(Tempi) Spagna, verso il trionfo di de Sade

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LA DITTATURA DEL GODIMENTO DEL MODELLINO ZAP.-DE SADE.
QUALE NESSO TRA LE ‘RIFORME’ DEL GOVERNO SPAGNOLO E LA REPUBBLICA DI DE SADE?
L’IDEA CHE IL DIRITTO E LA SODDISFAZIONE SPICCIOLA SIANO UNA SOLA COSA A PRESCIDERE DAL LEGAME CON L’ALTRO


di Binasco Mario
Docente di psicologia e psicopatologia
all’Università Lateranense di Roma

      Non ho potuto fare a meno di notare la coincidenza:
l’approvazione della legge zapateriana che abroga dal
diritto statuale il matrimonio come rapporto privilegiato
con l’altro sesso, è arrivata proprio mentre sta girando nei
cinema italiani un film, L’educazione sentimentale di
Eugenie, tratto dalla Filosofia nel boudoir del marchese de
Sade, da lui pubblicata nel 1795, durante la Rivoluzione
francese. È una coincidenza curiosa, ma che non stupisce,
tanto la logica dei discorsi di Sade e quella
abrogazionista, sia zapatera che nostrana, sono convergenti
se non coincidenti. Il regista ha avuto il pudore di
intitolarlo Educazione sentimentale e insieme la
spudoratezza di sostenere che «in tempi di oscurantismo e di
guerre di religione questa è la chiave giusta per vivere la
sessualità» e poi che «la sua (di Sade) visione di una
sessualità legata alla natura, senza limiti, è tuttora
rivoluzionaria. Di certo è molto più attuale di Ratzinger e
della Chiesa che propone una morale immutata nei secoli».
Chissà se nel film ha il fegato di raccontarcela tutta la
visione di Sade, senza edulcorarla alla Capezzone («Tanti
bei bambini nati e tanti bei malati curati»).
      Per chi non lo sapesse, la Filosofia nel boudoir è sì
un racconto pornografico a tripla X, ma che è continuamente
inframmezzato da discorsi ‘filosofici’ che espongono la
teoria insieme morale e politica di Sade: il più lungo di
questi discorsi è intitolato ‘Francesi ancora uno sforzo se
volete essere repubblicani’, ed è un’esortazione ai francesi
ad abrogare la condanna penale di adulterio, incesto,
assassinio, stupro, furto, calunnia, aborto, infanticidio,
ecc. Il crimine, infatti, è del tutto naturale, perché
corrisponde al desiderio dell’uomo, e dunque lungi dal
contrariare la società Repubblicana, le farebbe un gran
bene, perché corrisponde alla logica che la fonda. Ciò
dovrebbe avvenire rifiutando l’«infamia da imbecilli» nota
come cristianesimo, con il suo stolto culto della persona,
dell’amore del prossimo ecc. Insomma, di tutto ciò che c’è
di più innaturale. La natura per Sade se ne infischia della
persona: le mette dentro dei desideri che la fanno muovere,
ma non dei limiti (che sono antinaturali), cosicché il
desiderio serve solo alla ricerca di un godimento soltanto
distruttivo. Perché la Natura è essenzialmente distruttiva,
si serve del desiderio per distruggere e poi ricreare senza
alcun senso.
      Lacan sintetizza così la legge fondamentale su cui si
fonda la società sadiana: «Chiunque può dirmi: ho il diritto
di godere del tuo corpo e questo diritto lo eserciterò senza
che alcun limite mi possa fermare nel capriccio delle
esazioni che mi venga in mente di soddisfare». Siamo nella
logica dei diritti dell’uomo e della libertà: il diritto ha
espressamente come contenuto il godimento; quanto alla
libertà, essa viene affermata con decisione, ma soprattutto
come libertà dell’altro che ha diritto di godere di me
indipendentemente da quello che voglio io; diritto al quale
io non posso oppormi. È la libertà dell’altro, non del
soggetto: anch’io godo di quel diritto nei confronti di una
terza persona rispetto alla quale sono ‘altro’. Chi è allora
il cittadino? È il soggetto o è piuttosto l’altro? Diremo:
«spagnoli, ancora uno sforzo per essere ciudadani»?


      LA NEGAZIONE DEL REALE
      La questione dell’omosessualità portata al livello di
rivendicazione politica (gay pride, matrimonio ecc.) è solo
uno dei casi in cui si vede che è in atto nella nostra
società quella identificazione sadiana di morale e politica
operata attraverso il tritacarne dei diritti soggettivi come
diritti al godimento. Un esempio soft? L’indiscutibile
diritto politico che è diventato l’imporre al prossimo
l’esibizione oscena del tuo godimento, sotto il trucco del
diritto all’espressione: rivendicato in chiaro nei cortei
alla Gay Pride, ma anche sotto traccia in tutto ciò che
riguarda l’offesa al pudore nella nostra società. Sappiamo
bene che inevitabilmente chi infrange il proprio pudore,
viola immediatamente anche quello dell’altro (come
l’esibizionista dimostra). Per questo tutti i tentativi di
abrogare istituti che nominavano e orientavano l’identità,
cioè il rapporto intimo del soggetto con la differenza da se
stesso che lo rende umano (la differenza che è l’altra
persona, la differenza che è l’altro sesso, la differenza da
sé che è il suo corpo, con la sua struttura e i suoi guai),
e cioè il fondo di se stesso, la sua origine, la sua verità
intima, mettono in questione brutalmente il legame sociale e
politico che abbiamo con gli altri: perché la gente comincia
a chiedersi se è al mondo o se è ‘cittadina’ o concittadina
solo per subire i contraccolpi dei ‘diritti’ – e cioè dei
gusti esibiti e incassati – degli altri.
      La gente non si sente toccata o lesa nell’avere (come
se l’altro le avesse leso un possesso), ma nell’essere,
nella propria identità e nei nomi, nelle parole e nelle
leggi che in ogni civiltà umana servono a ciascuno per
situarsi, e orientarsi, dentro un reale che non ha fatto
lui, che lo precede e che custodisce il mistero della sua
origine. I nomi e le parole della civiltà servono a fare i
conti con questo mistero del reale dell’uomo, e anch’essi ci
precedono e ci permettono di strutturare i nostri legami con
gli altri e con noi stessi, perché l’essere nessuno se lo
dà. Intervenire arbitrariamente su questa istituzione
famigliare, come se sapessimo che cos’è, come se fosse un
artificio sostituibile con un altro artificio, riduce tutti
i discorsi e le azioni umane a puro bla bla senza rilevanza,
e nega il dramma del rapporto dell’uomo col reale.
      Colpisce che non ci si accorga che il modellino, il
plastico, di una società fatta così come un esperimento
tecnico scientifico, l’abbiamo già conosciuto, ed è il campo
di concentramento. Anche lì tutti uguali, via i rapporti
privilegiati e famigliari, via i segni dell’appartenenza ad
Altro (carta, penna, segni religiosi o politici), via i
nomi, quegli artifici a cui scioccamente ci si ostina ad
agganciare la propria futile identità: rappresentati solo da
un numero, fantasticamente privo di sesso. Tutti diritti
uguali, pochi, anzi in fondo uno solo: il diritto di morire.
      Certo accanto alla versione hard ci sono anche
versioni soft del campo di concentramento. Pensiamo a certi
servizi medici e ospedalieri: ma la logica è quella, quella
per cui l’altro ha diritto di fare il suo mestiere e di
trattarti di conseguenza: all’occasione trattarti come un
morto che cammina. Una volta si diceva: siamo liberi finchè
la nostra libertà non lede quella degli altri, non incontra
così un limite. Ma questo presuppone che la libertà si
misuri su scelte di vita. Oggi, quando mai capita di sentire
dire o giudicare che questo limite è stato superato, che la
nostra libertà è stata lesa? Si sente invece ogni volta
negare che questa lesione sia possibile e che questo limite
si possa determinare: e il diritto dell’altro è posto in
modo talmente assoluto e intangibile che ogni limite lo
lederebbe. Appunto: parlare in nome della propria vita
impedirebbe all’altro di fare il suo mestiere, di esercitare
il suo diritto, che siccome è uguale al mio, diventa subito
più uguale degli altri.

      Siamo così lontani da Sade?
      La Repubblica di Sade è quella in cui il soggetto si
riduce ad essere lo strumento del godimento dell’altro, il
che, tra l’altro, è la formula della perversione. In questo
senso la nostra società della perversione generalizzata
ufficializzata a livello politico non ne è molto lontana.
Anche in questo caso, il problema non è che la società
promuova qualche perversione o che la lasci promuovere, ma
che voglia fondarsi sulla cancellazione, sulla abrogazione
del concetto di perversione. Non c’è alcun moralismo,
neanche di tipo medico, nel dire questo, ma solo una
considerazione oggettiva e strutturale: abrogare per legge
il concetto di perversione (è già successo nel manuale
psichiatrico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità)
significa che non si può più distinguere tra etiche del
godimento ed etiche del desiderio, e dunque, socialmente e
culturalmente, tra rapporti sadiani orientati a vivere di
sfruttamento, di esazione del godimento, e rapporti
orientati a piuttosto a vivere di desiderio, a preservare e
rilanciare il desiderio come rimando ad Altro e condizione
della umanizzazione e della vivibilità dei rapporti
compreso, insisto, anche quello con se stessi (nella
tradizione cristiana si chiama vocazione). Forse sarebbe
preferibile parlare di dittatura del godimento, piuttosto
che di dittatura del desiderio, perché il desiderio non si
può comandare, mentre il godimento sì; il godimento è quando
si passa all’incasso della cambiale del desiderio, quando il
desiderio cessa di essere segno e rimando, movimento, e si
specifica secondo un oggetto, come ‘desiderio di qualcosa’,
ponendosi come fine a se stesso perché non c’è altro da
attendersi. L’etica dei rapporti famigliari, per esempio, è
da sempre un’etica del desiderio, per il ruolo che gioca in
essa la castità del rapporto, il divieto dell’incesto, la
paternità, l’apertura sull’Altro che il figlio incarna, ecc.
E non è un caso che l’ascesa della politica sadiana
sottoponga la famiglia a dura prova. Un altro esempio di
rapporti fondati su un’etica del desiderio è la comunità
cristiana: anche in essa è evidente che i rapporti si
fondano su Qualcosa che è sì presente, ma misteriosamente,
perché è insieme atteso e al di là di ogni controllo e
padronanza, col quale si può essere in rapporto solo
rispondendo a un amore che non ha paura del reale (carità).
Un altro esempio sono le relazioni di cura, non ultima
quella psicoanalitica, oltre a quelle mediche e a quelle
educative.

      NON FARE AGLI ALTRI…
      Si potrebbe obiettare: come si fa a dire che il
sistema dei diritti è sadiano e che sancisce il diritto a
godere di te, se ci sono leggi severe contro la violenza
sessuale o le molestie, leggi perfino grottesche a volte,
che permettono casi come il date rape, per esempio? O per le
quali oggi in America nessun professore di Università fa più
colloqui con studenti tenendo la porta chiusa? Risponderei
che lo è, nonostante l’apparenza, perché è incapace di
pensare se non in termini di diritto al godimento, e quindi
il limite che esso introduce lo introduce sempre
arbitrariamente e provvisoriamente, è sempre un po’ abusivo,
e assomiglia facilmente a uno sfruttamento di altro tipo:
vedasi processi celebri con relative liquidazioni dei danni.
Riuscite voi a capire che cosa c’è di umanamente reale nella
mancanza di ‘consenso’ di una ragazza che per esempio ha
accettato un appuntamento notturno in camera d’albergo di
uno, e che poi lo denuncia perché l’ha toccata? Certo, una
società impostata sempre più come un mercato universale del
godimento e dei suoi diritti, accentua una dissimmetria
antica, perché nessuno che viva dei rapporti fondati su
un’etica del desiderio accetterebbe di mettersi nella
posizione di fare agli altri quello che l’altro sadiano
farebbe a lui: quello che per Sade è l’abominevole criterio
cristiano «non fare agli altri quello che non vorresti fosse
fatto a te», è inscritto nella logica del desiderio: ma
perché il desiderio resti a fondamento dell’azione e
dell’esperienza del soggetto ci vogliono dei rapporti che
possano prendersene cura e che lo rilancino, rapporti non
sadiani, rapporti nei quali si possa dire una verità
dell’esperienza impossibile a dirsi nel momento della
rivendicazione sindacale e politica.

      LA CENSURA SESSUALE
      Questo vale per chiunque, compresi soggetti che si
trovino ad avere desideri cosiddetti omosessuali: ad essi
oggi viene proposta solo la modalità sindacale di rapporto,
come se la presenza di certi desideri e di certe modalità di
soddisfazione bastasse a definire la loro identità reale
oltre che sociale, tutto il campo della loro umanità (‘sono’
omosessuale). Anzi, a proposito dell’omosessualità, ciò che
oggi colpisce è proprio la ‘feroce forza’ con la quale la
questione sessuale viene ridotta (e dunque censurata) a
slogan e frasi fatte che non lasciano spazio alle questioni
vere e difficili che la vita reale sempre pone ad ogni
essere umano.
      Forse, se ora affronteranno i problemi e i perché di
un rapporto con un figlio sarà possibile parlare
dell’esperienza, singolarmente. L’esperienza del desiderio è
sempre esperienza di una mancanza, di una divisione, di una
differenza da sé: ed è criminale impostare i rapporti
sociali in modo da impedire o criminalizzare i luoghi e i
rapporti dentro i quali sia possibile ancora dire, e dire
bene, questa esperienza. Una battaglia culturale contro
questi rischi non può prescindere dal coltivare e proporre
tutte le offerte di rapporto nelle quali la persona possa
sentirsi ragionevolmente interpellata non come il compatto
rappresentante della rivendicazione politica o sindacale con
la quale si identifica, ma come un soggetto desiderante,
perciò incompiuto e diviso, in cammino dentro un reale nel
quale non potrà orientarlo la pseudoverità del politicamente
corretto, ma solo il tentativo di dire l’intima e per niente
corretta verità della propria drammatica esperienza.

Binasco Mario
* Docente di psicologia e psicopatologia
all’Università Lateranense di Roma
Tempi.it num.28 del 05/07/2005