il Foglio 27-6-2007
I giudici di Washington danno ragione a Bush e bocciano la tesi di chi vorrebbe impedire aiuti statali alle opere pie
Per la Corte suprema la religione è un fatto pubblico da favorire Washington. Se l’assalto laicista alla Casa Bianca è fallito,
George W. Bush deve ringraziare i giudici della Corte suprema,
e in particolare quelli nominati da lui e dagli altri
presidenti repubblicani nell’ultimo ventennio. Con una sentenza
che per i critici è la morte (o almeno l’agonia) della laicità
dello stato e per i favorevoli rappresenta invece la libertà
di una nazione di riconoscere un ruolo pubblico alla
religione, i supremi giudici hanno scritto una nuova pagina
nei rapporti tra stato e chiese in America. La decisione, presa
a stretta maggioranza (5 voti a 4), riguardava la possibilità
– da parte dell’Amministrazione e delle agenzie governative
– di favorire il finanziamento di gruppi caritatevoli di
ispirazione religiosa. A contestare questa possibilità, con un
ricorso presentato nel 2004, era stato un gruppo agnostico
del Wisconsin, la Freedom From Religion Foundation. Secondo
i laicisti, l’attività dell’Office of Faith-Based and Community
Initiatives della Casa Bianca – che organizza seminari
aperti anche, ma non soltanto, a gruppi religiosi per istruire
i loro responsabili sulle opportunità e le modalità di finanziamento
pubblico del loro operato – era incostituzionale.
In particolare, l’Amministrazione Bush avrebbe violato il
primo emendamento alla Costituzione, quello che nel primo
comma sancisce la netta separazione tra stato e chiesa nell’Unione,
ma che in quelli seguenti specifica bene come l’obiettivo
dei padri costituenti americani fosse più che altro
salvaguardare la libertà religiosa di tutti i cittadini e l’autonomia
delle chiese libere. Il fronte laicista si faceva forte di
un precedente che consentiva ai contribuenti di fare causa
allo stato per le leggi approvate dal Congresso che favorissero,
in qualche modo, il finanziamento pubblico di organizzazioni
religiose. Un precedente che non contemplava, però,
il diritto di citare in giudizio lo stato anche per singole iniziative
del potere esecutivo. E’ grazie a questa sottile distinzione
formale che i giudici hanno chiarito, nella sostanza,
come non sia affatto da condannare la presenza della religione,
e addirittura il suo indiretto finanziamento, nella vita
pubblica americana. Sam Alito, nominato due anni fa da
Bush, è stato l’estensore della sentenza, approvata a maggioranza
dai giudici dell’ala conservatrice, formata dal numero
uno della Corte, John Roberts (altro magistrato voluto dall’attuale
presidente), e da Anthony Kennedy, Antonin Scalia
e Clarence Thomas. Tra questi, i primi due vennero indicati
dall’Amministrazione Reagan, l’altro da Bush padre.
Nella sostanza, il pronunciamento della Corte suprema
riconosce la legittimità di una collaborazione più stretta tra
governo e organizzazioni confessionali nell’offerta di servizi
pubblici di natura non religiosa, come la gestione di consultori
per le tossicodipendenze, mense caritatevoli e rifugi
per i senzatetto. Tutte attività che da sempre sono gestite
anche, se non principalmente, da associazioni a vocazione
religiosa, come l’Esercito della salvezza. Bush ha commentato
con favore la sentenza, sottolineando come le vere vincitrici
fossero “le migliaia di associazioni no profit a vocazione
religiosa che in tutto il paese hanno collaborato con i
vari livelli di governo per mettersi al servizio delle loro comunità”.
Un servizio pubblico, hanno ricordato dalla Casa
Bianca, che nulla ha a che vedere con la propaganda religiosa:
“Durante i seminari organizzati dal nostro ufficio – ha
spiegato il direttore dell’agenzia, Jay Hein – spiegavamo anche
ai gruppi di natura confessionale come evitare di promuovere
il loro credo con l’ausilio dei fondi pubblici, rispettando
così la lettera del primo emendamento”.
Secondo Jay Sekulow, presidente dell’American Center
for Law and Justice, la sentenza della Corte suprema non si
limita a garantire la partecipazione delle opere pie all’erogazione
dei servizi pubblici, ma “elimina tutta una serie di
cause intentate contro lo stato” con l’accusa di lesa laicità.
Il verdetto che porta la firma del giudice Sam Alito diventerà
il precedente che, d’ora in avanti, neutralizzerà tutti i
tentativi di escludere la religione dalla vita pubblica americana.
Anche quelli contro la preghiera che precede il giuramento
presidenziale di inizio mandato.