo l’unico Stato democratico occidentale in cui
aumentano i ‘credenti praticanti’ perché siamo l’unico in
cui crescono i giovani che si definiscono tali”. Non solo.
“Le istituzioni perdono appeal in tutto il mondo, ma da noi
sale tanto la fiducia nei confronti del Parlamento, quanto
quella verso la Chiesa “.
Giornali e sociologi sembrano sconcertati
dal cambiamento etico italiano che va in controtendenza
rispetto all’Europa e parlano di inclinazione al
“dogmatismo” e al “tradizionalismo”. Ma – se permettono – il
loro sì che è dogmatismo. Loro sì che sono retrogradi. Per
la precisione applicano il vecchio dogma sociologico secondo
cui modernità è sinonimo automatico di secolarizzazione.
Questo primitivo pregiudizio della sociologia ottocentesca,
è già stato spazzato via da un’altra “eccezione”: quella
americana. La rinascita cristiana negli Stati Uniti negli
ultimi venti anni dà l’esempio di un’altra modernità
possibile e ben più vitale rispetto a quella nichilista e
secolarizzata di Francia e Spagna.
E va detto che la Sciolla nel suo libro lo
fa capire (“l’Italia e gli Stati Uniti sono i paesi più
vicini alla religione, mentre la Francia è di gran lungo il
più secolarizzato”). E parla di “controtendenza italiana
simile a quella americana” ovvero di “desecolarizzazione”.
Siamo l’unico paese, in Europa, dove dal 1981 al 1999
l’indice di fiducia nella Chiesa passa dal 57 al 67 per
cento e i valori tipici della mentalità laicista sono in
forte arretramento soprattutto nelle regioni del Nord,
quelle socialmente più avanzate.
Ma c’è un altro vecchio stereotipo che il
volume della Sciolla spazza via con la forza dei dati. E’
quello, risalente al Sismondi e rinnovato da alcune ricerche
anglosassoni fatte nell’Italia degli anni Cinquanta, secondo
cui il nostro era un Paese “asociale” e “amorale”, agli
ultimi posti per senso civico, fiducia nelle istituzioni e
senso di appartenenza nazionale.
Ebbene, non è più così. La cultura civica
del Paese non ha nulla da invidiare agli altri paesi
avanzati. Il pregiudizio anti-italiano del “familismo
amorale” non ha più fondamento alcuno.
Quella del volume della Sciolla è davvero
una fotografia eccezionale, che fa riflettere. Dove una
stupefacente crescita civile e culturale è andata di pari
passo non con la scristianizzazione nichilista, ma al
contrario, con una forte ripresa di religiosità: chi si
dichiara “non credente”, dal 1981 al 1999, diminuisce dal
12,1 per cento al 6,6 (ancora più forte la tendenza fra i
giovani tra i 18 e i 30 anni: “non credente” si definiva il
17,2 per cento nel 1981 e solo il 5,8 nel 1999).
Il problema è che questa sparuta minoranza
occupa però gran parte dei mass media dove si ha il compito
istituzionale di raffigurare quotidianamente l’Italia.
Inevitabile dunque per questi mass media rappresentare una
realtà che non c’è, se non nelle loro redazioni e nella loro
generazione. Questa vecchia classe dirigente ha il monopolio
della raffigurazione del Paese, ma non lo capisce. E’ troppo
chiedere uno sforzo di ascolto e di comprensione di questa
nuova Italia?(C) Il Giornale 16.1.2005