Cordoglio per l’adolescente cattolico ucciso a bastonate nell’Irlanda del Nord
BALLYMENA, mercoledì, 10 maggio 2006 (ZENIT.org).- La seconda diocesi irlandese per grandezza, Down e Connor, è sconvolta per la morte di un ragazzo, ucciso solamente perché era cattolico.
Mentre tornava a casa la sera di domenica scorsa, Michael McIlvben, di 15 anni, è stato picchiato a colpi di mazza da baseball da un gruppo di ragazzi protestanti in un parcheggio di Ballymena (nella contea di Antrim, nell’Irlanda del Nord). E’ morto poco dopo.
Si tratta di “un tragico omicidio che ha per vittima un giovanissimo, ucciso soltanto perché era cattolico”, ha commentato il portavoce della diocesi cattolica di Down e Connor, il sacerdote John Mc Manus, secondo quanto raccolto dalla “Sir”, il servizio informativo dell’episcopato italiano.
“È un fatto che ha scioccato la nostra comunità”, ha aggiunto.
“Le nostre preghiere e i nostri pensieri sono con la famiglia, privata della vita di questo figlio ancora in tenera età, appena uscito dalla infanzia”.
Escludendo qualsiasi connotazione politica delle sue parole, il sacerdote ha proseguito: “Questo omicidio ci ricorda quanto tragica sia la perdita di una vita umana, il dono più sacro che abbiamo. Questo ragazzo è stato ucciso soltanto perché era un cattolico. Il processo di pace procede molto lentamente ma dobbiamo credere che i vecchi giorni della violenza appartengono al passato”.
“Dobbiamo trovare ragioni di speranza per guardare al futuro pur in queste tragiche circostanze e rimanere uniti. Dobbiamo abbandonare la violenza politica del passato e concentrarci tutti insieme sulla dignità della vita umana, di ogni vita umana”, ha concluso.
Su un milione di abitanti, i cattolici nella diocesi di Down e Connor sono 300.000.
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L’Ulster torna sotto la paura
Morire a 15 anni perché cattolico
Carlo Baroni
Michael aveva solo quindici anni e voleva semplicemente comprarsi una pizza. Gli avevano parlato di un posto dove ne facevano una speciale. Sottile, proprio come piaceva a lui. Aveva girato l’angolo e si era trovato davanti ad un gruppo di ragazzi con gli stessi capelli rossi che cadevano sugli occhi e le lentiggini di chi vede poco il sole. Irlandesi come lui, nati, però, in quella parte dell’isola che da troppi secoli non ne vuole sapere di vivere in pace. Dove nascere è già una condanna e la religione dei tuoi genitori un destino segnato. Michael era cattolico, gli altri protestanti. Due mondi separati senza sapere neanche bene perché. Divisi senza bisogno di costruire muri. Diversi senza sapere di essere uguali. Michael aveva in mano le sterline per la pizza, gli altri le mazze da baseball. Forse, in un primo momento, non ha nemmeno tentato di scappare. Magari avrà pensato che avrebbero avuto riguardo di quel ragazzo che li affrontava, uno contro dodici, a viso aperto. Ma quelli che aveva davanti avevano più paura di lui. L’hanno raggiunto e massacrato a bastonate. E poi gli sono saltati sulla faccia a piedi uniti. Lui ha avuto la forza di tornare a casa. E di morire senza sapere perché. Con il rischio di far precipitare all’indietro la storia di quel Paese sfortunato, in cui solo da poco si era raggiunta una condizione di ragionevole tranquillità. La «civile» Europa, che s’indigna per le stragi in Africa, evidentemente pensa che da noi certe cose mica possono succedere. Siamo una «società evoluta», noi, che si può permettere ironie e preclusioni verso i credenti, tanto siamo una società laica. L’Europa che s’accontenta dei congressi dei politici che dicono «il processo di pace nell’Ulster va avanti» e poi torna a pensare ai fatti suoi. Ma lì in cima ad un’isola divisa in due dalla politica e triturata dalla storia non sanno cosa farsene della pace dei potenti. Qui c’è ancora l’odio della gente comune che si ammazza per colpa di una battaglia andata male quasi cinquecento anni fa, a Boyne. E che i lealisti protestanti continuano testardamente a festeggiare ogni anno, a luglio. A sfilare per le strade di Belfast e di Derry con le insegne di Gugliemo d’Orange. E i cattolici a rispondere con il corteo per la strage del «Bloody Sunday», la domenica di sangue e una canzone degli U2. E i murales con l’effigie di Bobby Sands che si fece morire in carcere giusto venticinque anni fa. All’odio vomitato dal pastore protestante Ian Paisley, rispondono le raffiche dei «cattolici» dell’Ira, terroristi per metà dell’isola, resistenti per quell’altra. In mezzo ci sono i ragazzi come Michael e anche chi l’ha assassinato. Che hanno visto su un libro di scuola il ritratto di quel re con la parrucca e i boccoli che non era neanche inglese e non gli importava niente della gente che stava in Irlanda. E i padroni di oggi non sono ancora riusciti a mettere in piedi uno straccio di Parlamento. Perché quello di Stormont è solo un vecchio castello e non l’assemblea di un popolo che vuole voltare pagina col passato. Un posto per decidere di non decidere e pensare che l’odio sia sempre qualcosa che riguardi qualcun altro. Ma a Michael sarebbe bastato ancora meno di un Parlamento. Michael voleva solo comprarsi una pizza in pace, a Ballymena, Irlanda del Nord.
Avvenire 10-5-2006