Un Vescovo fedele ingiustamente rimosso

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Sinodo sulla famiglia

Quella strana sensazione di epurazioni con processi sommari…

 

La sensazione è strana…. Nei giorni scorsi i maggiori quotidiani nazionali hanno equiparato due casi assolutamente diversi: quello dell’arcivescovo polacco Jozef Wesolowsky, ex-Nunzio in Santo Domingo, arrestato dalla Gendarmeria vaticana su ordine di Papa Francesco per pedofilia, e quello del vescovo mons. Rogelio Ricardo Livieres Plano, rimosso dalla guida della Diocesi di Ciudad del Este, in Paraguay: foto affiancate in prima pagina, benché le loro posizioni non siano per niente equiparabili.

Per quanto riguarda mons. Wesolowsky, la giostra mediatica ha puntato i riflettori sull’accusa di pedofilia, ignorando la sua conclamata omosessualità. Sino al paradosso, rappresentato dal quotidiano della Cei, “Avvenire”, che nella stessa pagina alla notizia dell’arresto del nunzio polacco ha affiancato l’esaltazione di un suo noto emulo sessuale, Pier Paolo Pasolini. Giuliano Ferrara, ha definito «grottesca» e «deludente» l’intera vicenda, facendo notare come «il processo canonico non sia concluso», essendo in corso l’appello, «e quello penale non sia praticamente cominciato». Qui «dov’è la misericordia?», si è chiesto.

Di tutt’altro tenore la vicenda di mons. Livieres Plano. La grande stampa lo ha presentato come colpevole di avere insabbiato il caso del suo Vicario Generale don Carlos Urrutigoity, accusato 12 anni fa negli Usa di abusi sessuali. Non è così e lo ha chiarito esplicitamente al “New York Times” il portavoce della Santa Sede, Padre Federico Lombardi: «Il problema importante erano le relazioni all’interno dell’episcopato e nella Chiesa locale, difficili», ha detto, mentre di don Urrutigoity «si è parlato, ma non era centrale».

Anche il comunicato emesso dalla sala stampa della Santa Sede si è limitato a parlare di una decisione «ponderata da serie ragioni pastorali» ed «ispirata al bene maggiore dell’unità della Chiesa di Ciudad del Este ed alla comunione episcopale in Paraguay». Da molto tempo mons. Livieres era ai ferri corti coi suoi confratelli Paraguay.

Come ricordato in un memoriale sul sito della sua ex-Diocesi, il vescovo si è reso scomodo, per aver denunciato apertamente la contiguità dell’episcopato paraguaiano con la Sinistra e con la Teologia della Liberazione. Ha fondato un proprio Seminario diocesano, per preservare i suoi futuri preti dalla marcata connotazione politico-ideologica di quello nazionale di Asunción: un successo, con oltre 60 sacerdoti in 10 anni e 40 nuovi seminaristi all’anno. Forte però la reazione dell’episcopato, conscio che ciò «avrebbe rotto e ruppe lo schema monolitico», in cui veniva formato il clero del Paese.

Gli han rinfacciato di tutto, anche la sua appartenenza all’Opus Dei. Ai tempi di Vatileaks (coincidenza?) trapelò una sua lettera riservata a Benedetto XVI, in cui, lamentando la distanza dei vescovi paraguaiani dalla Dottrina della Chiesa, suggerì nuovi criteri differenti per la selezione dei futuri prelati, suscitando anche in Diocesi la reazione di una decina dei suoi sacerdoti (su 80) e quella del laicato più impegnato nella “pastorale sociale”, al punto da chiedere la visita apostolica. Mons. Livieres godette però del sostegno tanto di Giovanni Paolo II quanto di Benedetto XVI. Evidentemente «Papa Francesco ha deciso di ritirarmi il suo appoggio», ha concluso amaramente l’interessato nella lettera inviata al Prefetto della Congregazione per i Vescovi, card. Marc Ouellet.

 

Lettera in cui con grande dignità ha fatto rispettosamente notare alcune oggettive irregolarità, di cui è stato vittima: non ha ricevuto la relazione seguita alla Visita apostolica compiuta nella sua Diocesi dal Card. Santos Abril Y Castello; l’annuncio pubblico della sua rimozione da parte del Nunzio è avvenuto prima della notificazione scritta del decreto, forse per evitare le reazioni dei fedeli; benché negli stessi giorni del blitz si trovasse a Roma, non ha mai potuto difendersi di fronte al Pontefice: «A dispetto di tanti discorsi su dialogo, misericordia e rispetto per l’autorità delle Chiese locali – ha scritto – non ho avuto neppure l’opportunità di parlare con Papa Francesco, né modo di chiarirgli dubbi o preoccupazioni».

E conclude: «Come figlio obbediente della Chiesa, accetto questa decisione, benché la consideri infondata ed arbitraria». Decisione, di cui «il Papa dovrà render conto a Dio più che a me», definendo «la sostanza del caso una persecuzione ideologica». L’annuncio della destituzione, in Diocesi, è stato dato dunque in sua assenza. Come spiegato dal blog “Página Católica”, il Nunzio ed il nuovo Amministratore apostolico, mons. Ricardo Valenzuela, si sono recati a Ciudad del Este, prendendo possesso della sede. Non meglio identificati «inviati di Francesco» si sarebbero recati con la Polizia presso la Curia Arcivescovile, mettendo i sigilli agli armadi.

L’anziana madre del Vescovo ‒ 89 anni – è stata sfrattata senza complimenti dall’alloggio, su cui son stati messi i lucchetti: «Si è consumato un golpe», ha commentato il blog. Cosa avrebbe potuto dire mons. Livieres, se fosse stato interpellato? Che don Urrutigoity non è mai stato processato da alcun Tribunale, né civile, né religioso. Che le tre accuse mossegli circa presunti abusi sessuali, in Usa ed in Paraguay, son finite in niente, riconoscendone anzi l’innocenza. Che la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede riconobbe l’impossibilità di procedere a suo carico, stante l’assenza d’imputazioni reali. Che, quando giunse a Ciudad del Este nel 2005, godeva dei giudizi favorevoli di diversi esponenti vaticani, compreso l’allora card. Ratzinger. Quanto alle accuse di malversazione, mons. Livieres Plano avrebbe potuto spiegare come i finanziamenti ricevuti dalla società della centrale idroelettrica di Itaipu ed il ricavato dalla vendita di alcuni immobili diocesani inutilizzati siano stati integralmente destinati al mantenimento del Seminario.

Una vicenda che ricorda tristemente quella analoga del vescovo di Limburg… Lo scorso 27 settembre mons. Livieres tramite lettera ha invitato i suoi fedeli ad «obbedire alla legittima autorità» ed i seminaristi a star «sempre lieti», come vuole san Paolo, mantenendosi fedeli «al Magistero ed alla Tradizione», per divenire così un giorno «buoni e santi sacerdoti». Lui era l’unico vescovo di orientamento conservatore presente in Paraguay. Rimuovendolo, si è riproposto l’incubo vissuto già col caso dei Francescani dell’Immacolata: «La Santa Sede interviene punendo chi manifesti fedeltà alla Dottrina e produca frutti spirituali» ha scritto in merito il blog “Campari&deMaistre”, con «provvedimenti “amministrativi”, senza alcuna possibilità di difendersi dalle accuse, che non vengono formulate se non con riferimenti totalmente arbitrari ad una presunta mancanza di “sensus Ecclesiae”. L’arma della diffamazione e della delazione sembra ormai diventata lo strumento per mettere a tacere gli avversari del nuovo corso».

Come l’avvertimento sibillino giunto dalle colonne de “L’Espresso” al Card. George Pell, il cui nome, dopo l’arresto del Card. Wesolowsky, pare circoli a proposito di altre inchieste su presunti abusi sessuali, perché interrogato un mese fa dalla Commissione d’inchiesta sulla pedofilia del governo di Canberra, quand’era Arcivescovo di Melbourne e di Sydney.

Lo si accusa di voler insabbiare tutto, ma ciò giunge dopo la pubblicazione dell’ultimo suo libro, Il Vangelo della Famiglia, in cui difende la dottrina tradizionale sul matrimonio contro le “aperture” del Card. Kasper: coincidenze? Intanto è sempre più evidente il ricorso a due pesi e due misure: Marco Tosatti su “La Stampa” non si spiega, ad esempio, come mai Papa Francesco abbia invitato al Sinodo sulla Famiglia il Cardinale belga Danneels, pure «accusato di coperture» analoghe scrive, tanto da indurre molti giornali a chiederne quanto meno l’esclusione «dal voto». Ma, conclude, «è amico del Papa e soprattutto è progressista». E questo, al giorno d’oggi, pare che possa spiegare tutto…

(Mauro Faverzani, per Corrispondenza Romana del 1 ottobre 2014)