(il Giornale) I piccoli gridano giustizia al cospetto di Dio

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L’innocenza crocifissa


 


Nel palmo della mano di una bambina ferita della scuola di Beslan c’è un Crocifisso


Ancora una volta – come in ogni offesa all’Uomo, come in ogni strazio di bambino – accanto a chi soffre c’è il Protagonista della storia. Mostra, quella mano innocente, il Pegno del riscatto.


 


di Antonio Socci


Per una strana, ma conturbante coincidenza ieri La Repubblica apriva la prima pagina con questo titolo: “Blitz ceceno, 132 bambini in ostaggio”. Occhiello: “Angoscia in Ossezia, minato l’edificio”. E sotto si leggeva: “Così aiutiamo i bimbi a morire”. Solo che non erano i terroristi ceceni a fornire tale aiuto, no. Questo era il titolo di un’altra notizia, relativa alla sopravvenuta possibilità, in Olanda, di praticare l’eutanasia sui bambini sotto i 12 anni, cioè bambini non in grado di dare il loro consenso.


Voi forse sareste tentati di definirlo brutalmente un infanticidio, ovvero un assassinio di bambini, ma “non è la parola giusta” spiega a Repubblica il dottor Verhagen, il quale “sostituisce quella parola con terminare”. Dunque non dite che uccidono bambini: no, in quella clinica terminano la loro vita. Che fa una bella differenza (dicono). Che gentili. Infatti colpisce il sorriso. Chissà quale dentifricio hanno in uso. Qualche marchio potrebbe essere tentato di ambientare lì uno spot pubblicitario di dentifrici. Perché non fanno che sorridere, almeno per il giornalista. Il servizio di Repubblica comincia con questa descrizione: “Sorridono, sorridono tutti nella clinica della dolce morte bambina. Anche l’asino dipinto alla parete con un buffo cappellaccio da clown in testa. Sorride anche lui, il Dottor Dolcemorte, bello come un attore americano, alto e biondo”, il quale “riesce a sorridere anche quando parla di come fa ad ‘aiutare i bambini a terminare la vita’ ”.


 


Cos’abbiano da sorridere tutti in quell’inquietante palazzo non si sa, ma sorridono di continuo. E di certo il personale sanitario sottopone i muscoli facciali a un’intensa fatica se per tutto il giorno tutti – pure l’asino – continuano a sorridere. Sarà prevista un’indennità per un tale sforzo? Chissà. Forse sorrideranno anche quando somministrano “al piccolo paziente delle medicine per farlo morire”. Perché quando il cronista chiede: “ma se fossero figli suoi, lei avrebbe il coraggio di ammazzarli?”, il dottore qui “esita un attimo”, ma poi alla fine dice ovviamente di sì e – si badi bene, soprattutto – “senza smettere il sorriso”, come nota diligentemente l’intervistatore. La notazione è veramente preziosa: sorridono anche in quel caso. Ti chiedono se ammazzeresti i tuoi figli e tu, “senza perdere il sorriso”, rispondi di sì, certo, “se fossero veramente malati senza prospettive e soffrissero molto”. Non ti si vede affranto, non rispondi un sì sofferto, non appari straziato da un dramma lancinante. Dici di sì e sorridi, sempre, non fai che sorridere. Cosa vuole dire quel continuo sorridere? Bisognerebbe capirlo. Saranno di buonumore. A me mette i brividi, ma evidentemente vuol dire qualcosa. Che cosa?


 


Poi, certo, viene tutto il resto, poi vengono le polemiche. Anche durissime. Per esempio Avvenire ricorda crudamente che già nel III Reich fu detto: “dobbiamo garantire una morte pietosa ai pazienti considerati incurabili” e così “furono pietosamente uccisi, fra i molti, 5.000 bambini” (si può immaginare lo sdegno per questo accostamento). Poi viene il dottor D’Agostino, presidente del Comitato di bioetica, che condanna la decisione olandese perché “è una misura per giustificare la soppressione di vite che rappresentano un peso anche economico per la società e il sistema sanitario”. E che aggiunge: “la sofferenza va combattuta con la medicina e non con la morte”. (Si potrebbe aggiungere: combattuta con l’amore).


 


Poi vengono le considerazioni su un paese europeo che prima ha infranto, con una legge sull’eutanasia, la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e ora va perfino oltre quella legge sull’eutanasia, che non consentiva la soppressione di bambini. Cosicché il potere di vita e di morte, che è il potere supremo, non è sottoposto più neanche al vaglio democratico del parlamento (che pure non potrebbe arrogarsi quel potere). Ma tutte queste (pur sacrosante) polemiche, accantoniamole un attimo. Quello che colpisce è quanto sorridono in quella clinica per l’inviato di Repubblica. Ah, che civiltà superiore. Che modernità. E’ dunque questo che vogliono dimostrare: la superiore civiltà nordica, quella che si è liberata dai retaggi “oscurantisti” che dichiaravano sempre sacra e intangibile ogni vita umana.


 


Sulla prima pagina di Repubblica ieri il “caso” aveva voluto che fosse rappresentato proprio uno scontro di civiltà sui bambini: il titolo sui ceceni che prendono in ostaggio dei piccoli scolari rappresentava senza dubbio la barbarie, il Male. Ma quello che campeggiava sotto e diceva “Così aiutiamo i bimbi a morire”? Rappresenta la nostra superiore civiltà? Rappresenta il Bene? Tutto il problema è qua. Il terrorismo islamista (o anche non islamista) fa orrore per il suo disprezzo della vita, perfino della vita dei bambini. Ma noi? Noi Occidente? Noi che chiediamo (e giustamente) all’universo mondo il rispetto della vita umana e dei suoi sacrosanti diritti? Noi che gridiamo perfino “nessuno tocchi Caino” per salvare dalla pena di morte i colpevoli di gravissimi reati?


 


Quante sono le vite nascenti e innocenti spezzate in Occidente? Quante sono le vite (legalmente) strozzate di bimbi che nel seno delle loro madri già vivono, provano dolore, sorridono? Si parla di centinaia di migliaia. Anche più. Un Olocausto che nessuno si può sognare di giustificare come “morti pietose” e che noi cinicamente scarichiamo tutto sulle povere madri, che sono loro stesse delle vittime, le prime vittime, e che si porteranno quel dolore per tutta la vita dentro l’anima. Madri dolenti sulle cui carni si consuma lo strazio. Madri bisognose di perdono e di amore.


 


Ma i responsabili siamo noi. Bisogna cominciare a capirlo. Come insegnava Dostoevskij, bisogna imparare a sentirci responsabili di tutto il dolore del mondo. E specialmente dell’insopportabile afflizione dei bambini. A quel punto, da questo pulpito di dolore e di umiliazione, allora sì potremo veramente inorridire per un terrorismo che non ha pietà neanche dei bambini.


 


Il grande poema dell’Occidente, la Divina Commedia , è tutto teso fra due luoghi: l’abisso più cupo e profondo dell’inferno dove per eterna punizione dei malvagi risuona nell’aria il lamento dei bimbi che han sofferto a causa loro. E l’altissimo trono di Dio, nel Paradiso, che è circondato dall’allegria e dalla felicità – finalmente definitiva – di quei bambini accolti dal Creatore che ha asciugato le loro lacrime. Che voleva dire Dante?


 


Forse il più saggio giudizio su una civiltà passa proprio da quei volti di creature, da quegli occhi di fanciulli, dalle loro lacrime, dai loro sorrisi: una presenza che si sarebbe tentati di dire “divina” nelle nostre case. E chissà che quel Giorno, il Giudice non chiami proprio quei bambini a giudicarci, noi e la nostra civiltà.


 


Il Giornale  3/9/2004