Nazionalismo laico e fondamentalismo religioso nel DNA di Hamas
La presenza di un minaccioso convitato di pietra grava sul
tavolo intorno al quale si discute la road map per la pace
in Medio Oriente.
E’ un movimento di massa che per statuto si propone
“d’innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato
della terra di Palestina” e non contempla altra soluzione
al di fuori della guerra santa.
Si tratta di Hamas, gruppo iniziatore degli attentati suicidi
contro Israele e “maggiore beneficiario dell’Intifada
al-Aqsa”.
Con questa organizzazione, guidata dallo sceicco paraplegico
Ahmad Ismail Yasin, bisognerà in qualche modo fare i conti.
Ne è convinto il direttore del Cesnur (Centro studi sulle
nuove religioni) Massimo Introvigne, sociologo esperto di
sette e fondamentalismi, che ha dedicato all’argomento un
libro di notevole interesse, intitolato appunto “Hamas”
(Edizioni Elledici).
“Con la scelta di Abu Mazen come interlocutore – osserva lo
studioso – l’America e Israele cercano di tagliare fuori i
fondamentalisti. Vedono il premier palestinese come una
sorta di poliziotto laico, capace di riorganizzare le forze
di sicurezza dell’Anp e di farla finita con il radicalismo
islamico. Temo però (e spero di sbagliarmi) che non sia una
ipotesi praticabile, perché Hamas e gli altri movimenti del
genere, ancora più estremisti, hanno nei territori occupati
una presenza molto forte, difficile da sradicare. E ora
punteranno su un’intensificazione delle azioni
terroristiche”.
Il pessimismo di Introvigne trova conferma negli ultimi
fatti sanguinosi.
Che si può fare allora per fermare la spirale delle
stragi?
“Mi sembra più realistica la strategia suggerita da alcuni
esperti israeliani di antiterrorismo, consistente nel
fomentare frizioni all’interno dello schieramento
fondamentalista, in modo da provocare una scissione tra la
componente dedita alla violenza cieca e quella disposta a
entrare nel gioco istituzionale. Lo si è fatto per esempio
in Giordania, dove una parte rilevante delle forze islamiste
ha ripudiato le posizioni estreme e partecipa pacificamente
alla vita politica”.
Intanto i movimenti terroristici di matrice religiosa paiono
aver raggiunto un’intesa con le brigate dei martiri di
al-Aqsa, legate ad al-Fatah, per la prosecuzione dell’Intifada.
Introvigne non si stupisce: il suo libro evidenzia infatti che
nel mondo palestinese nazionalismo laico e fondamentalismo
religioso hanno origini comuni. E non sempre lo sceicco Yasin
si è caratterizzato come leader oltranzista rispetto ai
“moderati” dell’Olp:
“Negli anni Cinquanta, all’epoca della loro formazione politica,
molti futuri dirigenti di al-Fatah aderivano ai Fratelli
musulmani, cioè l’organizzazione capostipite di Hamas. Tra loro
spiccava Khalil al-Wazir, più noto come Abu Jihad, che sarebbe
stato eliminato dagli israeliani nel 1988.
Fu proprio lui a presentare nel 1957 un memorandum in cui
proponeva di dare priorità alla lotta armata. Alla sua linea
radicale si contrappose il neotradizionalista Yasin, fautore
di un’islamizzazione progressiva della società attraverso lo
sviluppo di attività religiose, culturali, assistenziali ed
economiche.
Ne seguì una spaccatura, che indusse Al-Wazir e i suoi seguaci
ad abbandonare i Fratelli musulmani e a fondare al-Fatah, nel
1959, insieme ad Arafat.
Con il tempo però le posizioni si sono invertite.
Abu Jihad aveva rotto con Yasin perché lo sceicco non riteneva
maturi i tempi per l’opzione militare.
Trent’anni dopo i fondamentalisti scelgono lo scontro frontale
con Israele, creando Hamas e poi il suo braccio armato, le
brigate Izz al-Din al-Qassam, mentre i nazionalisti laici, con
gli accordi di Oslo, si mostrano disposti al compromesso con
Israele”.
Oggi le carte si sono nuovamente rimescolate, ma Hamas continua
a ostentare la massima intransigenza. Il suo istruttivo statuto,
opportunamente tradotto in appendice al libro di Introvigne,
definisce l’intera Palestina, dal Giordano al mare, “terra
islamica affidata alle generazioni dell’Islam fino al giorno del
giudizio” e bolla ogni trattativa come “un mezzo per imporre il
potere dei miscredenti sul territorio dei musulmani”.
Il concetto stesso di pace con Israele è estraneo a una simile
mentalità .
“Su questo non c’è dubbio, ma Yasin – precisa Introvigne – ha
parlato della possibilità di una tregua ventennale con lo Stato
ebraico. Se si riuscisse a spaccare Hamas, che già oggi non è
un’entità monolitica, ma comprende correnti di orientamento
assai diverso, forse su un versante di tale frattura potrebbero
coagularsi forze disposte a negoziare su una base del genere.
D’altronde se gli israeliani lasciano in libertà Yasin, mentre
potrebbero arrestarlo senza problemi, è probabilmente perché
sono convinti che svolga una certa funzione moderatrice”.
Tuttavia una semplice tregua risolverebbe poco, visto che le
ostilità sarebbero comunque destinate a riprendere.
“Non necessariamente – risponde il sociologo – in quanto una
soluzione provvisoria di lunga durata tenderebbe a stabilizzarsi.
La storia dell’Islam è piena di tregue che poi sono diventate
permanenti. Io credo che Hamas si stia ponendo il problema di
come utilizzare il vasto seguito di cui dispone, secondo la
rivista Jerusalem Report valutabile intorno al 40-50 per cento
dei consensi, per diventare forza di governo in un futuro Stato
palestinese. Ciò non è possibile finché mantiene una prevalente
connotazione terroristica, inaccettabile non solo per gli Usa
e Israele, ma anche per i paesi arabi vicini.
Intorno al mondo delle moschee c’è una borghesia palestinese di
forti sentimenti religiosi, da cui Hamas trae i suoi dirigenti,
che potrebbe scegliere di separarsi dai settori più fanatici,
destinati in tal caso a confluire nel Jihad islamico e in altri
gruppi irriducibili”.
E’ anche vero però, e Introvigne lo sottolinea, che gli stessi
kamikaze, al di là degli stereotipi sulla disperazione come
origine del terrorismo, sono spesso persone istruite, provenienti
da famiglie benestanti:
“Nulla di nuovo sotto il sole. Anche le Brigate rosse non
reclutavano i loro adepti tra i disoccupati delle regioni povere.
In realtà i diseredati palestinesi hanno come prima preoccupazione
quella di uscire dalla miseria, mentre tra i figli dell’élite si
trovano più facilmente elementi propensi a immolarsi in nome di
un’ideologia di origine sciita, mutuata dall’Iran khomeinista e
dagli hezbollah libanesi, che non considera le azioni dei kamikaze
forme di suicidio, in quanto tale vietato dal Corano, ma atti di
guerra e martirio”.
Si tratta inoltre di un’ideologia nella quale l’antisemitismo
occupa un posto di primo piano. Lo statuto di Hamas presenta il
sionismo come espressione di un complotto mondiale e cita
esplicitamente i “Protocolli dei savi di Sion”.
Ma su questo i fondamentalisti islamici sono in buona compagnia,
perché, precisa Introvigne,
“storicamente il vettore della letteratura antisemita nel mondo
arabo è stato il nazionalismo laico.
Tuttora il governo siriano è una grande stamperia di materiale
paranazista e lo stesso Abu Mazen ha sostenuto in passato tesi
cosiddette revisioniste sulla Shoah.
Movimenti come Hamas hanno operato una sorta di sintesi tra
l’ispirazione di alcuni passi antigiudaici contenuti negli hadith,
le massime di Maometto distinte dal Corano, e l’antisemitismo su
base razziale di matrice europea”.
Forse un certo fondo antigiudaico spiega come mai la gerarchia
cattolica in Terrasanta abbia sposato in pieno la causa palestinese
(il caso più clamoroso è monsignor Capucci), sottovalutando il
pericolo costituito dal fondamentalismo islamico.
Non è stata una scelta miope?
“In effetti diversi dati empirici – osserva Introvigne – indicano
che il consenso dei cattolici palestinesi verso le posizioni più
nettamente antisraeliane sta diminuendo, anche perché l’ascesa di
Hamas suscita forti timori tra i cristiani.
A mio avviso oggi solo una minoranza si riconosce
nell’impostazione di Capucci, che giudico insostenibile.
Ma credo che anche le autorità israeliane, trattando spesso i
cattolici come un corpo estraneo, abbiano contribuito ad alimentare
la spirale della diffidenza reciproca”.
Antonio Carloti
(C) “Il Foglio”, 11 giugno 2003
Per approfondire:
Massimo Introvigne,
“Hamas. Fondamentalismo islamico e terrorismo suicida in Palestina”
Elledici, Leumann (Torino) 2003