(ZENIT) Martiri per amore di Dio

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I martiri della persecuzione religiosa spagnola,
testimoni di riconciliazione

Parla lo storico Vicente Cárcel Ortí
ROMA, lunedì 3 maggio 2004 (ZENIT.org).- Uno dei massimi
esperti in materia spiega che la pubblicazione del decreto
di martirio di sette sacerdoti catalani e di una religiosa
di Mallorca assassinati durante la Guerra Civile spagnola,
in piena persecuzione religiosa, costituisce un messaggio
di riconciliazione per la Spagna che cerca di superare gli
attentati dell’11 marzo.

In questa intervista concessa a ZENIT, Vicente Cárcel Ortí,
esperto dei rapporti Stato-Chiesa nel XX secolo in Spagna e
autore di libri come “Martiri spagnoli del secolo XX”
(BAC), spiega i motivi e rivela dettagli del martirio dei
futuri beati.


Il riconoscimento del martirio di José Tapies Sirvant e di
sei suoi compagni martiri ha destato stupore, perché la
loro storia non è molto conosciuta.

Vicente Cárcel: Quando è stato aperto il processo di José
Tapies, nel 1946, gli altri sei sacerdoti sono rimasti
esclusi anche se erano stati martirizzati insieme a lui.
Nel 1992, però, il vescovo di Urgel, su insistenza dei
fedeli, ha deciso di aprire anche il processo di questi
sei sacerdoti.


Chi erano?

Vicente Cárcel: Si chiamavano Pascal Araguás, Silvestre
Arnau, José Boher, Francisco Castells, Pedreo Martret e
Juan Perot. Si dedicavano tutti al ministero pastorale.
José Tapies, molto amato da tutti i fedeli, quando venne
arrestato volle consegnarsi vestito da sacerdote per
mostrare la sua identità. Mentre era in piedi sul camion
che lo stava conducendo al luogo dove sarebbe stato
ucciso, salutava tutti fino a che, dandogli un colpo, un
miliziano non lo costrinse a sedersi.
Silvestre Arnau, che aveva studiato all’Università
Gregoriana e al Collegio Spagnolo di Roma, era uno
studioso di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa
di Gesù e si dedicava alla formazione della Federazione
dei Giovani Cristiani della Catalogna.
Gli altri erano parroci molto amati.


Come sono morti, e perché?

Vicente Cárcel: Sono morti perché erano sacerdoti. Furono
portati da Pobla del Segur in un camion, scortati da
circa 50 miliziani, fino al cimitero di Salas de Pallás.
Oltre ai miliziani che parteciparono alla fucilazione,
assistettero al martirio un contadino che stava lavorando
lì vicino, il conducente del camion, un bambino che andava
in bicicletta e un vasaio che li vide scendere dal camion
e udì gli spari.


Ci sono stati, quindi, dei martiri in quell’epoca in
Catalogna?

Vicente Cárcel: Analizzando le cifre totali e facendo delle
proporzioni, si può dire che questa regione sia stata forse
la più colpita della Spagna. Per dare un’idea di ciò che
vi è successo sotto la responsabilità dei Governi della
Repubblica e della Generalitat, si può ricordare che
vennero martirizzati i vescovi Irurita, di Barcellona,
Huix, di Lérida e Borrás, ausiliare di Tarragona.
A Lérida è stato ucciso il 65,8% del clero diocesano
(270 sacerdoti su 410); a Tortosa il 61,9% (316 su 510);
a Tarragona il 32,4% (131 su 404); a Vich il 27,1% (177
su 652); a Barcellona il 22,3% (279 su 1.251); a Gerona
il 20% (194 su 932); a Urgel il 20,1% (109 su 540) e a
Solsona il 13,4% (60 su 445).


Sono dati impressionanti…

Vicente Cárcel: Ne aggiungo un altro. Il cardinal Vidal,
arcivescovo di Tarragona, che riuscì a salvarsi grazie a
un “conseller”, si rifiutò di tornare in Catalogna,
nonostante le insistenze dei repubblicani, perché
continuava la persecuzione religiosa: le prigioni erano
piene di sacerdoti e di Cattolici, arrestati per il
semplice fatto di esserlo, e molti di loro venero fucilati
prima della fine della guerra. Al cardinale venne poi
impedito di tornare in Spagna per motivi politici, ma
questa è un’altra storia.


Perché crede che la loro testimonianza sia passata quasi
sotto silenzio?

Vicente Cárcel: Forse perché erano sacerdoti diocesani e
non religiosi, dato che i religiosi, in genere, dispongono
di più persone e più mezzi rispetto alle diocesi sia per
elaborare i processi che per diffondere le biografie.
Lo dimostrano i dati: di 2.584 frati e suore martirizzati,
ne sono stati beatificati più di 300, mentre tra i 4.184
sacerdoti diocesani solo 50 sono già beati. Qualcosa di
simile accade con i laici, perché di circa 3.000
martirizzati per motivi religiosi solo una cinquantina
sono stati beatificati, e sono tutti Cattolici molto
impegnati nella Chiesa.


In certi casi la Chiesa è stata accusata di riaprire vecchie
ferite con le beatificazioni o le canonizzazioni dei martiri
della Guerra Civile spagnola.

Vicente Cárcel: E’ necessario innanzitutto fare una
precisazione.
Non sono mai stati definiti “martiri della Guerra Civile”,
ma martiri della persecuzione religiosa, che in Spagna è
iniziata nel 1934 con i “martiri di Turón”, già canonizzati,
e molti altri assassinati durante la “Rivoluzione comunista
delle Asturie”.
E’ una polemica pretestuosa e senza senso, che ha una forte
impronta ideologica e politica.
Fin dalle sue origini, la Chiesa ha reso onore ai “martiri
della fede” e continuerà a farlo.
Le istituzioni civili e militari ricordano i “caduti in
guerra” e le “vittime della repressione politica”, sia
della parte repubblicana che di quella nazionale, e nessuno
dice che questo voglia dire riaprire le ferite, anche se a
volte i partiti strumentalizzano i fatti in modo evidente.


Come possono diventare un segno di riconciliazione questi
martiri?

Vicente Cárcel: Oggi si abusa del termine “martire”, che
nel linguaggio corrente raccoglie varie accezioni, anche se
la più genuina ed originale è quella che indica chi soffre
o muore per amore di Dio, come testimone della sua fede,
perdonando e pregando per il suo giustiziere, come Cristo
sulla Croce.
Gli altri possono essere “eroi” o “vittime” di vari ideali,
a volte anche discutibili, ma vengono chiamati martiri
perché si abusa del concetto per estensione, applicandolo
semplicemente a chi soffre per qualcuno o qualcosa.
Dietro i “martiri cristiani” non ci sono bandiere politiche
né ideologie: ci sono solo la fede in Dio e l’amore per il
prossimo.
Questi martiri non hanno fatto guerre né le hanno fomentate,
né hanno mai preso parte a lotte tra partiti di opposta
fazione.
Sono stati portatori di un messaggio eterno di pace e
d’amore, che illumina la nostra fede e alimenta la nostra
speranza.


Dietro il dibattito “politico” che alcuni hanno voluto
suscitare prendendo spunto dai martiri della Guerra Civile,
non crede ci sia anche il fatto che i Cattolici in Spagna
non hanno saputo comprendere e trasmettere i veri motivi
per i quali questi uomini e queste donne hanno dato la
vita?

Vicente Cárcel: Per molti anni ha pesato il regime che è
stato in vigore fino al 1975, e per molti Cattolici è
scomoda la presenza dei martiri del 1936, che non hanno
avuto niente a vedere con quello che è venuto dopo.
Danno fastidio anche ai “vinti” della guerra, e ai loro
eredi a livello ideologico, perché i martiri denunciano
la persecuzione religiosa di quegli anni terribili e la
loro ostinazione nel non voler riconoscere le loro
responsabilità storiche per la tragedia del 1936.
Proprio per evitare riferimenti polemici al passato, la
Chiesa ha aspettato più di mezzo secolo dalla fine della
Guerra Civile per iniziare le beatificazioni (le prime
hanno avuto luogo nel 1987) ed ha voluto attendere che
in Spagna esistesse una democrazia consolidata.


Qual è il messaggio che i martiri della Persecuzione
Religiosa del 1936 lasciano alla Spagna sconvolta dagli
attentati dell’11 marzo e alla ricerca di un senso per
tutto ciò?

Vicente Cárcel: L’11 marzo è stata la più grande tragedia
vissuta dalla Spagna dal nefasto triennio di Guerra, ma è
servita affinché gli Spagnoli manifestassero i loro
sentimenti più profondi, che sono essenzialmente cristiani:
fede in Dio e amore nei confronti del prossimo, in mezzo
ad un dolore immenso, con gesti eloquenti di generosità e
di perdono, di cui sono stati testimoni centinaia di
sacerdoti, religiosi e Cattolici, che hanno assistito e
assistono i feriti e i familiari delle vittime, che
cercano qualcosa di più profondo della semplice
consolazione umana e dei gesti formali.
La “vittoria dei martiri della fede cristiana” ci
trasmette un messaggio di speranza per continuare a vivere
in un mondo disorientato, vittima della manipolazione
mediatica, sempre più insopportabile.
ZI04050307

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