Tommaso d’Aquino: La liberazione del gigante

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Louis de Wohl, La liberazione del gigante, BUR, 2002, pp. 371, € 9,50
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La liberazione del gigante (di Louis De Wohl, già autore dell’Ultimo crociato) non è solo la biografia romanzata di san Tommaso d’Aquino, è molto di più. Non è solo l’affresco di un epoca, quella del tredicesimo secolo, coi suoi illustri protagonisti da Federico II a Luigi IX, da Papa Innocenzo IV ad Alberto Magno, è molto di più. Non è solo un grande romanzo storico, ma è molto di più: come recita l’introduzione, l’autore, nel seguire le vicende ricche e movimentate di Federico II e di san Tommaso d’Aquino entra nel fuoco del problema da cui è nata tutta la civiltà europea: il rapporto tra fede e ragione. 

Il libro, costruito davvero magistralmente, si apre descrivendo le scorrerie ed atrocità commesse dal caravanserraglio al seguito di Federico II, che in nome e per l’imperatore trovano gusto nel distruggere abbazie e monasteri: sono anni difficili, gli anni dell’attrito violento fra impero e papato, tra papa Innocenzo e lo scomunicato Federico. Da uno di questi assalti viene salvato e ricondotto al suo nobile casato un giovane e paffuto monaco oblato benedettino, di nome Tommaso. Questi saranno anni decisivi per l’Aquinate e per la sua vocazione. Il giovane, infatti, mandato a studiare all’Università di Napoli, farà un incontro decisivo per la sua vita e per le sorti di tutto l’Occidente: la sua vocazione per l’Ordine domenicano si espliciterà nell’amicizia con fra Giovanni, generale dell’Ordine. Numerose sono le pagine dedicate allo scontro con la famiglia, sconvolta di fronte alla sua inclinazione per i domenicani, un ordine mendicante, e che voleva per quel rampollo devoto nulla di meno che un abbaziato benedettino: "Un d’Aquino non può essere nè un pagano, nè un mendicante… e nemmeno un santo mendicante" fa dire Louis de Wohl alla contessa D’Aquino. Tommaso riuscito a fuggire dalla prigionia materna e condotto a Colonia da fra Giovanni, diventerà qui discepolo di Alberto di Ratisbona che molti già chiamavano Magno.
Il dottore angelico (che sin da bambino si interrogava sulle questioni ultime della vita: chi è Dio?, perchè c’è il dolore? e che cos’è la felicità?) mettendo a frutto la lezione del suo maestro riuscirà dunque nella titanica impresa di effettuare una sintesi tra fede e ragione, tra sapienza aristotelica e sapienza cristiana, risanando così l’insanabile frattura averroistica tra il dogma religioso e la dottrina di Aristotele e impartendo alla filosofia stessa il sacramento dello Spirito Santo. Il gigante Aristotele infatti, imbrigliato dai vincoli razionalistici impostigli dai commentatori arabi, sarà felicemente liberato dall’ardimento di Tommaso deciso a far di lui un alleato della fede cristiana (che nulla ha da temere del vero), valorizzandone e completandone così la dottrina, considerando che la ragione da se non esaurisce il cammino, giunge solo fino a un certo segno; è la fede, dunque, la forma piena di conoscenza, dove è mostrata all’uomo quella verità intera cui egli aspirava, senza poterla autonomamente raggiungere. E affinchè l’uomo potesse imparare a conoscere Dio sempre più con verità e fedeltà, il Mistero come imprevisto dono di grazia si è dovuto implicare fino in fondo con la miseria umana, si è fatto carne ed è venuto in mezzo a noi: è perciò una sapienza diversa, la sapienza che nasce da un avvenimento, dall’Avvenimento di nome Gesù Cristo. 
Per de Wohl tuttavia la personalità di Tommaso è definita non tanto da un progetto culturale, quanto da un grande amore, affermato di fronte al mondo, in ogni circostanza. È l’amore per l’uomo e per il mondo intero che nasce dall’incontro con l’uomo Gesù di Nazareth, incontro che cambia la vita ora come allora. E questo amore sublime lo accompagnerà per tutta la sua vita, sino a quella grande esperienza estatica, dopo la quale la mente e il cuore di Tommaso non desidereranno altro che ricongiungersi col Padre, fino a morirne per eccesso d’amore. 
All’interno di questo quadro decisamente affascinante si inseriscono battaglie cruente, azioni cavalleresche, intrighi, gesta di grande amicizia e di amor cortese. La narrazione è dunque gradevole e densa di contenuti, i temi affrontati pur essendo impegnativi risultano al lettore suggestivi e gustosi; il risultato è quello di un sorprendente capolavoro.
 
Francesco Lipari

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da Tracce N.5, Maggio 2003
De Wohl
Scrittore di avventure, condottieri e santi
di Stefania Ragusa

Iniziò con storie d’avventura, gialli e romanzetti leggeri. Finì con le vite dei santi. Una svolta, per lo scrittore de Wohl, non dettata da slancio pietistico o bigotto, quanto dal fascino che quelle persone esercitavano su di lui. E come una volta gli disse il cardinale Schuster: «Sarà per i tuoi scritti che un giorno tu verrai giudicato»

«La vita è la più romantica delle avventure – ha scritto Chesterton in uno dei suoi racconti – ma soltanto chi ha il cuore di avventuriero può comprenderlo». È difficile trovare un’espressione più calzante e sinteticamente descrittiva di ciò che sono stati la vita, l’opera e il cuore di Louis de Wohl, il prolifico scrittore tedesco vissuto nella prima metà del Novecento. La sua vicenda umana è stata tanto avventurosa da sembrare un’invenzione letteraria. D’altro canto, egli ha avuto l’acutezza, la sensibilità, la passione necessarie per entrare nell’intimo dei personaggi di cui ha narrato le vicende, riuscendo a immedesimarsi e a rendere partecipi i lettori dei drammi umani che si sono realmente consumati nella storia.
Senza nulla censurare, senza cedere a eccessive semplificazioni o idealizzazioni, i romanzi storici di de Wohl riescono a focalizzare e a rendere accessibili ai lettori gli aspetti più densi e suggestivi delle vicende raccontate, la carica ideale che muove i protagonisti e che li rende capaci di affrontare fatiche, dolori e perfino estremi sacrifici.
Ma chi sono gli eroi e le eroine dei romanzi di de Wohl?

Romanzi e agiografia
Prima della guerra, quando ancora viveva in Germania, de Wohl (all’anagrafe Ludwig von Wohl) era già uno scrittore di successo. I suoi libri erano per lo più storie d’avventura, gialli, romanzi leggeri e divertenti. «La gente li leggeva in treno o quando era troppo stanca per leggere qualcosa di veramente valido. E questo era lo scopo per cui erano stati scritti». Poi cominciò la dittatura hitleriana e scoppiò la Seconda Guerra mondiale. All’epoca in cui i tedeschi cominciarono a bombardare Londra, de Wohl si trovava proprio nella capitale inglese, e fu obbligato per anni a convivere con la paura dei raid aerei. «Non potevo fare a meno di chiedermi: “Se muoio stanotte – e la possibilità non era così remota -, cosa posso presentare di questa mia vita?”. Cosa ne avevo fatto dei talenti che Dio mi aveva dato?». Per de Wohl, di tradizione cattolica ma un po’ imborghesito dal successo giunto troppo rapido e strepitoso, questa fu la circostanza storica per riscoprire la fede, e soprattutto la propria vocazione. Finalmente un incontro gli chiarì la nuova direzione da prendere: il cardinale di Milano, Ildefonso Schuster, lo esortò: «Fa’ in modo che i tuoi scritti siano buoni. Sarà per i tuoi scritti che un giorno tu verrai giudicato».

L’imitazione dei santi
Così, a partire dal Dopoguerra, decise di mettere il suo genio e la sua arte al servizio di Dio. E lo fece raccontando l’esperienza umana di chi ha aderito, nella propria concretezza storica, al mistero della Presenza di Dio: san Pietro, san Paolo, sant’Elena, san Benedetto, san Francesco d’Assisi, santa Caterina da Siena, san Tommaso, sant’Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio e tanti altri, fino a papa Pio XII e alla storia della Chiesa cattolica.
La scelta di raccontare la vita dei santi non fu comunque dettata da uno slancio pietistico o bigotto. Semmai dal fascino personale che quegli uomini e quelle donne esercitavano su di lui, oltre che da una sana preoccupazione educativa. «Avevo visto il terribile effetto di un falso ideale. Milioni di tedeschi erano rimasti incantati dalla cialtroneria di Hitler, avevano cercato di imitarlo, diventando loro stessi dei piccoli hitler». De Wohl capiva che le persone, i popoli desiderano qualcuno che li guidi, un modello da seguire, un’umanità più grande di sé che li rappresenti. Dio aveva mandato Cristo per questo, «ma come poteva un “signor Smith” sperare di imitarlo?». Più abbordabile sembrava essere l’esempio dei santi, uomini in tutto, che avevano dovuto combattere ogni genere di tentazione. Così de Wohl cominciò a leggere libri sui santi, ma presto si rese conto che il tono troppo devoto, lo stile, il ritmo con cui erano scritti non avrebbero mai attirato le persone che vivevano ai margini della fede, o addirittura i non credenti. Ed erano proprio loro i primi ad aver bisogno di incontrare un’umanità diversa, più vera. Da un sondaggio che condusse egli stesso, risultò che le persone interrogate consideravano i santi delle «figure ingessate», «tipi insopportabilmente buoni», «noiosissimi fanatici». Nessuno aveva risposto: «I santi sono ciò che vorrei essere» o «sono esempi da seguire». Ma de Wohl aveva letto e conosciuto abbastanza per sapere con certezza che «essi erano le persone più eccitanti, più interessanti, più coraggiose e persino più affascinanti in assoluto».

Storie avvincenti
Chi ha letto L’ultimo crociato (su Giovanni d’Austria) o La liberazione del gigante (su Tommaso d’Aquino), pubblicati con successo nella collana Bur “i libri dello spirito cristiano”, ha potuto constatare di non trovarsi di fronte a delle figurine confortanti. Don Giovanni è un gentiluomo spagnolo protagonista di un entusiasmante e drammatico periodo della Spagna, in cui convivono vizi e virtù, fedeltà e peccato, passione e fragilità. La sua grandezza sta nell’aver seguito i segni posti sul suo cammino e nell’aver compiuto la missione affidata alla sua vita: combattere per la Verità, difendere la cristianità nella lotta contro gli ottomani, culminante nella storica battaglia di Lepanto.
Ogni romanzo di de Wohl offre un ricco e fedele affresco del contesto culturale, sociale e politico delle vicende narrate. Grazie alla cura con cui lo scrittore ha cercato e scelto le proprie fonti, ma soprattutto grazie alla fluidità, la persuasività del suo stile, il lettore può realmente calarsi e sentirsi come a casa propria in mondi cronologicamente lontani, popolati da nomi noti e personaggi famosi, magistralmente connessi, magari con qualche fantasiosa trovata, in un racconto organico e avvincente.
Così, ne L’albero della vita, il lettore sarà coinvolto nelle lotte, negli intrighi e nelle coraggiose gesta di Costantino il Grande, e prima ancora di Costanzo ed Elena – colei che ritroverà la Santa Croce a Gerusalemme -, quasi senza accorgersi di leggere, in fondo, pagine di storia del IV secolo. De Wohl non vuole attualizzare a tutti i costi i fatti narrati, ma è perfettamente consapevole che «i problemi dei santi – e quelli che erano intorno a loro – sono i problemi del nostro tempo, e che loro e solo loro erano in grado di risolverli».

Costanzo e Curione
Sempre ne L’albero della vita si leggono pagine splendide che descrivono lo stupore di Costanzo allorché si accorge che il legato Curione – un ufficiale, dunque, e per di più di nobile famiglia – è diventato un convinto seguace della strana nuova dottrina, il cristianesimo. Curione spiega che la sua discendenza e la sua posizione non gli impediscono di riconoscere la verità quando la incontra. Aggiunge che il cristianesimo non è «una dottrina filosofica. È una serie di fatti. Una volta che li si conosce non resta che comportarsi di conseguenza». Quando Costanzo irride «l’idea pazza che un bel giorno Dio sia diventato uomo», Curione risponde: «In realtà, penso semplicemente con logica. Se Dio è Dio, può ben fare miracoli. Se è lui che ha inventato e creato le leggi di natura, può anche abolirle una volta tanto». Ancora, Costanzo obietta che Curione non può credere a portenti che non ha visto con i suoi occhi e il vecchio legato ribatte: «Non ho neanche combattuto a Farsalo né partecipato alla presa di Gerusalemme. Ma sono forse un credulone se ammetto che questi sono fatti?». E così via… Una dialettica che si ripete anche oggi, dopo duemila anni di cristianesimo.

Scrittore dalla tenera età
Ma ora bisogna spendere qualche parola sulla straordinaria capacità narrativa di de Wohl, soprattutto considerando il fatto che si tratta di un tedesco che ha scritto i suoi più famosi romanzi in inglese. Senz’altro non si possono tralasciare le sue doti naturali, che lo portano a scrivere fin dai sette anni, spinto dal «fatto che molte storie che leggevo non andavano a finire come io avrei voluto. Decisi semplicemente di cambiarle. A otto anni scrissi una commedia, Jesus of Nazareth… Decisi di comporne da solo la musica, di disegnarne i manifesti e la scenografia, e ovviamente volli recitare in prima persona una delle parti principali: Caifa, per esempio, o Maria Maddalena».
Quando nel 1935 si trasferì in Inghilterra, il suo inglese «bastava appena per tirare avanti nella vita di ogni giorno». Presto si rese conto che doveva confrontarsi non solo con una lingua diversa, ma con una differente mentalità, e siccome questa si forma soprattutto nella prima infanzia, decise di intraprendere il lungo percorso dei bambini che imparano la propria lingua madre. Comprò raccolte di filastrocche e fiabe; poi libri per bambini di sette-otto anni e via via, fino a leggere tutto ciò che poteva: libri di storia, best-seller, gialli, racconti di avventura, giornali e riviste, teatro e poesia. «Un libro al giorno era il minimo». Di sicuro ha imparato a scrivere bene, e ha compiuto così la missione che gli era stata affidata.

[I virgolettati autobiografici di de Wohl sono tratti da The Book of Catholic Authors. Informal Self-Portraits of Famous Modern Catholic Writers, Walter Romig, Grosse Pointe (Michigan) 1960, vol. VI]

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OPERE
Recentemente sono stati ripubblicati
L’ultimo crociato (2001)
La liberazione del gigante (2002)

Romanzi tradotti in Italia
L’albero della vita (1949)
Così tramontò il Sole (1949)
Attila. La bufera dall’Oriente (1954)
Marte non vuole la guerra (1960)
I titoli più famosi (molti rieditati da Ignatius Press)
The Spear: A Novel of the Crucifixion (1950), The Restless Flame: A Novel about Saint Augustine (1951), The Golden Thread: A Novel about St. Ignatius of Loyola (1952), Set All Afire: A Novel about Saint Francis Xavier (1953), The Second Conquest (1954), The Glorious Folly: A Novel of the Time of St. Paul (1957), The Joyful Beggar. A Novel of St. Francis of Assisi (1958), Citadel of God: A Novel about Saint Benedict (1959), Lay Siege to Heaven: A Novel of Saint Catherine of Siena (1960), Founded on a Rock: A History of the Catholic Church (1961), Pope Pius XII: The World’s Shepherd (1961), Prince of the Apostles (1961), Saint Joan: the Girl Soldier (1962), St. Joan. The Beloved Disciple (1962), David of Jerusalem (1963).

1903
Il 24 gennaio, a Berlino, nasce da padre ungherese e madre austriaca, Ludwig von Wohl. Da giovanissimo comincia a scrivere romanzi e sceneggiature.
1935
A seguito dell’ascesa al potere di Hitler, de Wohl si trasferisce in Inghilterra, dove lavora alacremente per ricominciare, da straniero e per di più sconosciuto, la carriera di scrittore.
1939
Inizia la seconda guerra mondiale. De Wohl si presenta volontario ma viene respinto. Tuttavia non demorde. Sfruttando la diffusa credenza che Hitler abbia al suo servizio un astrologo svizzero, Karl Ernst Krafft, de Wohl persuade l’Alto Comando Britannico ad assumerlo, per le sue conoscenze delle tecniche usate da Krafft e perché avrebbe potuto anticipare le indicazioni ricevute da Hitler. Diventa così capitano dell’Esercito inglese, con un Dipartimento di Guerra Psicologica ai suoi ordini.
1944
Mentre lavora a Londra, cominciano i bombardamenti tedeschi della capitale inglese. L’esperienza della guerra fa riavvicinare lo scrittore alla fede e lo porta alla decisione di vivere la sua professione come dedizione a Dio.
1948
Nel mese di maggio si reca a Roma e ottiene la sua prima udienza con Pio XII. Questi gli chiede di scrivere un romanzo su san Tommaso e, dopo due anni, de Wohl torna dal Pontefice con The Quiet Light [La liberazione del gigante; ndr]. Il Papa gli affida il compito di scrivere sulla storia e la missione della Chiesa nel mondo.
1953
De Wohl sposa Ruth Magdalene Lorch. Entrambi sono dell’Ordine del Santo Sepolcro. Papa Giovanni XXIII conferisce a de Wohl il titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Gregorio Magno.
1961
Louis de Wohl muore.

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De Wohl al cinema
Di Alberto Coralli
Le prime prove di Louis de Wohl come sceneggiatore cinematografico risalgono alla fine degli anni 20. Si tratta di opere originali o tratte dai romanzi avventurosi e disimpegnati che caratterizzarono gli esordi del giovane scrittore.
Negli anni seguenti il nome di De Wohl supera i confini germanici grazie alla distribuzione nei paesi anglofoni di Rosenmontag, tradotto in Rose Monday (1930) e Die Letzte Kompanie, riproposto come The Last Company (1930). Nel 1932 Abenteuer im Engadin è distribuito negli Stati Uniti col titolo Slalom. Dello stesso anno è Das Testament des Cornelius Gulden, tratto dall’omonimo romanzo e riproposto come The Testament of Cornelius Gulden. Nel 1933 de Wohl scrive Les Requins du pétrole e Heimkehr ins Glück, distribuito in Italia con il titolo Ritorno alla felicità. Nel 1934, dopo aver scritto Le Miroir aux alouettes e aver collaborato alla stesura del copione di Lockvogel, realizza Die Englische Heirat, tratto dall’omonimo romanzo. Il film giunge anche in Italia col titolo Tre donne sono troppe. Del periodo inglese (dopo il 1934) è documentato un solo film: si tratta del poliziesco Crime over London (1936), tratto da House of a thousand windows. Nel 1945 lo scrittore compare, in un cameo, nel film Caesar and Cleopatra. Nel 1961, anno della morte di de Wohl, il regista di Casablanca Michael Curtiz dirige il film Francis of Assisi, ispirato al romanzo The Joyful Beggar.