Ven. Prof. Giuseppe Toniolo
Le premesse filosofiche e la sociologia contemporanea
A proposito di odierne discussioni sull'enciclica Pascendi
Da: Rivista internazione di scienze sociali e discipline affini, 1908, v. XXXVI, pp. 309-331
I
1. Gli uomini colti, che col presidio della storia della scienza in tutti i suoi aspetti e della odierna pubblicità universale, si resero capaci di spiare e di riflettere in se stessi dì per dì, quasi in un cinematografo, le grandi mosse del pensiero scientifico, da non pochi anni assistono al volgersi e al confondersi, soprattutto allo scindersi e al contrastarsi, di ogni corrente di dottrine filosofiche, le più differenti, strane e repugnanti; le quali, rifrangendosi in altrettanti svariati ed opposti indirizzi di ogni ramo della scienza, si tramutano infine in un'anarchia di vita pratica sociale, riproducente quella ideale degli scienziati. È ciò che si sente ogni giorno angosciosamente, e che senza menomare il valore di molti e preziosi acquisti recenti nel dominio subordinato delle discipline positive, ha fatto dinanzi alla critica seria e competente intiepidire non pochi entusiasmi verso questa «cultura presente», che spiriti manifestamente pregiudicati o superficiali si ostinano a chiamare «moderna» per antonomasia, quale fattore di una novella civiltà; mentre essa per sicura diagnosi e per indubbi ammaestramenti storici, più che di un rinnovamento rivela sintomi paurosi di decadenza.
Or bene; se fra tanto turbinio che ci rapina, uno di quei geni che il Goethe chiamava le aquile dell'umanità, un areopago di dotti, quale proponeva nelle sue riforme idealistiche il Saint-Simon e vagheggiava ancora il Renan, o infine una istituzione misteriosa, capace di dominare con la sua autorità e sapienza i secoli, fosse intervenuta a disvelare con sicurezza le ragioni prime di tale abbuiamento odierno degli intelletti pensanti, e di tanta tragedia di vita vissuta; e ancora a porgere un filo conduttore, il quale avesse scorto gli scienziati a rivedere la luce e i popoli a rinvenire pace e salvezza, non avrebbe forse essa benemeritato della scienza e del progresso civile?
2. Questo è invero ciò che compié una volta di più la Chiesa cattolica, colla enciclica di papa Pio X sul «modernismo»; e l'imparzialità del giudizio ci obbliga a riconoscere, che uomini sinceri, d'incontestabile valore scientifico, anche non credenti, accolsero con ammirazione un documento autorevolissimo, il quale seppe cogliere e ridurre criticamente in forma sistematica, nel suo nesso coi veri dogmatici, e con le sue inferenze logiche e pratiche, la genesi multiforme, vaga, insidiosa del pensiero filosofico moderno, fattosi quasi impenetrabile alle menti più acute ed erudite. Inattesa e solenne conferma del valore della fede, nell'estimare gli argomenti e i risultati della scienza.
Tuttavia non mancano altri, i quali, per il richiamo autorevole che nel medesimo documento il pontefice Pio X, sulle tracce del suo predecessore, fece alle dottrine tradizionali della «scolastica», affermino che la Chiesa si ponga con ciò in contrasto irreconciliabile col progresso della cultura e della civiltà, disconoscendo le più caratteristiche e legittime vocazioni della scienza e le esigenze più imperiose della vita sociale moderna.
Avvertasi che l'accusa, la quale si drizza ad un tempo alla cultura ideale ed alla vita pratica, è logicamente coerente; dappoichè la storia stessa della scienza, oggi più che mai illustrata per ogni ramo dello scibile, ha mirabilmente confermato l'antica sentenza del sapere cristiano «che l'ordine delle idee regge l'ordine dei fatti»; e che specialmente i supremi criteri in ogni momento storico della scienza madre la filosofia (in connessione essa medesima colla fede) determinano e colorano gli indirizzi di ogni ramo della scienza; i quali poi atteggiano e sospingono alla lor volta gli ordinamenti sociali e il cammino dell'incivilimento. E avvertasi ancora come il nesso sia così intimo fra idea e fatto, fra il pensare e l'operare con mutuo ricambio, che l'età nostra, satura di positivismo, estima la scienza e la cultura solo in quanto valgano a tradursi nella realtà dell'utile sociale, fuori di che la trascura e rigetta; riconfermando incosciamente un altro canone della cristiana sapienza che il conoscere è mezzo all'operare, e che il fine ultimo del vivere non è il vero, ma il bene.
Sicché questa «formula di accusa» che giudica l'enciclica e le sue dottrine dalla presunta efficacia di queste in ordine al bene sociale ed alle conquiste dell'incivilimento, a cui fra tanti contrasti e pericoli l'età presente anela; mentre rispecchia lo «stato mentale» di gran parte degli studiosi di professione, rinviene eco diffusa e durevole nella coscienza dei più, incapace di apprezzare certi principi filosofici nel loro contenuto, bensì soltanto nelle loro pratiche conseguenze; sicché il rispondervi diviene un compito d'interesse generale e di attualità.
3. Così il quesito si risolve in questa proposizione sintetica: «La scienza sociologica coi suoi presidi metodici, grande ambizione della odierna cultura, e di rispondenza l'ordine sociale di civiltà co' suoi progressi, intorno a cui s'aggira e consuma la febbrile operosità dei popoli contemporanei, sarebbero meglio avvantaggiati dalle premesse filosofiche moderne o da quelle tradizionali cristiane?».
Ampio e grave quesito invero, al quale si può tuttavia dare valevole risposta con pochi richiami bene assodati; perocchè la soluzione è già offerta dalla storia delle teorie sociologiche ed economiche odierne, in relazione a quella della filosofia e delle corrispondenti influenze sulla vita pratica dei popoli; storia dettata con erudizione e critica che formano un titolo di onore per i tempi nostri. Ciò tanto più se si accetti nel suo giusto concetto, e non già nella sua goffa e maligna raffigurazione, la filosofia tradizionale cristiana; la quale esprime un ordine di veri dimostrati (accertati), i quali danno ragione delle cause prime ed ultime dell'universo, considerato come l'ordine reale obbiettivo degli esseri stabilito da Dio. Filosofia pertanto razionale-positiva (obbiettiva) per eccellenza, la quale rispondendo alla natura irreformabile dell'intelletto e delle cose, raccolse il consenso più generale e continuato dei pensatori da Aristotele a s. Tommaso, che col nome di «scolastica» vi diede forma sistematica, e fra varie vicende pervenne fino a noi; e che, rinvenendo conferma superiore estrinseca nella bibbia, nel vangelo e nella tradizione cristiana, fu per questo detta la filosofia perenne dell'umanità. La quale filosofia per ciò stesso è sempre viva e progrediente, in quanto di sua natura è adatta ad assimilarsi tutte le conquiste successive che valgono ad illustrare ed integrare quella suprema concezione («Weltanschauung») della realtà degli esseri. Chi ignori, offuschi o neghi questo vero carattere della «filosofia cristiana» confessa suo malgrado il proprio difetto o di onestà scientifica, o di comprensione filosofica, o di cultura storica.
Anzi, per rendere un altro omaggio a questi criteri di sincerità scientifica, aggiungeremo tosto che altro è dire in che consista la sostanza immutabile della filosofia cristiana tradizionale o scolastica, altra cosa è asserire che essa riguardo ai principi informativi si sia sempre mantenuta pura nello schietto filone dottrinale, senza che nel suo volume d'acque volgentesi da secoli non siensi introdotte correnti torbide o deviatrici, e che rispetto alla sua ingenita virtù di svolgimento, d'applicazione, d'assimilazione (derivante da que' principi stessi) non abbia subito in certi momenti storici rallentamento od arresto; come del resto seguì, e ben altrimenti, a tutte le scuole filosofiche dell'antica e della moderna età, compreso il kantismo, l'hegelianismo, il positivismo fino alla perversione e all'esaurimento. Appunto perché lo ripetiamo, essa è razionale, positiva e storica (tradizionale) per eccellenza, la filosofia cristiana può ripetere il passo di Terenzio: homo sum, nihil humani a me alienum puto. Ma ciò non toglie che essa sia quello che è per sua originaria essenza, e che non possieda in questa l'insita capacità di perenne e progressiva espansione.
Se qualche degenerazione subì (e in parte ancor oggi s'appalesa) fu colpa degli studiosi, non del sistema. Perciò papa Leone XIII in modo esplicito, restaurando la filosofia scolastica (1879), ammoniva di attingerla alle fonti pure di s. Tommaso, e in coerenza con essa di tesoreggiare le solide conquiste del sapere moderno, specialmente delle scienze storiche e naturali. Certo in qualche nazione i cultori della neoscolastica, fieri del prezioso patrimonio di supremi veri, acquisito con tanto rigore di argomenti logici e riprova di secolari consensi, neglessero, anche nelle alte scuole, di ritemprarlo al cimento delle recenti scuole filosofiche e di adoprare linguaggio e metodi adatti all'odierna cultura per analizzarne criticamente il contenuto e disvelarne a fondo le novelle insidie o respingerne gli audaci assalti. E ammettiamo ancora che tal altra siasi stati lenti nel trarre dal seno di quella filosofia lumi ed indirizzi a più ricchi svolgimenti o a più originali ricerche, specialmente nel dominio delle scienze positive. Ciò che poté avverarsi propriamente in quei paesi cattolici, ove la lotta delle dottrine più radicali e audaci fu più tardiva che nei paesi protestanti, e dove molto difettarono i mezzi di suppellettile scientifica e di pubblici favori, massime nelle università oggi necessari alle grandi battaglie e conquiste del vero.
Ma tutto questo non è comune alla generalità dei filosofi cristiani. Spesso questi, pur partendo dalla tradizionale scienza scolastica, seppero non solo avanzarsi arditamente e gloriosamente entro i vasti orizzonti delle scienze naturali, ma riuscire (a modo di esempio) a due risultati che ci interessano, perché toccano i massimi problemi dell'ora presente: – a giustificare ed ampliare coi principi scolastici, avvalorati dai metodi di osservazione, le più recenti scoperte della fisio-psicologia – e a comporre un sistema di dottrine sociali in piena corrispondenza colle esigenze della sociologia contemporanea e delle analoghe discipline positive; dottrine desunte direttamente dalla stessa filosofia. E per quanto riguarda la conoscenza in generale della cultura razionalistica moderna, a contatto di quella tradizionale cristiana, essa, in alcune nazioni ed in ispecie fra i cattolici di Germania, del Belgio, della Gran Bretagna, di Francia, è cotanto diffusa in ogni classe di studiosi, che proprio da questo fatto derivò quella penetrazione di teorie filosofiche e scientifiche di ogni scuola razionalistica, i cui riflessi, male intrecciati alla fede cattolica, composero fra i credenti stessi quel modernismo filosofico-dogmatico, che già preannunziato, oggi la Chiesa colpì.
Viceversa per la stessa imparzialità di giudizio va rilevato, che quasi sempre filosofi e scienziati anticristiani dimostrano d'ignorare la nostra filosofia, né tengono perciò conto alcuno delle sue analisi, critiche, confutazioni, spesso poderose e schiaccianti; anche nei più classici saggi recenti; e (salvo rarissime eccezioni) uomini per altri rispetti eruditi e valorosi, troppo fedeli al motto protestante libri catholici non leguntur, s'aggiungono alla schiera dei dilettanti, degli imparaticci, dei declamatori, a gettare lo spregio e il ridicolo alla scienza cristiana tradizionale, sulle tracce di vaghi pregiudizi antiquati. Basta ricordare per tutti la campagna di Huxley in Inghilterra, e la conferenza recentissima in Germania di Haeckel.
Tali criteri di fatto era necessario premettere per correre sicuri e spediti nella presente e breve trattazione.
II
Poniamo nettamente il quesito. La filosofia odierna (presa in considerazione dagli autorevoli documenti), la quale si diparte dalla incapacità dell'intelletto incatenato al fenomeno di pervenire all'assoluto, che vi supplisce coll'indistinto ma necessario presentimento deterministico del vero, quasi misteriosa partecipazione del divino nel fondo della psiche umana, e che infine si esplica evolutivamente con formule scientifiche relative, fatalmente mutevoli, rispondenti al perpetuo divenire dell'universo, conferirà forse meglio di quella tradizionale cristiana, ai progressi della sociologia ed alla soluzione dei suoi problemi teoretici?
Non v'ha bisogno di escogitare in modo ipotetico una incerta e audace risposta a tale quesito. Essa è data dalla storia della sociologia, in quell'ultima forma che inclinò prevalentemente ad assumere negli ultimi decenni del sec. XIX, sotto la ispirazione del neokantismo intrecciato alle reminiscenze di Hegel, sul fondamento del positivismo spenceriano corretto dalla psicologia empirica del Wundt; scuola psicologico-positiva (empirica), che nel dominio sociale ebbe uno sviluppo sistematico, succedendo alla scuola biologico-spenceriana e a quella del materialismo storico; e che ormai subì il cimento della critica, di cui pertanto noi possiamo tesoreggiare gl'insegnamenti.
Non affermiamo con ciò, che l'analisi dei sentimenti interiori, ripercossi nella coscienza collettiva dei popoli col titolo caratteristico di psicologia sociale, non abbia apportato luce penetrante in parecchi sviluppi dell'essere e del vivere sociale; di cui anzi (lo proclamiamo e lo dimostrammo altrove) è uno dei fattori precipui. Nè mettiamo in dubbio le intenzioni di molti fra i cattolici, che si affrettano a seguire le mosse di una incerta e non ben rassicurante fisio-psicologia, per incoraggiare il desiderato distacco della filosofia e degli studi sociologici da un materialismo grossolano.
Diciamo bensì – e con ciò entriamo nel nerbo dell'argomento – che le alte premesse filosofiche caratteristiche dell'ora presente, penetrando nel campo sociale, attraverso questa nuova forma di positivismo psicologico, che le coinvolse e coonestò, conducono per logica inesorabile d'idee e di fatti, a conseguenze sfavorevoli alla sociologia, e precisamente a queste tre deduzioni disastrose.
a) Un sistema soggettivistico che prende le mosse dal dubbio o dalla sfiducia intorno alla facoltà dell'intelletto di cogliere con certezza il vero e che perciò dimezza la scienza stessa sociologica riducendola alla ricerca del contingente, del mutevole, del relativo, non deve presto o tardi scoraggiare la indagine intorno al sistema reale, necessario, immutato delle cause, leggi, finalità del mondo umano-sociale, riuscendo così a negare un ordine positivo degli umani consorzi e della civiltà? Così fu; e così è oggi nelle tendenze della scuola sociale-psicologica. In un dominio come quello della società e dell'incivilimento, ove tutto è eminentemente complesso (ciò che gli studi positivi hanno luminosamente assodato) se vien meno la piena convinzione scientifica che si possa rinvenire, al di sotto di quell'involucro variopinto e mutabilissimo, alcunché di obbiettivamente stabile, rispondente alla natura irreformabile degli uomini e delle cose e ai loro fini immutabili, la scienza sociale, più presto di ogni altra disciplina, si riduce a semplice ufficio descrittivo di fatti e di rapporti accidentali e passeggeri, il cui opposto è pur sempre razionalmente ammissibile. La stessa sociologia psicologico-positiva asserì che tutti gl'istituti creduti fondamentali nel consorzio umano sono categorie storiche, riflesso alla lor volta di successivi stati d'animo o di coscienza coi quali quelli possono sempre mutare, rimanendo perciò forniti di semplice valore relativo. Nulla, nelle stesse tendenze continuate dei fatti, di certo e necessario per la scienza, come nulla di fisso e costante nella realtà delle esistenze; nemmeno la libertà personale, giustificabile e buona per certi periodi, irragionevole, iniqua, dannosa per altri; né il matrimonio, che forse non possa domani legittimare il libero amore; né la gerarchia delle classi che impedisca di propugnare un futuro allivellamento; né la proprietà che non prepari il collettivismo; né l'autorità che non preluda all'anarchia. Invero il relativismo della conoscenza che è nel soggetto pensante, apre la via al relativismo della realtà, cioè alla supposizione. che tutto necessariamente muti nell'universo; cioè nell'oggetto della scienza stessa, che perciò si dissolve e scompare. Se la composizione fisicochiniica degli astri, comprovata dalla spettroscopia, o le leggi statiche e dinamiche del sistema siderale, espresse rigorosamente dalla meccanica celeste, mutassero di continuo, si avrebbe più una scienza astronomica? Questa è la sorte che attende anche il sistema umano-sociale esposto dalla sociologia, che obbedisce a quelle premesse filosofiche. In fondo ad esso vi ha la negazione dell'ordine e anche della scienza della società.
b) La seconda inferenza non è meno ruinosa e fallace per la sociologia. Quei germe di determinismo che si cela nelle stesse premesse, comunque nobilitato da un soffio di spiritualità, anzi di misticismo panteistico, non concorre a sminuire la giusta estimazione scientifica di quel massimo fattore dell'ordine e della vita sociale che è la libera volontà umana, scorta dalla ragione e dal sapere accumulato delle generazioni, tendendo così a confondere, sotto la coercizione di uno stesso fatalismo, le cause e le leggi del mondo fisico e del mondo morale; confusione, che si può con tutta sicurezza dimostrare essere stato il massimo errore, che compresse, arrestò, pervertì i migliori progressi della moderna sociologia positiva?
Tale confusione, già cominciata con A. Comte, divenuta sistematica con H. Spencer, trionfante col monismo dell'Haeckel, la quale, in favore di un più o meno larvato materialismo, identificava l'ordine della materia con quello dello spirito, così profondamente distinti, e ne falsava in modo repugnante la loro convergenza ad unità sintetica, oggi sotto altro riguardo riproduce la scuola psicologica.
Essa che pure ebbe non poco merito a rivendicare la realtà delle energie spirituali (anche con osservazioni empiriche interne) inclina alla sua volta a confondere l'ordine naturale dello spirito umano, con quello sovrannaturale divino; e le loro funzioni e mutue relazioni nella vita delle nazioni. Ed oggi che per mezzo della stessa osservazione interna (introspezione dei fenomeni psichici) furono siffattamente rivendicate le energie dello spirito umano, non separate ma distinte dal mondo della materia, si esplichino esse col sapere, colla coscienza riflessa, colla volontà operosa degli individui e delle nazioni; ed oggi ancora in cui tanti studi storici hanno comprovato non solo il sentimento di religiosità, ma il fatto stesso e positivo della religione, cioè del culto alla divinità, e le sue intime e profonde influenze su tutto l'assetto e le vicende della società, questa stessa scuola psicologica menoma la importanza capitale dell'azione libera, distinta, gerarchica, comunque coordinata, di queste due cause spirituali nell'incivilimento.
Il libero volere umano e il supremo governo della libera volontà divina sono i due poli, sotto di cui non la filosofia soltanto, ma la storia, dimostrano aggirarsi le leggi della sociologia; e quella scuola inclina suo malgrado a immedesimare e insieme a deprimere o snaturare que' due fattori spirituali nella società: l'azione divina della religione, facendo di questa un prodotto antropomorfico della nostra psiche, e l'azione umana facendo questa mancipia di quell'ente divino, di cui la psiche è una particella inscindibile.
Le vicende della sociologia, informata a simili concetti panteistici di F. Hegel, possono preannunziare quale sarà l'avvenire anche degli attuali indirizzi. Essa pure, mercé quella che fu detta la destra hegeliana, cominciò con un determinismo mistico che divinizzava tutto l'essere sociale, assorbendo in questo l'autonomia personale (l'individuo è nulla, la società è tutto); e finì, com'è noto, nel determinismo materialistico della sinistra hegeliana, la cui legge suprema, sdoppiandosi, divenne da un canto l'arbitrio dello Stato onnipotente, che tiranneggia colla coazione giuridica la società e dispone dei suoi fini civili, e da un altro l'arbitrio anarchico dell'individuo, che colla rivoluzione e la violenza atterra e disperde società, Stato e civiltà insieme. I neomistici del panteismo religioso odierno, che sono ancora alla prima tappa di questo processo terribilmente logico e storico, si guarderanno bene di arrivare (se potranno arrestarsi) a queste ultime conseguenze; ma frattanto essi possono chiedersi come possano conciliare questa dottrina filosofica intinta di determinismo panteistico, col cammino dell'incivilimento, il quale si dispiega col crescente predominio dell'autonomia umana nella pienezza di tutte le sue energie psichiche e coll'osservanza sempre più perfetta di quella legge morale che all'umana libertà si impone, perché dettata dalla suprema autonomia o meglio dalla sovrana libertà di Dio. Beniamino Kidd, e non già un fedele continuatore della dottrina di s. Agostino, di Orosio, di Bossuet, domanda se da queste fonti eccelse, così distinte e cooperanti, Dio e lo spirito umano, – non sia, come da due sorgenti superne uscita quella «civiltà occidentale» che sola presenta il pegno di destini indefinitamente progressivi. Dilungandosi per poco da questo cardine fondamentale che è una conquista della recente sociologia sopra l'esclusivo impero del materialismo biologico ed economico (a cui è giusto ridire che vi contribuì la stessa scuola psicologica) i novatori si disviano da quel culmine di veduta da cui si può giudicare delle esperienze secolari dell'umanità, e da cui si possono prevedere anco gli sviluppi avvenire degli studi sociali.
c) Infine la neo-filosofia tende a falsare il concetto di progresso sociale-civile, identificandolo con quello di evoluzione; il peccato originale che dalla culla corruppe la sociologia, e che oggi sgominato, come genesi materialistica del mondo fisico, quella filosofia rimette in onore sotto nome di evoluzione psicologica (dallo svolgersi perfettibile del sentimento); rendendo così inconcepibili le leggi dell'incivilimento, che formano la seconda grande funzione della sociologia; per cui questa, dopo aver ritratta la costituzione del corpo sociale, definisce positivamente le manifestazioni della sua vita.
V'ha d'uopo forse di affermare la sostanziale distinzione dei due concetti? Evoluzione, in quanto abbia certi limiti una espressione scientifica (e certamente il seme si evolve fino alla pianta, l'embrione fino all'animale organizzato), è sviluppo crescente che deriva da cause determinanti di necessità fatale propria della materia; progresso è procedimento perfettibile, proprio dell'ente morale uomo (e dell'umana società) che suppone come cause efficienti, da un lato una autorità superiore esterna imperante che gli prescrive un fine doveroso (legge morale) e dall'altro delle libere energie, che tal fine riconoscono coll'intelletto, accettano colla volontà, traducono in atto coll'opera, in modo via via più compiuto. Cosicché questo progresso liberamente inteso, voluto, operato, che riferito alla società è appunto l'incivilimento, si effettua soltanto sotto condizione e nella misura della scienza, della virtù e della retta attività dei popoli; e perciò, a differenza delle evoluzioni il cui carattere è quello di una continuità fino alla completa esplicazione di ogni esistenza fisica, per gli umani tale progresso verso quel fine ideale immutato, è di fatto discontinuo, alternato fra ascensioni conquistatrici, arresti e deviazioni, retrocessioni e riprese lungo la via dolorosa di un calvario, seminato di cadute e di sangue.
Tutti comprendono che sono di natura essenzialmente differenti le leggi che governano lo sviluppo degli animali e delle piante, e quelle che governano la ricchezza sociale, la cultura di una nazione, la potenza politica di uno Stato. Ma coloro che per poco abbiano partecipato alle indagini positive, di recente fattesi mirabilmente ampie, svariate, rigorose, di antropologia, etnografia, biologia, linguistica, di storia politica, sociale, economica, del costume, del giure, delle religioni comparate, intorno alle multiformi esplicazioni della vita collettiva dell'umanità, esse stesse (occorre avvertirlo) analizzate al cimento dei bisogni o delle aspirazioni dello spirito umano, dalla odierna psicologia sociale di Lazarus e Steinthal, hanno raffermato e scolpito nel modo più tangibile questo carattere di discontinuità ed alternanza delle leggi dell'incivilimento. Razze che isteriliscono e scompaiono, altre che si propagano e si impongono; nazionalità caduche ed assorbite, altre dominanti e assimilatrici; anticipate ricchezze opulente che van disperse e mediocrità di vita che si perpetua; costumi semplici e forti secolarmente che poi tralignano in ferocia o in corrutela raffinata; Stati che non sbocciano oltre la comunità di villaggio, di fronte a quelli che crescono corpulenti sfidando i secoli, salvo attraverso grandezze e vergogne di crollare e dissolversi; soprattutto interi cicli di cultura che dagli splendori abbaglianti trapassano alle degenerazioni più goffe; religioni che dal misticismo trascendente precipitano all'empietà e al feticismo abbrutito; immense popolazioni che si cristallizzano in una immobilità millenaria come la Cina; altre che dai sublimi fastigi si adimano nella disperata prostrazione come l'India; tutta intera una civiltà pagana orientale e greco-latina che degrada, agonizza e muore; tutta un'altra civiltà cristiana, che di là rispunta originale, vergine, ardimentosa, e che essa medesima non si sottrae ad accidentali disvii e regressi, ma pur da venti secoli riprende e prosegue la sua marcia vittrice universale.
Quale vastità d'ingegno e di cognizioni acquisite, quale possente sforzo di comprensione sistematica, quale virtù d'induzioni divinatrici, per ricongiungere questa ingente mole di fatti multiformi, disgregati, confliggenti in un vertice unico, armonico ed eccelso, nel quale si compendi la legge suprema dell'umanità progrediente! Eppure tutta questa congerie di fatti solenni e incontrastabili, che le discipline storico-positive addensarono dinanzi ai sociologi, che esercitarono anche nel sec. XVIII e XIX le profonde elaborazioni dei «filosofi della storia » o degli «storici della civiltà», H. Spencer preferì di dimenticare e di posporre ad una pretesa legge biologica evolutiva, continuata, universale, risultante dagli elementari processi della lotta per l'esistenza, della prevalenza degli organismi più forti, della trasmissione atavistica; per costruire un sistema sociologico meccanico, in servizio di quel preconcetto materialistico semplicista, a cui, con una serie di sacrilegi metodologici, esso coarta e sacrifica la storia della civiltà.
Or bene: un errore e un delitto simile contro la sociologia e i suoi destini (sebbene da un punto di vista tanto superiore a quel materialismo) si prepara a perpetrare la filosofia soggettivistica odierna. La quale, tratta dalla sua sfiducia intorno alla capacità dell'intelletto esploratore del vero, tende a plasmare le leggi esteriori dell'incivilimento su quelle interiori del sentimento; e di fronte alla mutevolezza, varietà e contrasto del sentire affettivo, che incalza senza tregua, essa, sospinta da quel germe di determinismo che la ispira, pensa di rinvenire una legge di continuità in una pretesa evoluzione psicologica della coscienza che dagli stati d'animo più indistinti ed informi salirebbe necessariamente a presentimenti intuitivi quasi divini, trascinando dietro di sè le ascensioni umane.
È una ipotesi semplicista anche questa, che in contrasto colla complessità e varietà del cammino secolare della civiltà è costretta a prescindere dalla realtà storica positiva di esso. Non saremo noi qui né a negare l'esistenza della psicologia empirica contemporanea, né i servigi che essa ha reso e promette di sua natura di rendere alla filosofia in genere e alle stesse scienze sociali. Certamente anche in questo campo, che ora è in questione, deve riconoscersi che il sentimento è uno dei fattori del vivere civile, e l'analisi di esso, dai fenomeni della psiche individuale trasfondendosi in quelli di psicologia sociale, riuscì a portar luce preziosa e a designare forze latenti e potentissime nello sviluppo dei consorzi umani. E più, dacché le osservazioni interne (introspezione) di questa fisio-psicologia aveano condotto da un canto ad additare qualche cosa in noi che non è riducibile alla vita sensitiva, cioè l'anima spirituale, e da un altro ad annoverare fra le serie dei bisogni umani anche quello del sovrannaturale, cioè della divinità, riaffermando così al di là di una grossolana biologia le due grandi cause effettrici e moderatrici dell'incivilimento, lo spirito umano e Dio; e attribuendo così alle leggi pur sempre positive del progresso sociale, un carattere eminentemente razionale, come un sistema di energie convergenti ad un fine. E non esitiamo ad aggiungere che il favore diffuso e qualche volta entusiastico che anche fra i credenti incontrarono questi studi fisio-psicologici, fu per lo più sinceramente ispirato da tali previsioni lusinghiere per la religione, per la filosofia e per la stessa sociologia. Ma oggi, in cui questa sana e promettente psicologia empirica, mal disposta al neokantismo, intende collocare, anche nel vivere sociale, il sentimento al posto della ragione, scoronata di ogni virtù dimostrativa, e quello asservire ad un evoluzionismo nell'incivilimento che non sarebbe fuorché il riflesso al di fuori dell'inconscio divenire della psiche al di dentro, diciamo che tale concezione psicologica è arbitraria, aprioristica, minuscola, incapace di dar proporzionata ragione delle immense e variopinte cause, leggi, finalità del progresso civile, la cui ricerca sistematica forma il fastigio della sociologia.
Così Ludwig Stein, che testé compendiava con grande erudizione sotto questo riguardo i risultati di ogni altra scuola sociologica, fa passare sotto gli occhi attoniti, quasi in una danza vertiginosa l'evoluzione psicologica della famiglia, delle classi, dell'organismo sociale e dello Stato, della ricchezza, del diritto, della scienza, dell'arte, delle religioni. Spariscono sotto la sirena ammaliatrice di questa evoluzione psicologica i contrasti più stridenti, le battaglie più durature, i ricambi più inattesi e fecondi, fra continenti, razze, culture, età critiche della storia, da cui prorompono le energie rinnovatrici e propellenti delle umane generazioni, sulla via aspra, intercisa, troppo spesso insanguinata, ma sempre gloriosa del progresso, e che ne porgono le ragioni vive e reali. E così fra ari e semiti, fra il culto monoteistico e il politeistico, fra cristianesimo e gentilità, fra l'oriente e l'occidente, fra il mondo greco-latino e quello germanico, fra il cattolicesimo trionfante nel medioevo papale, e il neo classicismo paganeggiante del rinascimento, fra il protestantesimo di Lutero e il razionalismo della rivoluzione francese; fra i secoli della schiavitù schiacciante e della libertà rivendicatrice, delle aristocrazie cristallizzate e della democrazia emancipatrice, fra l'individualismo egoista e la solidarietà universale, fra i tramonti e le aurore, fra la morte e la vita delle nazioni. Per tali psicologi una stessa linea ascendente, senza soluzione, solleva l'umanità dalla esistenza ferina del troglodita nelle caverne alle presenti generazioni d'Europa e d'America, dense, culte, libere, possenti, sempre anelanti a più eccelsi culmini di civiltà; a cui per intima virtù misteriosa ascenderebbero, come la psiche ingenua del fanciullo che per il semplice fatto del volgere degli anni si trova sollevato alla pienezza virile delle sue facoltà. Questa è pur sempre la vecchia ipotesi di un determinismo evolutivo, trasferito dalla biologia alla psicologia; il quale, sorvolando alla rude e ineluttabile realtà della storia sociale, dal cui urto escono trionfatrici le cause libere umane e le finalità divine, provvidenziali, offusca e rimove le visioni e il valore di quelle energie spirituali, che la psicologia empirica vantavasi di aver disseppellito e rivendicato, e che invero al di sopra delle influenze cosmiche e delle forze biologiche sono destinate a porgere la formula suprema delle leggi dell'incivilimento. Così la scuola sociologica tende a rinnegare se stessa e insieme la sociologia positiva che era chiamata a vivificare.
III
1. Siamo ben disposti ad ammettere che non tutti i seguaci di queste premesse dell'odierna filosofia pervengano a queste conseguenze scientifiche dinanzi al problema delle cause e leggi del progresso civile. E sappiamo che vi ha pure il dogmatismo sociale di Balfour, di Brunetière, di Mallock che restaura risolutamente l'autorità divina nell'ordine sociale, e il pragmatismo o filosofia dell'azione, già di Gratry e poi di Ollé-Laprune, Blondel, Fonsegrive, Laberthonnière, i quali magnificano la sovrana efficacia della religione e di tutti i fattori spirituali da essa informati, non solo nel perfezionamento individuale, ma anche nel progresso civile.
Ma poiché tutti a vario grado si accordano nel riporre la giustificazione di questi veri, esprimenti le cause e leggi dell'incivilimento, non già nella certezza obbiettiva di ragione, ma in una disposizione affettiva del soggetto pensante, rimane pur sempre a prevedere che essi, come già nel dominio teologico si posero sullo sdrucciolo dell'errore dogmatico oggi riprovato (veggansi le recenti condanne di Roma) e in quello filosofico dello scetticismo sistematico novellamente segnato da desolanti disastri (ammaestri la storia della psicologia e del neokantismo), così essi medesimi sull'appoggio instabile del fenomenismo interiore, è a credersi (ripetiamo) trovinsi lor malgrado travolti da quell'evoluzionismo psicologico sociale, il quale, rimovendo la indagine esteriore, positiva, storica delle cause e dei fini del progresso sociale, sotto la scorta dei principi filosofici razionali, – conduce alla negazione della scienza dell'incivilimento.
Fata trahunt, si può ripetere anche qui. Noi siamo ancora alle prime mosse del cammino discendente e dovremmo dire ruinoso, perché destinato a disperdere gli acquisti più sudati, certi e preziosi della scienza sociale, specialmente cristiana. Ma possiamo additarne le tappe, fossero pure segnate per ora da semplici fessure e sgretolamenti nell'edificio della sociologia; e ciò specialmente in Italia, dove (è circostanza storica caratteristica ed espressiva) il problema filosofico così detto moderno che poi divenne religioso dogmatico, si presentò sotto l'involucro di critica alle dottrine sociali del cattolicesimo. Quando Leone XIII con sapienza eguale al senso storico, dopo aver rimesso in onore la filosofia scolastica, riprodusse il sistema maestoso delle dottrine cattoliche intorno alla società e agli Stati, traendone più tardi distinte, vive, concrete deduzioni e riferimenti alla questione sociale operaia, fu qui in Italia, a preferenza di altre nazioni, che dopo le prime universali attestazioni di assenso, ossequio e plauso, spuntarono latentemente le opposizioni a quel sistema, nella sua parte sociale e nel suo aspetto propriamente democratico. Movendo da alcune difficoltà di applicazione e anche da tal une resistenze pratiche del clero stesso, di fronte a più recenti sperimenti economico-popolari, in cui altre nazioni erano di lunga mano addestrate, e in un paese come l'Italia, in cui l'assenza stessa secolare d'immanenti lotte religiose fece prevalere spesso fra il popolo le forme più che lo spirito cristiano vivificatore della vita individuale e sociale, fra giovani nobilissimi per aspirazioni del bene e ardenti di misurarsi nell'arena sociale in nome della stessa lor fede, ma impari all'urto per difetto di profonda educazione religiosa e di sana cultura filosofica, si moltiplicarono dubbi, critiche, impazienze, che implicando prima e massimamente il valore intrinseco e l'efficacia pratica di quelle dottrine sociali stesse, si estesero poi all'autorità della gerarchia ecclesiastica che le avea pronunciate, e infine risalirono ai principi morali, filosofici, dogmatici del cattolicesimo, accusandoli d'incompatibilità coi così detti principi della scienza e della civiltà moderna. Così questa corrente ostile alla Chiesa, di derivazione sociale, si incontrò colle correnti novatrici, che altrove scesero più direttamente dal neokantismo universitario e dalla teologia protestante, come altri rigorosamente comprovarono. Ma frattanto questa origine storica, speciale per la nostra Italia, del modernismo filosofico-religioso, ci abilita a sorprendere qui gl'indici rivelatori delle sinistre influenze di quello sopra la sociologia. E tali indizi sintomatici ci sembrano i seguenti.
2. Si menomò il valore dei principi astratti spesso col titolo spregiativo di metafisica nelle scienze sociali, intendendosi in particolare quelli tradizionali della scolastica; immemori che H. Spencer stesso e tutti gli autori e seguaci delle scienze naturali positive si trovano astretti a premettere alcuni principi direttivi come lampada in mano dell'esploratore, e a risuscitare una nuova metafisica, a giustificazione delle loro ricerche; e che in particolare dai principi della filosofia tomistica la storia critica della letteratura sociale ha, per opera spesso di protestanti e razionalisti, e non soltanto di cattolici nei loro scritti e nella celebre Unione internazionale di studi sociali (di Friburgo), desunto norme e leggi di vita sociale economica di alto pregio scientifico e di fresca e vivente praticità. Di fronte si esaltarono i così detti «principi della scienza e della civiltà contemporanea», figliati dalla rivoluzione luterana e da quella francese, nei quali non si riuscì dai novatori a riconoscere contro irrefragabili risultati della critica contemporanea, una sfigurazione delle dottrine del vangelo e della Chiesa, ovvero una perversione di essi, da cui derivarono aberrazioni scientifiche umilianti e lacrimevoli convulsioni della società moderna. Dai principi si trapassò ai fatti fondamentali dell'incivilimento e delle corrispondenti induzioni positive che intessono il volume della sociologia, falsandone la estimazione. Non mancò chi chiamasse «piccina» quella filosofia della storia, che precorse da oltre un millennio le odierne costruzioni sociologiche, che vanno elevandosi sul sustrato degli studi comparati sulle religioni, per cui (fatto storico solenne, non preconcetto filosofico) tutto appare una preparazione di Cristo prima di lui, e uno svolgimento di Cristo dopo di lui; sicché ritorna a ricollocarsi Cristo come centro dell'incivilimento; luminoso e immanchevole faro direttivo per il sociologo nell'oceano burrascoso delle vicende dell'umanità. Certamente in tanta riviviscenza di studi psicologici delle religioni non si mancò (ormai col consenso di tutti) d'illustrare spesso sottilmente i titoli di preminenza incontestata del cristianesimo nella civiltà ed anche la inesauribile virtù vivificatrice, che tiene in serbo per la società presente e futura. Ma di ricambio si inclina a menomare la concreta importanza sulla società della Chiesa cattolica, in forza della pienezza del suo magistero e ministero, della sua tradizione, nonché della sua poderosa organizzazione universale; e a considerare (con Harnack) già chiusa la sua funzione civilizzatrice nei secoli trascorsi; ed oggi la vecchia Chiesa già da altri superata, o comunque atrofizzata, si sospetta ormai incapace ad attuare e forse ad intendere il grande compito rinnovatore dell'ora presente. E il problema democratico? Non è quello di fronte al quale l'atteggiamento degli ordini sociali-civili segna addirittura due immense e opposte epoche della storia, l'una pagana, in cui tutto il parallelo grammo delle forze collettive gravante sulla inesorata immolazione delle moltitudini asservite, torna ad esclusivo profitto e dominio dei ceti superiori, l'altra, l'età cristiana, in cui si rovescia questa piramide e comincia per la prima volta, sul fulcro della dignità, del merito, del lavoro personale, l'ascensione non più arrestata degli umili a partecipare proporzionalmente ai benefici crescenti della civiltà? Dinanzi a tale problema democratico, che è il midollo della questione sociale dei nostri dì, si confessa bensì che la Chiesa e il pontificato lo hanno oggi ripreso nelle proprie mani, come nuovo atto della tradizionale missione cristiana verso il popolo; ma poi troppo spesso nelle soluzioni concrete se ne restringe l'ingerenza, se ne contesta il vantaggio, se ne rifiuta l'autorità. Anzi questi figli di una scuola spiritualistica, che affermò con vero merito la questione odierna sociale essere in sostanza etico-religiosa e la sua soluzione dipendere massimamente da una penetrazione, purificazione, intensificazione (e ne conveniamo) dello spirito cristiano in tutte le latebre del corpo sociale, s'incontrano sovente a condurre una campagna militante in pro di un programma sociale riformatore, che essi medesimi proclamano aconfessionale, amorale, areligioso; conferendo a ribadire disgraziatamente l'esclusione del sovrannaturale (che pure è un fatto storico) dalla vita e quindi dalla scienza della società. Se nel dominio della meccanica celeste si senta ripetere l'affermazione dell'astronomo scettico, che cioè per spiegare scientificamente i moti siderali non v'ha bisogno dell'ipotesi di Dio, si può per un momento tollerare; ma senza un Dio, il quale conduce gli umani che s'agitano verso un comune fine supremo, si può dar ragione delle cause e leggi dell'incivilimento?
Finalmente fra questo agnosticismo di principi e di tradizioni, quale è la produzione scientifica sociale ? Per questi novatori nulla vi ha di acquisito definitivamente a queste scienze sociali, intorno a cui si aggirarono le indagini pazienti, febbrili, universali di più generazioni di studiosi, per oltre cinquant'anni. Nell'atto che, specialmente in Italia, si preannunziano con insistenza quotidiana, nella scienza come nella vita moderna, nuove direzioni, nuovi orizzonti, nuovi ideali, nuove aspirazioni, si moltiplicano bensì i problemi, incalzano anche fra noi, come al di là delle Alpi, le «Streit und Zeitfragen»; ma le soluzioni? Si addensano piuttosto gli enigmi, anche su ciò che fu reputato finora, almeno nelle grandi linee, rigorosamente acquisito: sulla distinzione fra la società e lo Stato e sui rapporti reciproci, sulla genesi e sviluppo delle classi, sulla dignità e funzione della donna, sulla natura e svolgimento della proprietà personale e collettiva, sul predominio dei fattori spirituali su quelli utilitari e materiali del vivere privato e pubblico. E fra un confusionismo d'idee, da tutti denunciato e lamentato, ondeggiano e s'urtano bene spesso nello stesso cervello i frantumi di scuole e dottrine vecchie e nuove, l'evoluzionismo sentimentale e mistico, le reliquie dell'evoluzione biologica, il rinascente materialismo storico, i tramonti inonorati dell'utilitarismo individualista, l'eco rumorosa del solidarismo socialistico. Gli uomini periti nella letteratura scientifica di questi dì possono fare testimonianza di questo stato morboso del recente pensiero sociale, all'infuori di ogni personale recriminazione.
IV
Ma sotto la tirannia latente di quelle premesse, in Italia e fuori, vi ha di più e di peggio. Ciò che ogni dì più vien meno, crolla e si dilegua, è la concezione sintetica (analiticoinduttiva) dell'ordine sociale e dell'incivilimento, i cui tentativi pur sempre grandiosi, comunque errati, di Comte, di Spencer, di Schaffle, attestarono già potente virtù di coordinamento sistematico dei veri che è il sommo della scienza.
Se mai (siamo tentati adire) nello scibile intero vi abbia una costruzione sistematica della scienza, la quale sopponga ed invochi le sublimi altezze e movenze del genio – che da nulla arrestato signoreggia con un solo sguardo tutti i domini delle esistenze – che fa sprizzare la scintilla creatrice dell'idea dall'analisi dei fatti più minuti, eterogenei e refrattari – che, attraverso le infinite circonvoluzioni di cui si compone la struttura e la vita della società, sa far passare la linea coordinatrice sottilissima, che congiunge la base al vertice di quel cono piramidato che si drizza al cielo, tale compito grandioso è certamente quello della sociologia che voglia ricondurre a sistema le cause e le leggi dell'incivilimento. È ciò che intuiva G. B. Vico quando tentava di fermare «la legge ideale eterna della storia».
Da qualche tempo invece si succedono le enciclopedie e i dizionari di scienze sociali, di Wagner, di Elster e Conrad, di Lexis e Loening; ma dove sono le poderose induzioni, che si levino su vive coordinate universali, dall'ingente materiale di ricerche positive e rigorose, sopra tutti i territori, le stirpi, gli ordini civili; le culture del mondo dalle età preistoriche alla convulsa società odierna, che pur trasforma sotto i nostri occhi, dall'occidente al Transvaal, al Giappone e alla Polinesia ? Come si fecero servire finora questi tesori di cognizioni analitiche a preparare il responso intorno alle cause del crescere e decadere dei popoli?
Tali civili ardimenti di potenti induzioni, rivelatrici in questo campo della sociologia, oggi dagli studiosi, quasi colpiti da precoce senilità, non solo ormai raramente si tentano, ma pare che noi tutti ci rendiamo ogni giorno più incapaci di comprendere la funzione e la grandezza di una trattazione sistematica della scienza. Dopo tante illustrazioni di ogni lato del poliedro sociale, e tante discussioni intorno ai metodi analitici induttivi, oggi non è ancor risoluto il quesito se la sociologia si confonda colle singole scienze intorno alla società e forse colla filosofia del diritto, ovvero se, sollevandosi sopra di esse, abbia veramente carattere sintetico; e quasi periodicamente ci sentiamo sorpresi ed incalzati dalla desolante interrogazione: esiste veramente una sociologia? Si rimuove financo la possibilità di una costruzione sistematica; perché, con un ricorso all'errore fondamentale di A. Comte, e a dispetto di tutti i recenti indirizzi delle scienze naturali, si ripete che l'ufficio della scienza si restringe alla esposizione della legge, escludendo ogni principio e ogni ricerca delle cause e dei fini da cui quella deriva e a cui è conversa; legge pertanto che anche nel campo sociale, come fu compendiata già in quella ideologica del passaggio dalla evoluzione teologica alla metafisica e infine alla positiva, e poi in quella biologica della trasformazione degli organismi vitali, ora si disegna nella evoluzione psicologica, ossia della mutazione degli stati di coscienza. E che cosa sono divenuti i sommi principi, il cui coordinamento gerarchico forma la colonna vertebrale della enciclopedia del sapere? Mentre nella più matura fra le scienze sociali, l'economia, altri ebbe la goffaggine di scrivere che il principio edonistico, cioè quello razionale supremo che domina nella stessa astronomia celeste, espresso «dal massimo effetto utile col minimo dispendio di forze», non è che una concezione artificiale e interessata dell'odierna borghesia capitalistica – noi udimmo pronunciare anche da uomini colti e credenti questa proposizione, la quale fa scempio di quella verità la cui rivendicazione fu gloria dell'economia cristiana di fronte al liberalismo utilitario e individualista: è proprio vero che il principio dell'utile debba scientificamente ricercarsi nella subordinazione dai precetti, dalla morale e dal diritto, che ne formano il presupposto logico? No, essi stessi rispondono, le teorie economicosociali sono vere o false come lo possono solamente essere le formule di matematica pura, indipendentemente da condizioni di effettuazione di carattere etico e giuridico. Anzi, risalendo al fastigio dell'unità enciclopedica si nega che esista anche nelle scienze morali una scienza cristiana, neppure intesa in senso negativo di sistema di veri di ragione, che non contrastino con quelli del sovrannaturale e trovino in questo il proprio complemento. Così si atterra e rifiuta il fastigio supremo della enciclopedia. Anzi, passando noi pure a scrutare l'odierna mentalità confesseremo che un senso di sfiducia invade dovunque le ricerche del vero, come lo scoramento penetra nella vita; e nel dominio stesso della sociologia che un dì valse a suggerire tanto entusiasmo e presuntuosi disegni ci troviamo sospinti verso la negazione, sotto il funesto presentimento che maestri e discepoli domani si troveranno abbracciati nel nulla.
1. Or bene, quale impensato rivolgimento accadde da ultimo nello spirito scientifico del tempo, da giustificare tali opposte concezioni e funeste previsioni intorno alla sociologia? Un forte e versatissimo ingegno, anticristiano per eccellenza, che tiene un posto elevatissimo fra gli odierni positivisti radicali, e che tentò egli stesso una potente sintesi sociologica, la quale rinnovasse, sopra basi più rigorosamente scientifiche di quelle di C. Marx, la genesi sociale economica della civiltà moderna, Achille Loria, risponde oggi per noi:
«È questo (così egli) il più melanconico, se non il più solenne episodio del grande processo di deoggettivazione del sapere, che è lineamento caratteristico nell'ora presente del pensiero umano. La scienza (prosegue) al tempo stesso in cui smarrisce completamente l'oggetto delle proprie investigazioni, viene circoscrivendo via via il suo orizzonte spirituale, e dalle più vaste visioni d'altri tempi degrada a concezioni più frammentarie e più tenui. Giosuè Carducci … ha da gran tempo segnalato con terrore l'iniziarsi di un processo morboso di sminuzzamento del sapere. Lo spirito della società nostra, così egli scriveva fin dal 1873, va sempre più raffreddandosi e la produzione della civiltà ogni giorno più rimpicciolisce, rammeschinisce, raggicchiasi… Vi è un processo storico di trasformazione degenerante. Il fatto è che non abbiamo più potenza idealizzante a rappresentare nell'armonico loro insieme tutte le essenze, tutte le condizioni, tutte le forme; e smembriano quello che è necessariamente organico e dello smembramento ci applaudiamo. E tale carattere (riprende il nostro autore) è perfettamente spiegabile, siccome naturale corollario di quel processo di deoggettivazione stessa, che è così intenso nel sapere contemporaneo. Infatti la scienza, la quale penetri profondamente nel proprio oggetto, è tratta forzatamente a discendere nei segreti abissi delle cose, per entro ai quali è, a così dire, tangibile l'intima solidarietà dei fenomeni e delle forme in apparenza più varie. Perciò il pensatore che si addentri nelle viscere del proprio oggetto, è tratto inconsciamente ad una visione universale ed a comprendere nella propria disamina la totalità delle cose esistenti… E non è perciò che troppo spiegabile, se la scienza moderna, ormai divelta dalla nozione intima del proprio oggetto, impaludi ogni giorno più fra le minuzie dello specialismo unicellulare… e se si faccia più viva ogni dì la reazione contro quella storia comparata che volea trarre dai dati comuni intorno allo sviluppo dei più diversi popoli… i principi generali e costanti della convivenza e della evoluzione umana, e sempre più si tenda a rimpicciolire la storia fino a farne un erbario vivente… senza alcuna sintesi o legge. Sproporzione stridente fra la faticosa congerie delle argomentazioni meticolose e la esiguità dei risultati, che è l'indice consueto dei periodi di spossatezza intellettuale, la prova che il campo fin qui solcato è presso ad esaurirsi».
2. Nessuna risposta più di questa fiera e inconfutabile poteva darsi al quesito che ci proponevamo di esaminare, sulle influenze che le premesse filosofiche caratteristiche della presente età dispiegano sugli studi sociali. Tutte quelle premesse sono figliate dalla dottrina neokantiana del soggettivismo, per cui il vero non è che un bagliore incerto, balenante, transeunte per entro l'intelletto della realtà obbiettiva dell'universo. E dietro questa teorica scettica e preconcetta della conoscenza, i novelli suoi discepoli, e quelli stessi che si professano credenti, come procedono a precipizio sulla via di una religione senza dogma e di una filosofia senza principi, così trovansi sospinti verso una scienza sociale dell'incivilimento, senza cause, senza finalità, senza unità sistematica e universale; proprio all'opposto delle più accettevoli e onorifiche vocazioni della scienza moderna, quella di una sociologia positiva, sintetica, pratica od operativa. La psicologia empirica rettamente intesa prometteva di ridonare luce e vita all'ammasso gelido e incomposto «delle ossa aride» di una sociologia materialistica. Ma mal disposata a questo soggettivismo, sotto la visione proiettiva di esso; tutto si altera, si falsa, si spezza, si raccorcia ed esinanisce.
Si investiga minuziosamente (come avvertimmo) ciò che vi ha di accidentale e relativo, ma non ancora quello che vi ha di essenziale, permanente e duraturo negli umani consorzi; ciò che vi può avere di analogo al processo deterministico del regno della natura fisica, non già ciò che offre, in seno alle stesse tendenze normali, di originalità, di spontaneità, di varietà e di espansione indefinita la vita morale della società; ciò che si può dell'immenso cammino della civiltà rinchiudere nel giro dei fenomeni mutabili della psiche, non già ciò che si deve e si può ritrarre da una complessa e possente sintesi induttiva, fondata sopra i fatti di osservazione interna ed esterna, coordinando ai fini certi ed ideali dell'incivilimento tutta la serie gerarchica ed armonica delle cause e delle leggi fisiche e morali, dell'ordine naturale e sovrannaturale. Non si rovescia impunemente il mondo intellettuale, scardinandolo dalla veduta oggettiva della realtà, per riporlo in quella soggettiva del pensiero: i due poli fra cui oscillò sempre la storia del sapere umano. E così noi possiamo con tutta sincerità scientifica formulare alla nostra volta questa interrogazione che ci sembra involgere una decisiva conclusione. Gli uomini, che accettarono questa seconda comprensione filosofica come un vanto della cultura moderna, hanno mai essi sospettato che in fondo a questo cammino ruinoso, si riesce al nichilismo della scienza, e che la prima vittima ne sarebbe la sociologia?