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Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro, Cattivi maestri. Inchiesta sui nemici della verità, Piemme 2009, pp. 192, ISBN-13: 9788838410703, euro 16.
Sconto su: http://www.theseuslibri.it/
Recensione di Francesco Natale e 1° capitolo del libro.
Gnocchi e Palmaro mettono a segno un altro centro perfetto con questo gustosissimo e originalissimo libro. Libro che si presenta come unacollatio di 30 schede, legate tra loro da un originale filo narrativo che si ispira al romanzo noir americano. Nelle 30 schede troveremo la «fedina penale», per così dire, delle 30 tipologie di cattivi maestri responsabili della morte dell\’«uomo moderno». Abbiamo così l\’«Archistar», ovvero l\’architetto di grido che non vede l\’ora di cementare ed inscatolare ogni residuo di tradizione architettonica o paesaggistica anche solo lontanamente legata alla Civiltà Cristiana, pur essendo a modo suo ecumenicamente devoto. Abbiamo il «Cattonotaio», ovvero l\’opposto, per certi versi del «Cattoprogressista» ma altrettanto dannoso, perché il suo conservatorismo si concretizza non tanto nella sana difesa delle sane tradizioni, quanto più nel far della Fede una sequenza infinita ed inutile (nella migliore delle ipotesi) di atti notori: parte in quarta a difesa della vita ma accetta il compromesso sulla Legge 40 in quanto «inevitabile». Ecco poi scendere in campo il «pauperista che veste Prada»: colui che continua a parlare della bellezza del deserto e del suo silenzio ma non rinuncia ad un vernissage o ad un talk show di grido. Poveri i giovani, quindi, che finiscono nelle mani del «catechista ridens», il quale per rendere – bontà sua – più interessante il Credo o il Pater Noster né remixa una versione rap o ragamuffin.
Per chi volesse poi salvare il pianeta da questo così volgare eccesso di antropizzazione, imperdibile l\’«ambientalista illuminato», ennesimo relitto del 1989 berlinese che pensa davvero di salvare il pianeta evitando di tirare lo sciacquone del WC o vivendo in perenne penombra perché l\’energia elettrica inquina (ed è prodotta dalle multinazionali, aggiungiamo noi). Colui che a Dio ha sostituito la raccolta differenziata e, come molti altri cattivi maestri ha la caratteristica di «indignarsi» ogni due per tre. Per chi volesse dimagrire senza spendere una fortuna dal dietologo, suggeriamo di aderire alla weltanschauung del «radicale libero», prontissimo a (laici) digiuni quaresimali ogni qual volta una tonaca «ingerisce» (leggi: esprime una legittima e talvolta doverosa opinione) nella politica italiana. Occhio al «predicatore incontinente» che ha due principali caratteristiche: non parla mai del Papa e appena dice qualcosa di pur vagamente ortodosso se ne scusa immediatamente. E\’ il principale responsabile dell\’epidemia di narcolessia che affligge innumerevoli parrocchie in tutto il globo. Doppiamente colpevole, poiché abusa di uno spazio unico è privilegiato: è il solo che possa, a pieno diritto, parlare per venti minuti ad una platea senza contraddittorio alcuno. E via via imparerete a conoscere e a difendervi dal «filosofo postmoderno», dal pericolosissimo «vaticanoterzista», dall\’insopportabile «scienziato in talare» e dal pessimo «semi-cristiano».
Ora, al di là della condivisibilità o meno dell\’approccio sicuramente ortodosso (ma mai pedante) degli autori, questo libro, nella sua scorrevolezza e nella sua felicità di contenuti, rappresenta davvero un formidabile vademecum per quanti desiderino smascherare e sbugiardare i tanti, tantissimi falsi profeti che animano televisione, patinate testate giornalistiche, sfilate e prime teatrali. E\’ un libro scritto di cuore e viscere, galvanizzato da una vis comica degna dell\’Asterix di Goscinny e Uderzo. E il grandissimo merito che và ai due autori è soprattutto quello di avere individuato nelle sue molteplici sfaccettature il Grande Nemico dei tempi moderni: la tiepidezza. L\’incapacità di osare, il costante timore che le proprie idee, nelle quali si dice di credere, possano sempre e comunque recare offesa a qualcuno, rendendo così ogni confronto potenzialmente gustoso e «futurista» una insulsa passeggiata sulle uova, un assolo (noiosissimo) di burocrazia dialettica. In questo senso appare evidente la valenza metapolitica dell\’opera, poiché, pur non parlando quasi mai apertamente di politica, Gnocchi e Palmaro individuano punto dopo punto i limiti e le lacune che affliggono troppo spesso il dibattito politico, sia sui temi cosiddetti «sensibili» che sulle bagatelle da consiglio comunale.
Cattivi Maestri susciterà un vespaio di polemiche e sarà sicuramente messo all\’indice, in particolare nell\’ambiente dei cosiddetti «cattolici adulti», o, meglio, secondo la vulgata degli autori, «adulterati». Della qual cosa non possiamo che compiacerci… come se ne compiaceranno gli autori. Niente male davvero, considerando che tutto si concentra in 252 pagine che leggerete in una notte o poco più… per poi tornare a rileggerne paragrafi o capitoli ogni volta che sarete colti dal sospetto (fondato) di aver incontrato sul vostro cammino un cattivo maestro.
CATTIVI MAESTRI
Inchiesta sui nemici della Verità
ALESSANDRO GNOCCHI & MARIO PALMARO
Istruzioni per l’uso
Guardatevi dai falsi profeti
che vengono a voi in veste di pecore,
ma dentro son lupi rapaci.
Dai loro frutti li riconoscerete.
(Mt 7, 15-16)
Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti
e faranno grandi portenti e miracoli,
così da indurre in errore,
se possibile, anche gli eletti.
(Mt 24, 24)
Eppure, ce l’avevano detto
Se prima d’ora nessuno ci avesse avvisato, questo libro sarebbe uno scoop da premio Pulitzer o, a scelta, un’autocertificazione per il ricovero in manicomio. Ma due millenni or sono, nel Vangelo, Gesù ci ha messi in guardia senza mezzi termini da falsi cristi, falsi profeti, lupi rapaci in veste di pecora che cercheranno di indurre in errore anche gli eletti: in quarantacinque parole ha descritto l’ostilità del mondo in cui il cristiano dovrà servire la Verità sino alla fine dei tempi. E sarebbe difficile sostenere il contrario, visti i frutti che cadono a terra giorno dopo giorno in questo giardino maleolente che si chiama mondo moderno. Dall’aborto all’eutanasia, dal pansessualismo alla corruzione, dallo sfascio della famiglia all’edonismo sono tutti frutti che crescono sulla pianta coltivata con amorevole cura dai Cattivi Maestri della modernità e concimata con la corruzione della fede e della dottrina cattoliche.
Anche per oggi, niente premi
Ci era stato detto. Dunque, non può sorprendere più di tanto se ora qualcuno si prende la briga di stilare un repertorio di questi falsi cristi, un inventario dei loro pensieri, una dispensa ragionata delle loro imprese. Non c’è proprio niente di straordinario, può farlo chiunque.
Basta un pizzico di spirito d’osservazione e un pizzico di senso critico, ingredienti di cui sono dotate tutte quelle persone di buon senso che faticano sempre di più a orizzontarsi nel mondo presente. Perciò, più che altro, quelle che seguono sono pagine di un diario buttate giù un po’ per sfogo e un po’ per trovare conforto tra persone assennate. Nulla di sensazionale, solo semplice, banalissima, normalissima cronaca. Insomma, niente Pulitzer, ma in compenso niente manicomio.
Sì, però, niente manicomio, ma in compenso niente Pulitzer.
Naturalmente, si dice Pulitzer tanto per dire, per parlare di qualche cosa di inarrivabile perché, con quello che s’è scritto in queste pagine, non si può puntare neanche all’ultimo premiolino vuoi della parrocchietta fuori mano vuoi dell’Arciqualsiasicosa. A meno di non incappare in qualche premiatore disposto a stilare per se stesso l’autocertificazione di cui sopra. E, per la verità, una volta è persino capitato. I due scriventi sono ancora a piede libero, il premiatore non sappiamo.
Due libri in uno
Ora, bisogna sapere che a queste considerazioni si è arrivati quando l’editore si è trovato sul tavolo il cosiddetto manoscritto. «Voi due non cambierete mai…»
Proprio così, «Voi due non cambierete mai…» con tre sconsolati ed eloquenti puntini di sospensione al termine della frase. E giù con una geremiade che ci ha strappato il cuore: la catena di librerie cattolicamente corretta che si rifiuta di vendere libri firmati Gnocchi & Palmaro, le altre librerie sparse ma non meno cattolicamente corrette che prendono a male parole gli incauti avventori che ne facciano richiesta, le parrocchie e i centri culturali cattolici che disdicono conferenze dei due autori e persino gli amici che si affrettano a spiegare ai medesimi che, insomma, un po’ va bene, ma quando si esagera, si esagera e poi bisogna stare attenti a fare i nomi. «Ma voi perché volete mettere nei guai proprio me?» ha concluso l’editore.
Come potevamo rispondergli che lo facciamo per amicizia?
È stato lì che abbiamo avuto l’idea, non diciamo brillante, ma sufficiente per uscire dall’imbarazzante situazione: «Allora facciamo un romanzo».
Avete mai provato a proporre un romanzo a un editore?
Se anche foste Alessandro Manzoni redivivo, la prima risposta sarebbe la stessa fornita a ogni aspirante romanziere dal giorno dell’invenzione della stampa a oggi: «La narrativa non funziona».
Però, il nostro editore ha commesso l’errore di esitare una frazione di secondo di troppo nel dirci che “la narrativa non funziona” e noi l’abbiamo preso per un sì. Chi tace acconsente: ci siamo alzati, gli abbiamo stretto la mano e ce ne siamo andati.
Terminato il romanzo, ci siamo ripresentati e abbiamo deposto il lavoro sulla sua scrivania.
Quella che segue è la semplice e asettica trascrizione del dialogo.
Editore: «E questo cosa sarebbe?».
Noi: «Un giallo».
E: «Ah… e come si intitola?».
N: «Cattivi Maestri».
E: «E di che cosa parla?».
N: «È un’inchiesta sui nemici della Verità».
E: «Inchiesta sui nemici della verità».
N: «Verità in maiuscolo».
E: «Va bene, Verità in maiuscolo. Quindi è la stessa solfa del saggio».
N: «Sì e no».
E: «E allora che cosa facciamo».
N: «L’editore è lei».
E: «Lei in maiuscolo».
N: «Va bene, Lei in maiuscolo, però adesso sono ugualmente affari suoi».
E: «Non solo. La firma ce la mettete voi».
N: «Be’, noi pensiamo che le due cose si possano integrare. Ogni capitolo del giallo può fare da introduzione a una delle sezioni del saggio. Senza contare che chi vuole può leggere solo il saggio oppure solo il giallo. Oltre tutto, in questo modo il lettore prende due libri al prezzo di uno».
E: «Due libri al prezzo di uno: sai che affare mi avete messo tra le mani…».
L’obiezione non era priva di senso, e abbiamo pensato bene di abbandonare l’ufficio lasciando i due manoscritti sulla scrivania. Poi abbiamo atteso con calma, fino a quando un corriere ci ha recapitato a casa le bozze: due libri in uno, doppio lavoro.
Per la verità, le nostre mogli, che continuano a essere una a testa, sono sempre le stesse e non mancano di un certo senso pratico, hanno aggiunto: doppie rogne. Ma si sa come sono le mogli.
Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro
Domenica 14 giugno 2009
Festa del Corpus Domini
Le inchieste dei fratelli Santommaso
Primo Capitolo
«È morto, siamo arrivati tardi» disse Ag Santommaso. Con noncuranza professionale aveva posato due dita sulla carotide del poveretto steso per terra e ne stava certificando il trapasso all’altro mondo. Un colpo di stiletto al cuore, brutta fine per il polacco.
Già perché il cadavere era quello del polacco, o cos’altro fosse, che aveva comperato gli stiletti di Levousé. Io ero sdraiato poco più in là, su un pavimento fetido, paralizzato dallo spavento e non ancora sicuro di averla scampata veramente. Non avevo un graffio, eppure ero certo che la morte mi avesse sfiorato. Eccome mi aveva sfiorato. La tigre aveva tentato di portarsi via la mia anima.
«Le è andata bene» biascicò sottovoce Mp. «Se avessimo tardato un minuto, sarebbe all’altro mondo a far compagnia a questo poveretto.»
«Poveretto un corno» risposi. «Questo signore, qualche giorno fa aveva comperato trenta stiletti d’oro. Non vi dice niente la cosa?»
«Lo sappiamo, glieli ha venduti Levousé.»
«Quindi ci siete andati anche voi.»
«Sì, prima di lei.»
«Ecco perché quel vecchio malefico sorrideva quando ho inventato la scusa dell’articolo per il giornale…»
«Ci vada piano coi giudizi, a volte gli uomini e le cose non sono ciò che sembrano.»
«Cosa vorrebbe dire?»
«Voglio dire che non è certo nella bottega di Levousé che troverà l’assassino.»
«E perché?»
«Perché la bottega di Levousé è il nostro ufficio.»
«E Levousé sarebbe il vostro capo?»
«Adesso non esageriamo» intervenne Ag. «A tutto c’è un limite. Diciamo che Levousé è una specie di segretario, di portinaio, di fattorino. Ma, soprattutto, è il miglior informatore che ci sia sulla piazza. Lei non ha idea di quante cose viene a sapere quell’ometto stando chiuso nella sua stamberga.»
«Ma l’odore selvatico che c’è là dentro…»
«Glielo diciamo sempre di non esagerare con il grasso di tigre nell’intruglio che bolle in continuazione sul fornello. Ma lui sostiene che fa bene per un sacco di cose. Ha tentato persino di farcelo assaggiare, ma abbiamo declinato. Comunque, vede bene che, anche per gli odori, bisogna fare attenzione. Bisogna avere naso.»
«Dunque, Levousé non c’entra.»
«Si metta tranquillo» riprese Mp. «Levousé sta con i buoni. Le concediamo che l’aspetto è piuttosto inquietante, ma, coi tempi che corrono, non si può fare tanto gli schizzinosi.»
«Però lui non è…»
«Non è…?»
«Lui non è… cattolico come voi.»
«Glielo abbiamo già detto che non sempre gli uomini sono ciò che sembrano. Levousé è cattolico, apostolico e romano.»
«Convertito?»
«Convertito e praticante.»
«Quindi è più a posto di me che a Messa ci vado ogni tanto.»
«Quindi è più a posto di lei che a Messa ci va ogni tanto. E nel suo lurido portafogli tiene un santino immacolato di san Massimiliano Kolbe. E in quello che lei magari scambia per un portamonete custodisce un rosario preziosissimo che ha pagato molto caro: il disprezzo della sua famiglia, quando ha deciso di farsi cattolico, apostolico e romano.»
E così, Levousé mi aveva fatto fesso due volte. Per di più, il polacco, o cos’altro fosse, era morto stecchito e adesso bisognava ricominciare da capo. Mi misi seduto per terra, mi grattai la pera e cominciai a pensare. Le mie povere rotelle dovevano fare un gran fracasso, perché i fratelli Santommaso si voltarono contemporaneamente per capire che cosa stessi elucubrando.
Be’, stavo pensando. Mica l’avranno avuta loro l’esclusiva della messa in moto della materia grigia.
«Se non è troppo spaventato» mi disse Ag «adesso può venire a caccia con noi. Però l’avvisiamo… la porteremo in un posto ben peggiore di questo, vedrà dei veri e propri mostri.»
Fui sul punto di rifiutare, ma mi seccava da matti far la figura dello smidollato davanti a quei due damerini.
«Va bene» dissi «basta che non ci sia la puzza irrespirabile che si sente qua dentro.»
«Niente paura, la porteremo nel salotto più esclusivo della città.»
Credo di non aver mai provato in vita mia soddisfazione più grande di quella sera. Avreste dovuto vedere la faccia dei premiati fratelli Santommaso quando, giunti sulla porta del salotto più esclusivo della città, si trovarono davanti a una scenetta che proprio non si sarebbero aspettati. L’attrazione della serata era nientemeno che il cattolico apostolico e romano Levousé. Un Levousé quasi irriconoscibile, elegantissimo, accessoriato, profumato, dall’eloquio perentorio e irresistibile. Stava tenendo banco sulla questione femminile e sui destini del comunismo che, a suo dire, non avrebbe fallito e non sarebbe affatto morto: «La rivoluzione non è finita» diceva davanti a uno stuolo di damazze in adorazione. «La rivoluzione ha solo preso altre vie. Non si può sempre fare con il mitra in mano e impiccando i reazionari…»
A questo punto risero persino gli uomini: da quello con il pullover di cashmere rosso sangue a quello con il completo antracite alta finanza.
«Non entriamo» disse sottovoce Mp. «Finché non ci nota nessuno, ascoltiamo e prendiamo nota. Soprattutto, ricordiamoci nomi e facce.»
«E poi?» chiesi io, che non difettavo di un certo senso pratico.
«Poi improvvisiamo.»
«Allora, dobbiamo improvvisare subito» feci io, che non difettavo di un certo senso pratico, mentre alle nostre spalle arrivavano, con studiato ritardo, il Fondatore del giornale più anticattolico sulla piazza e un bonzo buddista tutto pavesato di arancione.
Senza volerlo, fu il Fondatore a risolvere la situazione.
Ag, con la sua giacca di velluto e la pipa in bocca, venne subito liquidato come un vetraio che avesse appena finito di stuccare una finestra. A Mp, in uniforme da ordinario di filosofia del diritto, venne spiegato che, se era venuto per le ripetizione del ragazzino, aveva sbagliato orario.
«Lei, invece, mio caro…» disse voltandosi verso di me il Fondatore «non ci siamo mai visti… Venga, venga, vedrà che ce la spassiamo questa sera».
E fui risucchiato dal suo charme nel salotto dove tutti, Levousé compreso, ora avevano occhi solo per lui. Non feci in tempo a girarmi per chiedere consiglio ai fratelli Santommaso.
La porta si era chiusa e, immediatamente, mi assalì un tremendo odore di tigre. Il Fondatore si sedette in poltrona, posò le mani sui braccioli e fece cenno che avrebbe volentieri ascoltato.
Levousé, che mi aveva riconosciuto, non si perse d’animo.
Mi ignorò completamente, continuò a parlare e prese a spiegare al comunista in cashmirino rosso e alla signora buddista sull’orlo della menopausa che, in fondo, pensavano la stessa cosa: «Guardate che Marx, dietro al suo materialismo, ha nascosto il fatto che la materia non esiste. È una delle versioni più geniali della gnosi. Attraverso l’esaltazione della materia, viene proclamata la sostanziale esistenza del solo spirito. I corpi non contano nulla, sono creati da un dio cattivo e se ne può fare quello che si vuole. Si possono macellare nelle rivoluzioni o renderli luminosi nella meditazione, ma non cambia nulla».
Il Fondatore, ammirato, assentiva. Ogni tanto, mi lanciava un’occhiata complice e io, bevendo, ammiccavo. Intanto, continuavo a chiedermi perché non mi avesse cacciato con i due Santommaso. Forse, mi stava leggendo nel pensiero, perché alzò un solo dito dal bracciolo e questo, anche per me che non lo avevo mai visto, significava che dovevo avvicinarmi. Non si disturbò a guardare verso di me. Quando annusò la mia presenza e capì che avrebbe potuto parlare sottovoce, disse: «Cravatta ineccepibile, si riconoscono subito le persone di classe». Poi, con lo stesso dito alzato, mi congedò. In effetti, le cravatte erano il mio punto forte. E quella sera ne portavo una uguale a quella del Fondatore.
Nel frattempo, Levousé parlava, il Fondatore ascoltava e io bevevo cercando di non pensare all’odore di jungla e di tigre che mi avvolgeva. A ogni pensiero di Levousé, il salotto assentiva e a ogni assenso del salotto l’odore entrava sempre di più nel mio cervello. Ecco perché bevevo.
Devo riconoscerlo, non sono un uomo da cocktail. Posso reggere anche una bottiglia abbondante di whisky, ma gli intrugli proprio non fanno per me. Al quarto Negroni ero completamente partito. Al quinto, quando Levousé disse con aria ilare e trullare «Signori, tutti qua, si gioca a shangai », non riuscii a contenere la fase più sonora della digestione, urlai che sapevo benissimo chi fosse e stramazzai sul tappeto persiano da centomila euro.
Quando mi risvegliai, il Fondatore era ancora seduto in poltrona, con le mani sui braccioli e mi guardava con lo stesso sorriso complice con cui lo avevo lasciato giusto un attimo prima di rovinare per terra. «La mia cravatta deve proprio averlo colpito» borbottai mentre cercavo di rialzarmi.
«Più che altro, lo ha colpito uno stiletto. Dritto al cuore» disse Ag Santommaso. «Certo che se, ogni volta che si risveglia, accanto a lei c’è un morto, c’è da sperare di non farle mai la balia…»
«Non penserete che sono stato io?»
«No.»
«È stato Levousé. Quell’omuncolo non mi è mai piaciuto.»
«Più avanti lo verifichiamo.»
«Dovevate sentirlo.»
«Sì, ma ora è meglio sgombrare. Tra poco qui sarà pieno di curiosi.»
«E gli altri dove sono andati?»
«Hanno tagliato la corda. Non è molto chic, però è molto radical. Quando hanno scoperto che uno di loro aveva fatto fuori il Fondatore, hanno pensato bene di lasciare un ubriacone sconosciuto sul posto e di chiamare la polizia. Sarà bene togliere subito il disturbo.»
Ci infilammo giù per le scale di servizio mentre la polizia faceva irruzione dall’ingresso principale.
«Avreste dovuto sentirlo il vostro amico Levousé. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Eppure faceva dei discorsi da mistico, parlava del disprezzo dei corpi, del dio malvagio che li ha creati. Pare che non ci sia che l’anima per lui… Un vero teologo.»
«No, caro amico» intervenne Mp. «Questa è pessima teologia.»
«Come sarebbe a dire?»
«Chi disprezza i corpi disprezza Dio che li ha creati. San Tommaso, Somma Teologica, Parte Prima, Questione 65. Secondo la tesi di certi eretici, tutto questo mondo visibile non fu creato dal Dio buono, ma da un primo essere malvagio. Ma tale posizione è assolutamente insostenibile. Tutto ciò che esiste, anche le cose materiali, hanno l’essere e possono averlo solo da un principio unico, cioè da Dio.»
Non ebbi il tempo di gustarmi san Tommaso come avrei dovuto. In quel momento, nel vicoletto buio, a pochi passi da noi, un Levousé cencioso e dimesso stava camminando malfermo e contrariato verso il suo negozietto. Non riuscii ad agguantarlo, perché quattro mani d’acciaio mi bloccarono appena tentai di scattare.
«Ogni cosa a suo tempo» disse Ag Santommaso. Aveva ripreso a fumare la pipa e la cosa mi rassicurò. I conti con Levousé erano solo rimandati. Nel frattempo avremmo avuto agio di mettere ordine nelle nostre idee e buttare giù qualche appunto. Facce, tipi, idee, nomi: avevamo tutto in testa. Non avrei mai potuto farne un pezzo per il mio giornale.
Ma i fratelli Santommaso dissero che sapevano loro a chi passare il materiale. Due loro amici, evidentemente due pazzi della loro risma, ne avrebbero fatto volentieri un libro, un’inchiesta sui nemici della Verità. Be’, qui avevano materiale per cominciare il loro libro alla grande.
Li ho conosciuti, poi, questi due amici: la fotografia sputata dei Santommaso, simpatici preciso a loro, con il gusto di mettersi nei guai preciso a loro, con la fissa di Tommaso d’Aquino preciso a loro. A ogni modo, con le schede segnaletiche che trovate qui di seguito, devo dire che hanno fatto un buon lavoro.
Scheda 1
EUTANASIA DI UNA RIVOLUZIONE
Il comunista terminale
A conoscenza di chi scrive, in Occidente è rimasto un solo vero, serio e solido comunista. Si chiama Carlo R. ed è uno che si commuove pensando ai bei tempi di Baffone, piange al suono dell’Internazionale, non vede l’ora di morire per farsi avvolgere nella bandiera rossa con falce e martello e assomiglia a Pino Rauti. Carlo R., che abita nel Levante genovese e recita a memoria brani della Messa in latino e interi capitoli del Don Camillo, quando lo si interpella sulla caduta del muro di Berlino ha un tuffo al cuore e, con enfasi non priva di dolore, proclama: «Per me non è caduto un cacchio». In realtà, Carlo R. non si esprime in linguaggio così urbano, ma in una gustosa parlata ligure che tradurre sarebbe come profanare. Chi ha pratica di mondo può immaginarla.
Questo capitolo non tratta di lui, che, come Peppone, vive nel sogno di un socialismo profumato dalla redenzione del proletariato. Tratta di coloro che respirano avidamente il fetore nauseabondo dell’idea comunista in putrefazione.
Qui non si parla di un vivo che teme di morire, ma di moribondi convinti di essere in buona salute.
Carlo R. non è un comunista terminale. Lui non ha esultato quando, nel novembre 2008, l’ex deputato di Rifondazione comunista Guadagno Wladimiro, meglio conosciuto come Vladimir Luxuria, ha trionfato all’Isola dei Famosi battendo in finale Belen Rodriguez. Non sapeva che la vittoria in un reality show di un omosessuale che si è pompato il seno, rifatto il naso, depilato permanentemente e autodefinito transgender è una vittoria del proletariato.
Carlo R. è rimasto indietro di due o tre aggiornamenti della rivoluzione. Tanto che, fin dal 2006, all’epoca della candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del suo partito, aveva commentato il fatto con espressioni così colorite e così politicamente scorrette da finire sotto accusa per deviazionismo fascio-clerico-leghista. Nuovo tipo di deviazionismo che, in seguito agli aggiornamenti della rivoluzione, ha sostituito quello borghese, in base al quale oggi anche i cosiddetti probi viri del partito finirebbero diritti sul banco degli imputati.
Contrariamente a Carlo R., il comunista terminale vede nella causa del transgender Luxuria la nuova frontiera della rivoluzione e, da questo punto di vista, ha perfettamente ragione. Ha capito che la rivoluzione procede di negazione della distinzione in negazione della distinzione. Il comunista terminale ha compreso che il processo rivoluzionario parte dalla negazione delle diversità dovute alla vita sociale, alla cultura, ai costumi, alle tradizioni per arrivare fino alla presunzione di cancellare la diversità più evidente decretata dalla natura: quella tra maschio e femmina. La proclamazione dell’equivalenza tra uomo e donna è l’esercizio massimo e ultimo dell’ideologia rivoluzionaria, oltre il quale c’è solo la negazione della distinzione tra uomo e Dio. Ma, si sa, per il rivoluzionario Dio non esiste, altrimenti non sarebbe rivoluzionario.
Il comunista terminale vive beato in un mondo infettato dall’ideologia egualitaria in cui esiste una sola eccezione: lui stesso. Lui, secondo la migliore applicazione della prassi leninista, appartiene all’avanguardia che ha il dovere e il diritto di tracciare la strada lungo la quale poi procederà il popolo bue: uguale, ma non del tutto. Le cattedre non gli mancano, perché ha smesso da tempo di fare l’operaio e si è dato alle professioni intellettuali. Insegna nella scuola pubblica e privata, lavora nelle case editrici, ha colonizzato i giornali, fa televisione, non di rado si esibisce dai pulpiti.
Semina, coltiva, raccoglie. Poi, quando è il momento, proclama la vittoria, come ha fatto «Liberazione» con il trionfo di Luxuria sull’Isola dei Famosi.
«Un duello epico» ha scritto il quotidiano comunista.
«Vladimir contro Belen, la trans contro la donna vera. Il risultato, strepitosamente, spariglia le carte. […] Il momento più brutto è stato quando si sono trovate l’una davanti all’altra.
Belen, la donna bella, secondo il pregiudizio l’unica donna vera, contro Vladimir la pasionaria, la donna che ha scelto di essere donna. Due donne, due storie, due modelli, due culture. Lì siamo rimasti col fiato sospeso, abbiamo temuto che Vladimir non ce la facesse.»
Ma poi Vladimir ce l’ha fatta. E allora gli italiani, che quando votano alle elezioni sono dei poveri imbecilli perché fanno vincere Berlusconi, quando invece tele votano all’Isola dei Famosi diventano dei raffinati intellettuali perché fanno vincere il compagno transgender Guadagno Wladimiro. Non fa niente se la televisione, fino al giorno prima, è stata considerata spazzatura per minorati mentali: il giorno dopo diventa uno strumento della rivoluzione, una corazzata Potëmkin che spara sui cattivi soldati zaristi del terzo millennio.
Come aveva scritto Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta in tragedia e la seconda in farsa». E qui, come si può immaginare, la tragedia è passata da un pezzo. Ma non fa nulla, perché il comunista terminale, con grande sprezzo del ridicolo, vive dei miasmi esalati dalla tragedia in avanzato stato di decomposizione.
Aiutata da pietosa e farsesca eutanasia, munita del conforto dei suoi cinici cari è morta una fase della rivoluzione e, dal suo stesso cadavere, ne nasce un’altra. Si volta pagina.
Così, aiutato anche dal fatto che il cashmere logora chi non ce l’ha e che il toscano adesso si fuma nei salotti, il comunista terminale ha sterzato decisamente sul versante “radical”. Visto che “chic” lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.
Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. Chi meglio del compagno terminale Fausto Bertinotti, nonostante ora sia stato messo un po’ in ombra dalle batoste elettorali, incarna il prototipo del cattivo maestrino dalla penna rossa esperto di rivoluzione permanente? Durante l’ultimo governo Prodi, Bertinotti era presidente della Camera, terza carica dello stato, e da quell’autorevole scranno nel 2007 spiegò che serviva «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio».
Qui bisogna aprire una parentesi perché il suo successore alla terza carica dello stato, onorevole Gianfranco Fini, pur appartenendo al fronte politico opposto, sostiene gli stessi argomenti. Sarà la presidenza della Camera che produce effetti indesiderati. Ma di questo ci occuperemo nell’apposita sezione.
Ora chiudiamo la parentesi perché il compagno terminale Bertinotti sostenne che la battaglia culturale e politica sui Dico sarebbe stata possibile solo mettendo insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali». E, sino a qui, l’onorevole Fini non è ancora arrivato.
Non sfuggirà che il fondatore di un partito chiamato Rifondazione comunista, riferendosi al suo schieramento, non parlò di “comunisti” ma di sinistra radicale. Tale terminologia spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti, Diliberto, Luxuria e Nichi Vendola, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.
Detto questo, non stupisce se il povero Carlo R. si è trovato alle corde, accusato di deviazionismo fascio-clerico-leghista quando ha espresso il proprio parere sulla candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del partito che avrebbe dovuto rifondare il comunismo. Il povero Carlo R. è rimasto al Pci che faceva il Pci. Al partito che, come ricordava Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell’aborto. Al partito che, con l’inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini a causa della sua omosessualità.
Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci.
Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata dal comunista terminale non è altro che un immenso Hotel Lux, l’albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un’angoscia di morte. Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie».
La von Mayenburg fu tra i fortunati che riuscirono a sopravvivere alle purghe staliniane degli anni Trenta. Allora tentò persino di giustificare quella carneficina di compagni traditori in nome dei grandi ideali e del grande fine ultimo della rivoluzione. Se avesse immaginato che i suoi sogni sarebbero naufragati sull’Isola dei Famosi con Vladimir Luxuria al comando di Simona Ventura, avrebbe certamente seguito l’insegnamento marxista completando il suo pensiero all’incirca così: «Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie che un giorno diventeranno farse».
In effetti, la deriva dei cattivi maestri della sinistra ton sur ton fa pensare a Marx: ma non a Karl, a Groucho.
Eppure non c’è niente da ridere.
IDENTIKIT
• Dove opera
Parlamento (quando riesce a farsi eleggere), cattedre, scrivanie, strapuntini, reality show, non di rado i pulpiti. Disdegna le piazze, così rozze.
• Come riconoscerlo
Cashmere, pantaloni con le pence, scarpe su misura, cravatta all’uncinetto: se parla di operai, è un industriale; se si lamenta perché Cortina è sovraffollata, è lui.
• Come difendersi
Avvicinatevi con una pagnotta, un etto di mortadella e un bottiglione di Manduria. Dategli del tu e offrite con generosità. Se per caso accetta, allora dovete anche prenderlo in braccio come fece Benigni con Berlinguer. Ma non ce ne sarà bisogno, fuggirà prima. Voi non siete Benigni.