Una Messa antica… straordinariamente \"normale\"!

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UNO “STRAORDINARIO” … STRAORDINARIAMENTE “NORMALE”

Priva di una facciata imponente, i portali affacciati sotto i portici che si inseguono senza soluzione di continuità verso il vicino traguardo di porta San Vitale, in una zona del centro che sempre meno invoglia i passanti a indugiare un poco per osservare ciò che li circonda, quella di Santa Maria della Pietà è forse, tra le grandi chiese storiche della città, una delle meno note ai bolognesi.
Da qualche mese a questa parte, tuttavia, anche molti di quelli che non vi hanno mai messo piede, la conoscono come “la chiesa dove si dice la Messa in latino”. È dal 1° novembre scorso, infatti, che alle 18 di tutte le domeniche e le feste di precetto, qui si celebra la S. Messa nella forma antica, secondo l’ultima revisione del Messale Romano promulgata dal Beato Giovanni XXIII nel 1962. Quella che il Motu Proprio “Summorum Pontificum cura” di Benedetto XVI ha definito come “l’espressione straordinaria” dell’unico Rito Romano.
La “straordinarietà”, com’è di sua natura, tende ad ingombrare tutto l’orizzonte disponibile alla considerazione, mentre è proprio nel segno della “normalità” che si possono leggere gli aspetti qualificanti della situazione.
La chiesa della Pietà è infatti il cuore di una parrocchia; una parrocchia assolutamente unica nel suo essere… come tante altre: qui la comunità si riunisce, ogni domenica e ogni giorno, per celebrare le funzioni liturgiche in italiano.
Ancor più normale (tanto da non fare assolutamente notizia) è la normalità di alcuni preti – tre parroci della Diocesi – che… credono a quanto dice il Papa; che gli credono quando scrive che il Motu Proprio nasce come “frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera”; che, fidandosi, in piena comunione con l’Arcivescovo e con il suo incoraggiamento, cercano di dare risposta all’esigenza espressa da un nutrito gruppo (oltre 250) di fedeli. E che, così facendo, hanno avuto modo di sperimentare la verità delle affermazioni del Pontefice.
Verificando, innanzitutto, come le due forme del Rito Romano, anziché contrapporsi, possano davvero vicendevolmente arricchirsi, dal momento che è lo stesso inesauribile Mistero che viene celebrato nell’unica fede. L’accentuata sacralità della Messa antica insegna a vivere ogni liturgia come un dono da accogliere dall’alto, prima che come una serie di azioni da compiere o da “inventare”; aiuta a non dimenticare che al centro di ogni Messa c’è il Signore con le “grandi cose” che compie per noi; impedisce di confondere la “partecipazione attiva” alla celebrazione con il “fare materialmente qualcosa”.
Viceversa, la consuetudine ormai acquisita dalla Messa in italiano fa sì che l’assemblea trovi naturale il dialogo col celebrante; e per questo chi partecipa alla Messa antica alla Pietà (finora tra le 40 e le 70 persone) ha a disposizione dei sussidi, decorosi per quanto “fatti in casa”: un libretto con l’Ordinario della Messa, e il foglietto del Proprio del giorno, in latino e italiano; mentre le letture, secondo le indicazioni del Motu Proprio, vengono proclamate in italiano, e abitualmente commentate nell’omelia, non diversamente da come si farebbe nella liturgia ordinaria.
Anche l’interesse dei giovani per questa forma liturgica, segnalato dal Papa, ha trovato un puntuale riscontro: se la maggior parte dei partecipanti alla Messa antica alla Pietà ha un’età al di sotto dei 50 anni, non mancano giovani e studenti universitari, disponibili oltretutto per il servizio all’altare e per l’accompagnamento musicale.
Non a caso, è proprio una ragazza che, al termine di una Messa, ne ha fatto l’elogio – forse non intenzionale – a me più caro: quando, riferendosi ai partecipanti, non ha saputo trattenersi dall’esclamare: “Ma… sono persone normali!

Don Tiziano Trenti

© Avvenire Bologna7, 27/1/2008