Joseph Thorborn. Il quarto segreto, Piemme, 2008, pp. 443, Euro 11,50
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Questo è un tempo di segni, profezie e decrittatori. Capita. Quando gli anni sono incerti, l’identità confusa, le metamorfosi incompiute. Capita quando si ha paura. I romanzi spesso si abbeverano di tutto questo. Funziona il complotto. Funziona la leggenda. Funziona l’altra storia. Il caso dei casi è Il codice da Vinci di Dan Brown. Ma non è il solo. Schiere di autori scavano nei bassifondi dell’esoterismo, tra gli scaffali delle teorie cospiratorie, nelle antiche biblioteche perdute o sotto le rovine di Gerusalemme. C’è di tutto: frammenti di tardi vangeli apocrifi, documenti dubbi o fabbricati ad arte, carte che riscrivono la storia di Gesù e lo fanno magari morire nel Kashmir o sposare con Maria di Magdala. Quasi nessuno invece scava nel cuore sacro del mistero. La tradizione giudaico-cristiana è la più grande fabbrica di profezie. Il ritmo della Bibbia è scandito dai profeti. Cristo è la profezia incarnata. L’apocalisse è la madre di tutte le profezie.
Questi sono i pilastri, poi ci sono milioni di labirinti dove perdersi e da interpretare. È un mare che Dan Brown non osa neppure immaginare. Basta tuffarsi e pescare. Ed è ciò che ha fatto Joseph Thornborn con Il quarto segreto (Piemme, pagg. 443, euro 18,90). Lasciate stare il sorriso della Gioconda. Questa è un’altra storia. Qualche tempo fa un collega si è presentato in redazione con uno di quei romanzi apocalittici che leggono il futuro nelle profezie. Il protagonista è un giornalista americano. Fa parte di quello strano club che sono i vaticanisti. È gente che accarezza le notizie, le affronta con la calma di un torero. Il vaticanista interpreta, vira, sussurra, traduce, archivia, colpisce. È un filologo che gioca con gli enigmi, veloce con le mani, astuto con le parole. E capita di andare a casa sua e trovarci un cardinale sudamericano e magari un giorno te lo ritrovi vestito di bianco, salutare i fedeli sotto la cupola di Michelangelo. Raccontano che il professor Joseph Thornborn si sia ispirato a un suo amico cronista ed enigmista. Il suo romanzo intreccia scienza e metafisica, antiche profezie e virus dimenticati nel ghiaccio della storia, colossi farmaceutici e madonne in lacrime, fiuto da giornalista e polvere di sacrestia, quella nobile, colorata di viola e di porpora.
Quando cominci a leggere Il quarto segreto sei scettico e un po’ stufo di questi sacri misteri. Poi ti lasci incantare. Tornate a quasi un secolo fa. Longyearbyen, isole norvegesi Svalbard: «Il rivelatore cominciò a lampeggiare all’improvviso, come era accaduto più volte nei giorni precedenti». Qui il 24 settembre 1918 entra nel porto il battello Forsete, carico di pescatori norvegesi che come ogni inverno sbarcano per andare a lavorare in miniera. Hanno tutti tra i 19 e i 27 anni. Uomini rudi abituati alla fatica che invece appaiono stremati. Sette di loro soffrono di uno strano malanno: tosse, febbre, dolori lombari. Poi il sudore si fa denso e i tessuti si distruggono, fino a che il sangue invade i polmoni. È la spagnola. Una febbre che ha fatto più morti della Grande Guerra. Notate. Il professor Jakob e la sensuale Kate sono tornati su questi ghiacci per disotterare i cadaveri dei sette marinai e isolare il virus ancora congelato.
Immaginate. Immaginate che il terzo segreto di Fatima abbia una coda. Una parte di profezia che il vecchio Papa non ha voluto svelare. Parla dei figli di Maometto e dei «fratelli che invaderanno silenziosamente la terra crociata rendendo putrida l’aria». È il codice Coimbra, lì dove riposa suor Lucia dos Santos, l’ultima pastorella, la visionaria. Mettete che il virus della spagnola finisca nelle mani di una casa farmaceutica diretta da uno dei capi di un’antica setta salafita. L’Europa sarà circondata. E il virus diventa l’arma dell’invasione islamica. Sotto assedio quattro porti d’ingresso al vecchio continente. Il primo è nella città di Agostino dove c’è la Madonna che piange. È lì che il santo di Ippona, mentre si lambiccava con il mistero della Trinità, vide un bimbo che con una conchiglia travasava l’acqua del mare. Civitavecchia. Il secondo è un’antico porto dalmata. Dubrovnik. Il terzo è nel luogo dove Grignon de Montfort coniò il motto Totus tuus. La Rochelle. Il quarto porto è dove s’incrociano Motlawa e Radunia. Danzica.
Thornborn è un cacciatore di profezie. Il suo alter ego, il protagonista del romanzo, è un vaticanista scettico che si ritrova a sfidare gli enigmi dell’Apocalisse, della Monaca di Dresda o il protocollo 051719, fondo 13/A, dell’Archivio Sant’Uffizio. Anche lui, in quest’era di metamorfosi, è alla ricerca di un segno. Ma come lui ti chiedi se questo scrutare il cielo abbia poi un senso.
La risposta è in Matteo cap 16 (versetti 1-4): «I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: “Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l\’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona”. E lasciatili, se ne andò».
L’ULTIMA PROFEZIA Il virus islamico dell’Anticristo
di Vittorio Macioce
da Il Giornale per gentile concessione