IL SECOLO NON PUÒ ESSERE SECOLARISTA
Così
l’ha spiegato ai congressmen il nuovo presidente dei vescovi americani
di Francis George
il Foglio 22-11-2007
Alexis de Tocqueville si chiedeva se la
tutela dei diritti umani potesse venir
meno a causa dell’erosione, da parte della
democrazia stessa, delle fonti che hanno dato
basi sicure a questi diritti nella società:
la disciplina delle virtù e delle convinzioni
religiose. Tocqueville collegava democrazia
e secolarizzazione, poiché sentiva che la
democrazia,
col tempo, avrebbe incoraggiato i
cittadini a “rifiutare qualsiasi cosa che non
potessero comprendere” e avrebbe spinto
la gente verso “un’avversione quasi assoluta
per il sovrannaturale”. Per contro, Giovanni
Paolo II, ammettendo il riconoscimento
tardivo da parte della chiesa cattolica
delle reali possibilità del sistema democratico,
con la sua esperienza dei regimi nazista
e comunista in Polonia arrivò a credere
che la pacifica scelta e la sostituzione dei
governanti da parte dei cittadini proteggesse
il popolo dal “governo di gruppi ristretti”
e innalzasse la dignità umana attraverso la
partecipazione alle scelte politiche. Giovanni
Paolo II, comunque, si ispirava a elementi
delle teorie di Tocqueville sottolineando
l’effetto corrosivo dell’approvazione
di cattive leggi sugli ideali democratici.
Esse inducono nella popolazione modi di
pensare ostili anche nei confronti di diritti
costituzionalmente protetti. Se una società
democratica arriva a credere, per esempio,
che l’agnosticismo e il relativismo morale
siano necessari per la conservazione della
pace sociale, la verità diventa nemica della
libertà e la libertà stessa è ridotta
all’autonomia
individuale.
La democrazia è basata su qualcosa di
più che sulle pure procedure legali: ha bisogno
di una visione condivisa. Giovanni
Paolo II costruì la sua visione del liberalismo
sulla sua capacità positiva di proteggere
le libertà, includendo la libertà della
chiesa di perseguire la sua missione nel
mondo, ma anche la libertà per tutti di favorire
il bene comune, con un’attenzione ai
più poveri, attraverso la libertà di associazione
e di parola. Il Papa era cautamente fiducioso
nell’attenzione del liberalismo alla
dignità della persona, un precetto normativo
con fondamento religioso.
Fede e identità plurali
Come abbiamo appreso dall’11 settembre
2001, vi sono oggi nel mondo alcuni potentissimi
nemici del nostro senso della democrazia.
Coloro che apprezzano ciò che la democrazia
moderna ha significato nel passato,
devono però essere anche tra i più preoccupati
di ciò che potrebbe accaderle nel
presente e nel futuro. Il riconoscimento da
parte nostra del fatto che la democrazia non
abbia seri rivali oggi, in quanto filosofia e
forma di governo degli uomini, non ci impedisce
di riflettere in modo critico su di essa,
sia in teoria sia in pratica. In questo seguiamo
la tradizione americana, iniziata con la
Dichiarazione di Indipendenza, della ricerca
di una più perfetta unione, poiché la perfezione
del presente era evidentemente
considerata dai Padri fondatori come il minimo
a cui dovremmo tendere.
Negli Stati Uniti, a mio avviso il pericolo
principale per le libertà democratiche non
viene dalla religione, ma dal secolarismo
filosofico.
Prima di intraprendere questa linea
di ragionamento, comunque, credo che
dobbiamo riconoscere che le religioni stesse
sono state causa di secolarizzazione della
vita pubblica in America. Gli ebrei spesso
hanno guidato questo processo di secolarizzazione,
poiché ritenevano che fosse il
modo migliore di garantire che un individuo
non dovesse necessariamente essere
cristiano per essere americano. In modo
analogo, i cattolici hanno contribuito alla
secolarizzazione in vari modi, per essere sicuri
che un individuo non dovesse essere
protestante per essere americano. Ma poiché
siamo stati tutti sostanzialmente uniti
nel rispetto per la democrazia in America,
abbiamo per la maggior parte della nostra
storia coltivato fino a tempi piuttosto recenti
un moderato pluralismo nella vita pubblica.
Ora, tuttavia, sembra sia in atto uno
scontro che vede da un lato l’affermazione
di un pluralismo civico che mette d’accordo
le fedi religiose della gran parte degli
americani,
dall’altro un secolarismo aggressivo
che sembra piuttosto deciso a eliminare
dalla vita civica o intellettuale qualsiasi
idea, discorso o azione che siano motivati
dalla religione.
Qualcuno ha recentemente affermato che
il pluralismo, per sua stessa natura, esige il
secolarismo. Non sembra esserci alcuna ragione
logica per cui il rispetto per le fedi di
più di 250 milioni di americani, il 90 per
cento dei quali si dichiara religioso, richieda
di evitare l’espressione pubblica della
religione, anche nella discussione di fatti
politici che abbiano un fondamento o delle
implicazioni morali. E’ naturalmente vero
che la politica non è un’attività religiosa.
Crediamo, ad esempio, che tutti gli esseri
umani siano fatti a immagine di Dio, ma ciò
non ci fornisce una risposta automatica sul
sistema sanitario nazionale. Le nostre tradizioni
religiose devono riconoscere che alcune
cose vanno al di là della loro competenza.
Ma allo stesso tempo, una società secolare
deve sobriamente riconoscere di esistere
al di sotto di Dio: ferma nel ritenere
che le verità fondamentali, molte delle quali
di natura religiosa, sostengono la sua stessa
esistenza; prudente nel definire il bene
che può e non può essere compiuto in determinate
circostanze.
Il pericolo per la libertà oggi si presenta
nel momento in cui il saeculum, cioè il mondo
pubblico che i cristiani, gli ebrei, i musulmani,
gli agnostici, gli atei e altri abitano
durante la loro vita sulla Terra, viene
amministrato
secondo un rigido secolarismo.
Se non possiamo essere d’accordo sulle nostre
fedi o i nostri dubbi, come viene spesso
detto, li emarginiamo dalle nostre decisioni
su come dobbiamo vivere le nostre vite pubbliche
insieme. Questa apparente neutralità
non è affatto tale. La sua moderna rivendicazione
di unica filosofia pubblica dell’America
è stata probabilmente il fattore centrale
nella nascita di ciò a cui ci si riferisce
talvolta con l’espressione “diritto religioso”,
in reazione non alla neutralità, ma a
ciò che si percepiva come una tendenza
antireligiosa
che conduceva al tentativo generale
di eliminare la religione dal dialogo
pubblico. Un simile risultato è molto improbabile
in America; persino settant’anni
di ateismo ufficiale sostenuto dai gulag non
hanno eliminato tutti i credenti nell’ex
Unione Sovietica. Come ha detto Leszek
Kolakowski: “Il bisogno di religione non
può essere bandito dalla cultura per opera
dell’incantesimo razionalista. L’uomo non
vive di sola ragione”. Lungi dall’essere lo
spazio universalmente riconosciuto come
neutrale che un tempo si pensava che fosse,
il secolarismo ha incrementato alcuni
dei dibattiti più accesi, imponendo temi come
il matrimonio omosessuale e l’aborto in
una società che non sarebbe arrivata a loro
per scelta democratica. Parliamo spesso di
tendenza alle divisioni nella cultura e alcuni
amano trovarla nei punti di vista religiosi.
Ma il secolarismo è stato altrettanta
causa di divisione, e forse anche più di
qualsiasi altra opinione attuale. In sostanza,
come si conviene a un movimento che
abbraccia tante visioni controverse quante
qualsiasi altra ideologia, il secolarismo oggi
non può essere pensato come uno spazio
di riconciliazione in una cultura divisa.
Giovanni Paolo II, il grande Papa della
lotta moderna contro il totalitarismo, ammoniva
nella sua enciclica del 1993 “Veritatis
splendor”: “Dopo la caduta, in molti paesi,
delle ideologie che legavano la politica a
una concezione totalitaria del mondo – e
prima fra esse il marxismo – si profila oggi
un rischio non meno grave per la negazione
dei fondamentali diritti della persona umana
e per il riassorbimento nella politica della
stessa domanda religiosa che abita nel
cuore di ogni essere umano: è il rischio
dell’alleanza
fra democrazia e relativismo etico,
che toglie alla convivenza civile ogni sicuro
punto di riferimento morale e la priva,
più radicalmente, del riconoscimento della
verità. Infatti, se non esiste nessuna verità
ultima la quale guida e orienta l’azione politica,
allora le idee e le convinzioni possono
esser facilmente strumentalizzate per fini
di potere. Una democrazia senza valori si
converte facilmente in un totalitarismo
aperto oppure subdolo, come dimostra la
storia”. Il pluralismo deve significare che
tutti gli individui e i gruppi sono benvenuti
a partecipare al dibattito pubblico, religioso
e non. Ma cosa protegge le fondamenta di
questo pluralismo legittimo? Oggi si evidenziano
tre candidate: la stessa religione,
la filosofia laica e la teoria scientifica.
Religione, filosofia, scienza
I fondatori dell’esperimento costituzionale
americano pensavano che la religione
giocasse un ruolo cruciale nella protezione
del pluralismo. Il “Discorso di commiato” di
George Washington affermava: “Di tutte le
tendenze e le abitudini che portano alla
prosperità politica, la religione e la moralità
sono supporti indispensabili […]. Lasciate
che ci abbandoniamo cautamente alla
supposizione che la moralità possa essere
mantenuta senza la religione. Per quanto
possa essere concesso all’influenza di
un’educazione raffinata su menti di struttura
particolare, la ragione e l’esperienza ci
proibiscono entrambe di pretendere che la
moralità nazionale possa prevalere in assenza
del principio religioso”. Washington
evidentemente diffidava della mera speculazione
in politica, credendo che la religione
fosse una fonte di “virtù popolare” e che
senza “moralità nazionale” un sistema libero
non sarebbe potuto sopravvivere. Thomas
Jefferson, considerato meno favorevole
nei confronti della fede religiosa rispetto
a Washington, si batté comunque per la separazione
costituzionale di chiesa e stato;
ma scrisse anche nelle sue “Note sullo stato
della Virginia”: “Possono essere ritenute
sicure le libertà di una nazione se abbiamo
rimosso la loro unica base salda, la convinzione
nelle menti della gente che queste libertà
sono dono di Dio? Che non vengono
violate se non per la sua collera?”.
Uno stato moderno non deve e non può
essere neutrale tra la fede e l’assenza di fede.
Lo scopo principale della religione, naturalmente,
non è quello di proteggere la
democrazia o qualsiasi altro ordinamento
civile, ma la fede fornisce prospettive basilari
e virtù umane che un semplice ordine
laico non può generare dal suo interno. Dire
questo significa non auspicare né la teocrazia
né l’allontanamento degli atei dalla
vita pubblica. Significa rimanere saldi nella
visione americana originale e realistica
della democrazia.
Certo, sono stati fatti sforzi notevoli per
affrontare il problema della mancanza di
fondamenti civili senza un radicamento nella
religione. La più insigne di queste opinioni
si trova in “Una teoria della giustizia”
di John Rawls. Un’opera che semplicemente
bandisce ogni possibile fondamento: tutti
agiamo come dietro un “velo di ignoranza”
nel decidere quali sono le regole della
vita pubblica. Rawls stesso comprese che il
suo libro presumeva che le persone “dietro
il velo” agissero secondo principi liberali, il
che significa che avrebbero posto come base
la tolleranza per stili di vita differenti.
Nel 1993, Rawls pubblicò il saggio “Liberalismo
politico”, nel quale evidenziava i problemi
della sua teoria precedente, non ultimo
il fatto che gli americani non sono liberali
dal punto di vista filosofico e lo sono diventati
sempre meno nell’ultimo quarto del
XX secolo. Con questo libro Rawls cercò di
incoraggiare gli americani ad accorgersi
che, in una società pluralistica, tutti hanno
interesse a non rendere universali e definitive
le regole della vita politica. In fin dei
conti, Rawls e molti teorici minori sembrano
alla ricerca di modalità con le quali l’ordine
laico possa mantenere i diritti appena
affermati riguardo all’aborto e all’omosessualità,
senza dare l’idea di contraddire la
loro stessa apertura a tutte le forme di
razionalità
e di ricadere quindi in un liberalismo
sotto le sembianze della neutralità.
Il laico che cerca di escludere la religione
dalla vita pubblica si scontra con il fatto
che, una volta che si permette veramente alle
voci di molte persone di essere udite, esse
esprimeranno un parere assolutamente
non slegato dalla religione perché la razza
umana è decisamente religiosa. Non solo si
escluderebbero dalla conversazione pubblica
Abramo, Mosè, Davide, Giuda Maccabeo,
Gesù, Pietro, Paolo, Agostino, Tommaso
d’Aquino, Maimonide, Dante, Lutero,
Erasmo, Calvino, Tommaso Moro, Ignazio di
Loyola,
Pascal, Coleridge, Chateaubriand,
Mauriac,
Pasteur, Schweitzer, Graham Greene,
Einstein, Martin Luther King e molti altri
grandi intellettuali della tradizione giudaico-
cristiana, ma anche Talete, Eraclito,
Platone, Aristotele, Virgilio, Maometto e un
gran numero di figure non bibliche e non
occidentali. Qualsiasi tradizione intellettuale
che non ammettesse tali voci all’interno
della discussione sarebbe limitata, e
qualsiasi regime politico che le escludesse
non potrebbe essere definito pluralista. Si
tratterebbe di un secolarismo che tenta di
ingoiare tutto o di ignorare tutti al di fuori
della propria sfera ristretta.
Come accennavo, oggi un terzo fondamento
per un corretto ordine laico viene ricercato
in teorie materialistiche che cercano
un supporto nella scienza. Il biologo
neodarwinista
britannico Richard Dawkins ha
detto pubblicamente: “Io credo, ma non
posso provare, che tutta la vita, tutta
l’intelligenza,
tutta la creatività e tutto il ‘progetto’
ovunque nell’universo, sia il prodotto diretto
o indiretto della selezione naturale
darwiniana”. Questa professione di fede dimostra
in modo ammirevole che il razionalismo
scientifico non è così inconfutabile
come alcune persone una volta pensavano
e mette Dawkins e altri come lui tra i “credenti”,
anche se di un tipo particolare. Queste
persone faziose pensano che dovrebbero
essere in grado di imporci le loro opinioni
attraverso le scuole e altri strumenti dello
stato. Egli ha asserito che crescere i bambini
in un contesto familiare religioso è una
forma di abuso infantile, che Mosè era come
Hitler e che il Nuovo Testamento sposa il
sadomasochismo.
Tuttavia Dawkins non è totalmente pronto
ad accettare persino le sue stesse argomentazioni.
Sembra inutilmente furioso
contro le persone religiose che, nel suo sistema,
sono solo i prodotti necessari di forze
cieche della natura. Ma perché gli esseri
umani mostrano una disposizione quasi totale
a credere a qualcosa che il neodarwinismo
considera irreale? Perché una falsa
immagine del mondo aiuta le nostre possibilità
di sopravvivenza? Alcuni scienziati
hanno affermato semplicemente che ci deve
essere nella fede un certo valore adattivo,
evolutivo che è ben radicato nei nostri
cervelli e può persino originare da un “gene
Dio”. Forse è così, ma come tutti gli altri
geni che ci consentono la comprensione
della scienza e della matematica, il “gene
Dio” da solo non può dirci se i suoi prodotti
sono reali o falsi, domanda questa che, tra
le innumerevoli creature nella vastità del
cosmo, è posta solo dagli esseri umani. Forse
la rabbia di Dawkins e il nostro fallimento
nel conformarci alle severe categorie
scientifiche sono entrambi sintomi della necessità
di una scienza più neutrale.
L’antidoto alla religione civile
Sebbene il secolarismo non sia automaticamente
chiamato in causa dal pluralismo,
potrebbe esserci qualcosa di insito nella natura
umana che inesorabilmente conduce
individui e masse alla ricerca della libertà
moderna ad abbracciare il secolarismo e
l’individualismo radicale? Per avere risposta,
sarebbe meglio guardare alla storia e
alle scienze sociali piuttosto che alla fisica
e alla biologia. In fin dei conti, almeno per
il credente, gli esseri umani sono liberi e
aperti alle energie che, come la storia mostra
ripetutamente, non sono state e non
possono essere previste. Le prospettive per
la religione nelle società postmoderne potrebbero
sembrare sfavorevoli. Tuttavia,
non c’è ragione per cui gli impulsi religiosi
che sembrano essere, persino ai neurologi,
profondamente radicati in noi non potrebbero
trovare nuovi modi di esprimersi pubblicamente.
Perché il secolarismo riesca a
impedirlo, occorrerebbe che producesse
qualcosa di simile a un cambiamento nella
natura umana, un uomo nuovo. Il socialismo
scientifico non riuscì in questo intento
nonostante
i mezzi piuttosto potenti a sua disposizione,
e credo che nemmeno il “secolarismo
scientifico” ci riuscirà.
La religione civile americana è stata discussa
a fondo. Il confine tra la religiosa devozione
alla patria e la sostituzione della religione
con lo stato è sottile, e argomento
difficile da affrontare. Ma come la religione
storica può essere ed è stata cooptata da
uno stato per i suoi scopi, allo stesso modo
può essere sostituita dalla devozione verso
la nazione stessa, quando un fine nazionale
assume il carattere di una missione religiosa.
I simboli della nazione possono facilmente
passare dal richiedere il nostro rispetto
e persino il nostro affetto al pretendere
la nostra lealtà totale. Ma una nazione
non è mai una chiesa, tanto meno un oggetto
di culto. Solo il profano dominerebbe il
laico se il laico dominasse il sacro.
Si può affermare che l’uomo il quale, nel
tentativo di salvare l’unità come dovere sacro,
fece molto per fondare la religione civile
americana, è la stessa persona che ci
ha fornito l’antidoto per la religione civile.
Nel suo secondo “Discorso inaugurale”,
scritto sui muri del Lincoln’s Memorial a
Washington, Abramo Lincoln si trovò alle
prese con le fattezze di un Dio storico. Il
Dio di Lincoln non era un principio deistico,
limitato a dettarci diritti e doveri, il Dio
della natura, il Dio di alcuni dei Padri
fondatori.
Il Dio di Lincoln, almeno fino alla
fine della guerra civile, era chiaramente
un Dio previdente, e il nostro dovere era di
leggere le sue intenzioni nella storia umana
senza cooptarlo per i nostri scopi. Dopo
aver ripercorso la tragedia del sangue che
era stato sparso da entrambi i fronti nel
corso di quel fratricidio che fu la guerra civile,
Lincoln disse: “Le preghiere di entrambi
non poterono essere esaudite; a
quella di nessuno è stata data piena risposta.
L’Onnipotente ha il suo proprio disegno
[…]. Speriamo ardentemente, preghiamo
ferventemente, che questa enorme calamità
di guerra possa finire presto. Tuttavia,
se Dio vuole che questo continui, finché
tutto il benessere accumulato dagli
schiavi in duecentocinquanta anni di fatiche
non ripagate verrà distrutto, e finché
ogni goccia di sangue strappata dalla frusta
sarà pagata da un’altra strappata dalla
spada, come fu detto tremila anni fa, così
deve essere detto: ‘I giudizi del Signore sono
tutti veri e giusti’”.
In un’altra occasione, Lincoln chiamò gli
americani “un popolo quasi eletto”, ma non
vi è spazio nella sua finale interpretazione
dei doveri degli americani per l’autoapprovazione
o l’autoincensazione. Anche se lottò
contro gli orrori della guerra, Lincoln credeva
che Dio avesse un suo progetto per il
mondo, spesso non compreso e a volte antitetico
al nostro. Il problema del male rimane
irrisolto, e questo vero e proprio enigma
ci mette in guardia contro schemi laicistici.
Questa è forse l’estrema salvaguardia contro
una religione puramente civile come
forma di secolarizzazione. Nel lungo termine,
ogni tentativo di ridurre la complessità
delle relazioni tra il sacro e il profano è
destinato
al fallimento, sebbene ognuno di
questi sforzi possa causare grande sofferenza
all’essere umano nel breve termine.
Ma sia nel breve che nel lungo termine, la
chiesa o la sinagoga, la moschea o il tempio
sono il luogo dove si va quando si vuole essere
legati a Colui che ha un legame con ciascun
uomo e con tutte le genti. La chiesa è
dove si va quando si vuole essere liberi.
Che tipo di democrazia porta al secolarismo?
La nostra democrazia, se riduce il regno
dell’umana libertà nel nome dei diritti
civili individuali. Che tipo di democrazia
protegge la libertà? La nostra democrazia,
se si limita ai suoi giusti fini, nella laicità e
non nel laicismo
FRANCIS EUGENE GEORGE è cardinale
e arcivescovo di Chicago, dove è nato
nel 1937. E’ stato nel 1997 segretario
speciale
all’Assemblea per l’America del Sinodo
dei vescovi. La settimana scorsa è diventato
presidente della Conferenza episcopale
degli Stati Uniti di cui è stato
vicepresidente
dal novembre 2004. Questo suo
discorso, pronunciato alla Biblioteca del
Congresso il 13 febbraio 2007, è stato
pubblicato
sul numero 3/2007 di Vita e Pensiero,
bimestrale dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano.