Mario Palmaro,
presidente Comitato Verità e Vita
Qualcuno fornisce una ricostruzione storica davvero stupefacente, sostenendo che la 194 era nata buona e giusta, una legge non abortista, ma che poi l’insipienza degli uomini l’ha male interpretata e peggio applicata. Valga su tutti l’intervista apparsa sul quotidiano “Libero” di venerdì 4 gennaio 2008, nella quale Eugenia Roccella dice fra l’altro: «Rispetto ad altre leggi internazionali, la 194 è una buona legge, che parte, non a caso, proprio dalla tutela della maternità. È una legge che non afferma mai l`aborto come un diritto (…) Non è eugenetica». «Secondo me – prosegue sempre la Roccella – la questione non è abolire o rifare la legge, ma non tradirla, non trasformarla in un feticcio vuoto, una legge intoccabile a parole e invece violata, disapplicata e stravolta nella prassi quotidiana».
Altri ancora dichiarano che «la 194, nei suoi principi ispiratori, ha una rilevante rispondenza con le richieste del movimento delle donne e si pone come uno strumento per combattere e sconfiggere la triste piaga degli aborti clandestini. In questo senso la legge non è una legge “abortista”: non crea, né impone l’aborto, anzi si fonda sulla sua prevenzione, valorizzando il ruolo delle strutture sanitarie pubbliche per fare della procreazione un evento cosciente e responsabile, cioè non casuale».
È evidente che simili affermazioni, soprattutto se pronunciate da personalità elette a punti di riferimento del mondo cattolico e della galassia pro-life (Eugenia Roccella è editorialista di “Avvenire” e de “L’Osservatore Romano”), disorientano grandemente l’opinione pubblica. Di fronte a questo pauroso sbandamento delle coscienze, e alla confusione alimentata da questi giudizi, sentiamo il dovere di riaffermare con forza alcuni punti fermi.
1. Il diritto di aborto. La volontà del legislatore, nel suo nucleo fondamentale, stabilisce un vero e proprio diritto d’aborto. Negato a parole e con foga dagli abortisti, esso emerge con assoluta chiarezza da una lettura seria della legge. Dal combinato disposto degli articoli 4 e 5 si ricava che nei primi tre mesi di gravidanza ogni donna può abortire a sua volontà. Nessun controllo è possibile. È stabilito l’obbligo per il medico di rilasciare il certificato che costituisce titolo per l’esecuzione degli interventi di fronte alla semplice domanda della donna. (artt. 5, 4 comma, e 8 ultimo comma). Di fronte al diritto della donna vi è l’obbligo delle strutture pubbliche di praticare l’intervento. Perciò a ragion veduta abbiamo parlato di “diritto” e di “liberalizzazione”. Nessun limite esiste nei primi tre mesi di gravidanza. A dimostrazione di ciò sta il fatto che i difensori della “buona legge” in trent’anni non hanno mandato in galera neppure un “trasgressore”.
2. Una legge abortista. Il giudizio negativo sulla legge abortista risulta anche dai seguenti elementi:
a) l’aberrante facoltà attribuita alla donna di decidere in termini unicamente individualistici, al di fuori e contro ogni responsabilità verso il “diritto” del nascituro;
b) l’individualismo che ispira la legge risulta ancor più grave dal fatto di essere riconosciuto dallo Stato, il quale a sua volta costringe tutti i cittadini, anche quelli contrari all’aborto, a dare un qualche contributo.
3. Non possiamo rassegnarci. Perciò ogni convinto difensore dell’uomo, ogni comunità di accoglienza, non può rassegnarsi di fronte ad una legge che tradisce così profondamente i valori su cui tutto l’ordinamento giuridico poggia. Di conseguenza l’obiettivo di eliminare la legge abortista o di trasformarla mutandone radicalmente la intrinseca struttura, deve proporsi come espressione di amore per l’uomo e non come sterile e puramente teorica contrapposizione ideologica.
4. L’aborto legale è intollerabile. L’applicazione del principio della tolleranza civile all’aborto legalizzato è illegittima e inaccettabile perché lo Stato non è la fonte originaria dei diritti nativi ed inalienabili della persona, né il creatore e l’arbitro assoluto di questi stessi diritti.
5. L’aborto legale minaccia l’intero sistema giuridico. Quando autorizza l’aborto, lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l’intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l’innocente indifeso. Da: La comunità cristiana e l’accoglienza della vita umana nascente.
6. Il compito di ogni politico di buona volontà. Il compito di ogni politico di buona volontà non è quello di “far applicare una legge ingiusta”, ma di richiamare, con coraggio e con metodi democratici, il dovere di rispettare la vita umana sin dal suo inizio, denunciando di conseguenza l’iniquità della legge abortista. Il buon politico ha il dovere di operare una lettura critica dell’attuale normativa sull’aborto: senza trascurare i limitatissimi elementi positivi, si dovranno rilevare le profonde contraddizioni che essa presenta con la Costituzione e all’interno dei suoi stessi articoli.
In conclusione: nessun miglioramento alla situazione italiana in materia di aborto è possibile se non si parte dal rispetto della verità. La 194 è una legge gravemente ingiusta. Lo è in maniera assoluta e intrinseca. La 194 è stata voluta dalla cultura abortista, difesa dalla cultura abortista, e ha ottenuto una perfetta coerenza tra obiettivi e risultati: i 5 milioni di bambini uccisi in nome di quella legge non sono stati un incidente di percorso, ma una tragica conseguenza del principio di autodeterminazione della donna. Alle vittime innocenti va aggiunto quell’autentico disastro educativo e culturale che è sotto i nostri occhi. Al punto che in questi giorni anche alcuni di coloro che stanno (o dovrebbero stare) dalla parte della vita affermano che «l’ultima decisione sulla vita del concepito deve comunque sempre spettare alla donna». Che è, in estrema sintesi, la summa ideologica dell’abortismo di sempre.
Il senso di realtà ci dice che anche una sola vita innocente salvata ha un valore incommensurabile. Per questo motivo, Verità e Vita approva ogni azione che aiuti concretamente la vita a nascere, pur in vigenza di una legge omicida. Ma il prezzo per questa attività di “salvataggio” non può consistere nel colpevole e complice silenzio sulla legge abortista, o addirittura nella trasformazione della condanna sulla legge 194 in un giudizio benevolo. Se durante la follia nazista ci avessero dato la possibilità di metterci fuori dai cancelli di Auschwitz per salvare qualche vita umana, sarebbe stato nostro dovere farlo. Ma non avremmo mai potuto trasformare il nostro giudizio su quel luogo di orrore, magari affermando che – tutto sommato – «nel loro genere quei lager erano i migliori al mondo».